L’uomo ha occhi spiritati, una barba incolta con troppi peli bianchi per essere tale ad arte, orecchie evidenti che, se fossero ancora più pronunciate, lo farebbero assomigliare a un cartone animato.
La cosa che più mi colpisce è la profonda ruga orizzontale che segna un solco alla radice del naso, che ha largo e corto.
Non conosco la sua altezza né il suo modo di camminare (la sua allure), però non mi viene difficile pensare che se fosse alla guida di un taxi da me preso nottetempo, mi inquieterebbe per tutto il tragitto con la sua presenza e non vedrei l’ora di essere davanti al giardino di casa.
Trattandosi di uno scrittore e di un autore, balzato di recente alla cronaca per le sue dichiarazioni, vado a leggerlo.
Dice da subito di essere stupefatto per le polemiche che ha suscitato.
Siccome succede, a lui mi dedico con ancora più attenzione.
Dichiara di avere rapporti dolorosi con le donne.
Di essere stato martirizzato dalla madre, che definisce con il termine Folcoche, parola a me ignota e che vado a cercare e che ha a che fare con una matrigna crudele.
Dice di essere stato picchiato con una prolunga elettrica.
Di essere stato un «bambino battuto, maltrattato, umiliato, martirizzato».
Dice di provocare lui stesso in amore delle rotture che lo fanno atrocemente soffrire per ricreare le sue vicissitudini.
A questo punto e con un po’ di sensibilità, si capisce che quando lui dichiara di non apprezzare le donne della sua età, bisogna avere un po’ di pazienza, fargli la tara, casomai, meglio, non prenderlo alla lettera.
E invece, no.
Invece, è scoppiato il putiferio.
Come se lui avesse scoperchiato la pentola, aggiungendo anche, fra gli altri ingredienti, la sua predilezione per le donne orientali, «che lo strappano dalla sua cultura, che lo portano altrove, mi fanno prendere in considerazione altre maniere di pensare e di sentire».
Tanto di cappello.
Sono qui che mi interrogo sulla mia povertà di fantasia e mi chiedo quali uomini di nazionalità diversa dalla mia abbiano ai miei occhi la capacità di strapparmi alle mie radici e di portarmi altrove.
Esaurite rapidamente le due/tre possibilità che mi vengono in mente, nelle quali non sono contemplati uomini asiatici, vado avanti.
(Prima e chiara percezione della limitatezza del mio immaginario rispetto a quello suo. Ma posso provare a rimediare).
Tralascio le reazioni di un drappello di signore che si sono sentite offese dalle sue dichiarazioni, che hanno pubblicato delicate fotografie private che stavano a dimostrare il loro ottimo stato di conservazione e quelle che hanno fatto l’elenco dei loro giovani amanti, quello che più mi ha incuriosito dei quali era indicato come «di Cremona e di 23 anni».
(Non ricordo se sono mai stata a Cremona. So che la città è famosa per i liutai).
L’uomo è grande e grosso, con la pancia, ha una bocca che deve avere sapore di scolo e di ingordo.
Ci sono bocche che sanno di miele, altre, di caffè, alcune, di sigaretta, poi ci sono tutti i sapori del cioccolato e del vino.
L’uomo ha un pesante accento umbro e ha rilasciato un’intervista a una piccola radio rispondendo alle domande di due poveri cristi che si guadagnavano da vivere provocando la bestia che era in lui, aizzandola perché uscisse fuori.
E fuori è uscita.
In una kyrielle di risatine da maschi di terza media al gabinetto durante la ricreazione, costellata di trivialità tutte di stampo sessuale, dimensioni virili, posizioni per il coito non ingombrate dalla pancia, vanto delle proprie conquiste e via elencando, lo chef ha dichiarato che si era stufato delle donne, che lui andava solo con le giovani (anche lui cita un’amante di 23 anni, senza peraltro specificarne la provenienza geografica), che si voleva prendere un anno sabbatico e che le donne sono solo interessate ai soldi.
(Quest’ultima cosa essendo realistica e sperimentabile, ma esulando essa dalle nostre riflessioni di oggi, la metto al momento da parte).
Ho mangiato due volte da Vissani: una volta, a cena, con lui che giocava fuori casa, in un grande albergo romano; un’altra, a pranzo, nel suo locale sul lago di Corbara. Era inverno e si avvicinava la fine dell’anno.
Mi colpì lo spiazzo con le galline che razzolavano all’aperto, l’odore di pollaio gelato, si entrava nella trattoriola dei suoi genitori, poi si veniva ammessi, con le porte che si aprivano di botto e una musica adeguata all’esperienza, nel suo ristorante, fiandre immacolate lunghe fino a terra, cristalli, argenti.
Mi ricordo che mangiai molto bene, ma allora ero interessata al cibo ancora meno di oggi, quindi ricordo meglio i vini, l’eleganza della nostra tavola e i discorsi.
La disgraziata e un po’ rozza intervista ha suscitato polemiche, ma anche qui non c’è da offendersi perché bisogna considerare da quale pulpito viene la predica.
Uno come lui, basta guardarlo, da quel cortile con le galline viene e lì, come mentalità in fatto di donne, è rimasto. È un uomo di campagna, che giustamente valuta le femmine a seconda della produttività: la vacca, la scrofa, la coniglia, non fa differenze con il genere umano perché secondo lui non ce ne sono.
Personalmente, non mi sento toccata da quello che lui dice, inoltre la faccenda dichiarata dell’attrazione femminile per il denaro mi ha fatto sorridere. Quando le donne capiranno che potrebbero guadagnare denaro per loro conto senza coltivare il sogno del marito ricco, staremo un pezzo avanti e potremo cominciare a occuparci di altro.
Liquidata la cronaca, che per definizione è da liquidare, occupiamoci del colore del tempo.
Partiamo da un’affermazione del geografo Franco Farinelli, che sostiene che bisogna acquisire una capacità di manipolazione simbolica della realtà. Io interpreto questo suo consiglio come una spinta all’affinamento delle nostre doti interpretative di quello che abbiamo sotto gli occhi.
Nel film di Jacques Demy Pelle d’Asino, la principessa, interpretata da una bellissima Catherine Deneuve, per sfuggire alle nozze con il padre, che pure a lei non dispiacerebbero, e su consiglio della fata madrina, chiede al genitore come pegno di amore «un abito color del tempo». Il mio dvd in lingua originale e con i sottotitoli in inglese dice temps e weather, quindi si dovrebbe trattare del tempo atmosferico, anche perché si parla di una bella giornata. Ma la mia capacità di manipolazione simbolica mi suggerisce di afferrare il tempo nell’altro senso, cosa che nessuno mi impedisce di fare, anche approfittando del disorientamento del sarto di corte, che arriva alla fine a cucire un vestito magnifico di un turchese chiaro che qui a noi non interessa.
Difficile, dunque, sapere quale sia il colore del tempo.
Ma Il Gattopardo è dalla mia parte, almeno quando Don Fabrizio tesse l’elogio del nipote con il futuro suocero, che non vede l’ora di diventare tale: « Tancredi non è un giovane qualsiasi…egli non è soltanto signorile ed elegante; ha appreso poco ma conosce tutto quello che si deve conoscere nel suo ambiente: gli uomini, le donne, le circostanze, il colore del tempo…».
E qui, c’è da scommetterci, il tempo di cui parla il Principe di Salina è quello che dico io e non quello che potrebbe giudicare il bel giovane affacciandosi alla finestra della sua villa semidiruta ridotta in cattive condizioni da un padre scialacquatore.
Comunque, il colore del tempo le donne lo conoscono benissimo.
Nel 1919, ovvero cento anni fa, la durata media della loro vita era di 48 anni.
Oggi è di 85.
Qui bisognerà decidere che cosa fare di questi 37 anni guadagnati.
L’ideale sarebbe di approfittare di quella che chiunque definirebbe un’opportunità.
Ora, il fatto è che alle donne, ancora oggi, è lasciata una sola possibilità: quella di essere giovani e belle.
Del resto lo capisco, anche io trovo le vecchie e laide insopportabili.
Quindi tocca darsi da fare per conservare bellezza e giovinezza. Gli alleati di una donna oggi sono un vero e proprio esercito: il ginecologo, il medico estetico (e se le due specializzazioni si incrociano, è meglio), il dentista, l’oculista, il parrucchiere, l’estetista, la tenutaria di un negozio in centro che dia buoni consigli di abbigliamento.
A questo proposito, però, una donna adulta dovrebbe aver imparato che cosa le sta bene addosso e aver trovato il suo stile. Anche se l’abito fa sempre il monaco e fa pure una donna bella e giovane.
La titolare di una delle mie due lavanderie mi racconta sempre un sacco di cose. Le porto le lenzuola da stirare soprattutto per ascoltare i suoi discorsi. Mi dice, per esempio, che quando era ragazza lei, se non c’era un marito all’orizzonte, si era considerate zitelle a 19 anni. Cosa che oggi farebbe ridere, anche se risale a ieri l’altro.
Però è come se tutto un certo modo di vedere il mondo e, guarda un po’, di guardare le donne, non si fosse spostato più di tanto.
Permane, tenacissima, l’idea che una donna stia lì per fare figli. E posso pure capirla. Ed è probabile che lo pensino anche tantissime donne. Ma la mia capacità di manipolazione simbolica della realtà mi suggerisce che potrebbero esserci altre opzioni, altre narrazioni, altre realizzazioni.
E che sta alle donne individuarle e raccontarle.
Ho già parlato di Valeria Bruni Tedeschi qui.
Ho già detto che la trovo bella, brava e intelligente.
Aggiungo che lei, attrice, regista, sceneggiatrice, è nella posizione perfetta per narrare delle storie.
Nella medesima intervista che ho citato lei dice che c’è un nesso fra il desiderio che un uomo ha per una donna e la capacità di lei di fare figli. Cosa che penso anch’io da un po’, come se fosse un istinto atavico, primordiale, nei confronti del quale provo rispetto.
Dunque, e qui sta l’idea, le donne dovrebbero poter fare figli più a lungo.
Ho fatto una breve ricerca e, notizia recente, la madre più anziana della storia dell’umanità ha partorito a 72 anni.
E trovo fuori posto che a sconcertarsi di fronte a un primato del genere siano soprattutto le donne, che dovrebbero, invece, essere contente.
Ma, come sappiamo, ognuno di noi è il peggior nemico di se stesso.
Del resto sono sempre le donne a insorgere davanti a una coetanea che ha una relazione con un uomo più giovane. E qui credo che andiamo a toccare qualche altro nervo sensibile, per esempio quello che riguarda il tabù dell’incesto.
Naturalmente al professor Humbert Humbert quest’idea, a proposito di Lolita, non passava nemmeno per l’anticamera del cervello. Ma gli uomini, si sa, hanno millenni di storia culturale sulle loro spalle e si sono fatti il mondo come lo desideravano (ripeto che, se fossi stata al loro posto, io avrei fatto di peggio).
E in ogni caso a me gli uomini, pure con tutti i loro difetti, stanno simpatici.
E ora, per concludere, qualche idea sparsa sul colore del tempo che può tornare utile in caso di perplessità, riflessione e dubbio.
Trovo molto arguta la formula messa a punto da Pedro Almodóvar in Tutto su mia madre, quando uno dei personaggi dichiara di avere «dai trenta ai cinquanta anni, l’età che abbiamo tutti».
Non ho conservato ma ce l’ho tutta stampata in mente una bella intervista rilasciata da Isabelle Huppert, attrice brava e magnetica. E sono tutta schierata dalla sua parte: lei, che è una timida, ha 16 anni se entra in un ristorante e qualcuno la riconosce; ha la sua età anagrafica se è presidente della giuria a Cannes; ha 18 anni se sta fra le braccia del suo innamorato.
E questo ce lo dice anche il bel film di Hayao Miyazaki, Il Castello errante di Howl, la cui protagonista Sophie, una ragazza, diventa una vecchia all’inizio per una maledizione e ha problemi fisici ma anche una finezza di pensiero che da giovani sfugge. E continua a muoversi fra età diverse, in una fluttuazione che ci ricorda quella di Isabelle Huppert.
Ma Sophie è innamorata di Howl, mago bello, narciso, che fa continuamente il bagno e indossa fantastici orecchini.
Finirà con i due che si incontreranno nell’età giusta di entrambi, che è, si capisce, l’età che ha sempre l’Amore.
E stavolta concludo sul serio.
Una decina di giorni fa è stato il mio compleanno. Non sono stata lì a indulgere ai bilanci perché dei bilanci poco me ne importa.
Ma ho pensato che non avrei fatto il cambio con la me stessa di quando avevo, diciamo, venti anni nemmeno per tutto l’oro del mondo.
Mi sono presa una mezza giornata di respiro, ho fatto un paio delle cose extra professione che amo fare e verso sera ho mandato un messaggio al medico che si occupa da un po’ della mia pelle. Bravo, superscientifico eppure con tutto un lato d’arte, aperto, appassionato della professione e grande estimatore di donne, sommelier, cosa che non guasta e anche gran simpatico, l’ho ringraziato di tutto quello che mi prescrive di fare.
Anche del vino che mi dà il permesso di bere.
Lui mi ha risposto con un trionfo di tappi che saltavano dalla bottiglia, fiori, cuori, mi ha detto le cose squisite che mi dice sempre.
Insomma, mi ha fatto gli auguri giusti per il mio compleanno.
Mi accorgo che in questo articolo non ho inserito nemmeno una delle mie opere d’arte.
Eppure le avevo preparate e messe da parte.
Poco male.
Come niente mi accorgo che pure l’arte va aggiornata e che, invece di mostrare immagini che oggi mi sembrano cliché e convenzionali, meglio è stato parlare di altro, per esempio di tutto quello che si può fare per dare un altro colore al tempo.
E chissà come si mangia a Cremona.
Forse ci sono specialità gastronomiche ed enoiche che, la butto lì, sarebbe un peccato non gustare.
Caterina
3 aprile 2019 — 23:15
Che senso di bellezza, soddisfazione e gratitudine lasciano questi tuoi scritti.
E sono anche divertentissimi, certe tue affermazioni mi fanno ridere fino alle lacrime.
Grazie grazie e ancora grazie
Caterina
Rosella Gallo
3 aprile 2019 — 23:39
Grazie a te, Caterina cara, sempre e comunque. Anche delle risate fino alle lacrime, che sono anche le mie