Henri Matisse, Pasiphae, 1944

Nella puntata numero 1 del nostro racconto di Natale, quindi, qui, abbiamo presentato la figura di Werther.
Che si è già innamorato di Charlotte, che ha incontrato nella cittadina di Wetzlar, dove è andato a rifugiarsi in cerca di solitudine e di ispirazione, inebriandosi della natura dei dintorni, «di bellezza indicibile».
Con Lotte deve essere successo qualcosa, ben al di là dello scambio intellettuale, delle letture comuni e di una frequentazione in apparenza innocente.
In apparenza.
Perché lei lo ha allontanato, imponendogli  di non ritornare prima della vigilia di Natale.
Ma lei, che pure aveva pensato di dargli in moglie una delle sue amiche, senza trovarne però una all’altezza, si rende conto, nell’assenza, di quanto lui le sia diventato «indicibilmente caro».
Difficile per la donne, soprattutto all’epoca, fare chiarezza nei propri sentimenti.
Werther ritorna: «Che importa tutto questo…eccomi».
E, al ritorno di Werther, ecco presentarsi per la prima volta nella tragedia che si sta delineando il tema dell’abbraccio.
Di assoluta intimità e sicuro coinvolgimento, l’abbraccio ritorna anche nei nostri artisti: vi propongo in apertura quello di Matisse del portfolio Pasiphae,  un’altra storia impossibile, quella dell’amore della donna e del toro, che però c’è stata e ha dato vita al Minotauro.
E Charlotte a un certo punto si ritrova nelle braccia di Werther.
Dove per un attimo deve essere stata bene, visto che la stretta è sopravvenuta dopo che lui ha letto e tradotto alcuni versi di Ossian, secondo una consuetudine che si era interrotta e che lei ha amato ritrovare.
E qui c’è l’aria più famosa dell’opera di Massenet, Pourquoi Me Reveiller, che vi propongo nell’interpretazione di Georges Thill degli anni ’30, il mio Werther  prediletto delle tre edizioni che posseggo.

Lei si commuove. La voce le trema, gli occhi le si sono riempiti di lacrime, lui incalza, lei dubita, gli chiede se sia possibile dimenticare tutto quello che li divide, lui si esalta, fuori di qui niente esiste, lui si rivolge a lei passando dal voi al tu, ha capito che lei lo ama, l’orchestra incalza in una vertigine di suoni, l’opera di Massenet è andata in scena per la prima volta nel 1893, dunque è ormai pienamente moderna, ha superato l’originale in audacia, tutti ci aspettiamo una deviazione rispetto alla trama.
No.
Perché Charlotte ritorna in sé, si rende conto di stare fra le braccia di lui, è sconvolta, risolutamente gli dice che non la vedrà mai più.

Addio per l’ultima volta.

La disperazione di Werther si trasforma in una dichiarazione di suicidio, implora la Natura di prendere il suo figlio prediletto, il suo amante. La sua tomba si può aprire.

In un tentativo di riaffermare il suo ruolo, Albert ordina alla moglie di consegnare lei al servo di Werther le pistole che lui ha richiesto. Parte per un lungo viaggio. Sappiamo che lei le spolvera prima di consegnarle. Sappiamo che il servo racconterà il gesto e che Werther si commuoverà, ancora una volta.

Quarto atto.
Nel primo quadro, solo musicale, si vede la cittadina di Wetzlar a volo di uccello, la notte di Natale. La luna illumina un paesaggio innevato.
La sala del teatro è avvolta nel buio.
Ad ascoltare l’opera in casa o in macchina, la sensazione è la medesima.
La musica continua fino al cambio di scena.

Siamo nel gabinetto da lavoro di Werther. C’è un candelabro a tre bracci che illumina il tavolo, ingombro di carte e di libri.
C’è un pezzo di pane tagliato, sappiamo che Werther si è fatto portare anche una bottiglia di vino.
Dalla finestra si vede la piazza del villaggio con le case coperte di neve.
In primo piano, Werther, colpito a morte, steso a terra.

E qui l’opera, che finora è stata fedele, un po’ come Charlotte è stata (più o meno) fedele al marito, prende un altro corso e si dispiega in una possibilità che Goethe non aveva previsto.
Quella di un altro abbraccio.
Charlotte ha abbandonato la sua casa nella notte di Natale. Sotto la neve ha raggiunto la casa di Werther, entra bruscamente, lo vede subito, si getta su di lui.
Lui la riconosce, le chiede perdono.
E qui lei diventa una creatura dei nostri giorni, supera la storia, le costrizioni, le barriere, canta per lui un canto finale, perché mi chiedi di perdonarti quando sono io responsabile di questa ferita e del sangue che ne sgorga.

Il seguito ci trascina nella notte di Natale più amorosa della nostra vita, non c’è famiglia, non c’è cibo di festa, non ci sono giochi da tavolo giocati per aspettare la mezzanotte.
Ci sono questi due che si sono attratti, respinti, dilaniati a vicenda per motivi che nemmeno dipendevano da loro, che, finalmente, stanotte, si trovano.
Lui non vuole che lei chieda soccorso. Lui vuole la mano di lei. Lui le dice che bisogna impedire che qualcuno venga a separarli.

Si sta così bene così.

Lei, finalmente, aspettiamo da ore, gli dichiara il suo amore, gli dice che sapeva che loro erano uniti da una catena impossibile da spezzare.

Parla ancora. Parla ancora.

Ci sono baci, le anime si fondono perdutamente una dentro l’altra.

Da una parte c’è il segreto raccolto degli amanti; dall’altra, il mondo esprime la sua gioia per il Natale, del resto i ragazzini da mesi stavano imparando il canto, che ora si innalza e che sentiamo sullo sfondo.
Natale! Natale! Natale!

E la stretta si fa più intensa, l’abbraccio che prima aveva raggelato Charlotte ora le sembra l’unico modo per trattenere Werther: «Mi puoi ancora sentire? La morte fra le mie braccia non oserà prenderti. Tu vivrai. Tu vivrai. Lo vedi, non ho più paura di niente».

Il resto della narrazione ha per noi poca importanza.
Werther riesce ancora a dare disposizioni per la sua sepoltura, sa che un suicida non può essere sepolto in un territorio sacro e chiede per sé un posto accanto a un sentiero in una valle solitaria, dove qualche donna vorrà visitare il reietto, versando qualche lacrima.

Werther muore. Charlotte gli prende la testa fra le mani.
Il coro di voci bianche inneggia alla nascita di Cristo.

Dalla finestra arrivano risate rumorose, si sente il rumore di bicchieri che si toccano per brindare, grida gioiose irrompono nella stanza.
Per noi, il gusto di aver visto e saputo altro in questo Natale.
Per esempio, di aver sentito parlare, letto e ascoltato di quei sentimenti cui diamo il nome difficile da definire di passione e di desiderio.

«Del vino aveva bevuto solo un bicchiere…Fu sepolto la sera verso le undici nel posto che aveva indicato. Lo portarono a spalla alcuni artigiani. Nessun prete lo accompagnò».