Gian Lorenzo Bernini, Gabriele Fonseca, 1674, part.

Che gelida manina!
Se la lasci riscaldar.
Cercar che giova? Al buio non si trova.
Ma per fortuna – è una notte di luna,
e qui la luna l’abbiamo vicina.
Aspetti, signorina,
e intanto le dirò con due parole
chi son, che faccio e come vivo. Vuole?

(Puccini, Giacosa  e Illica, La Bohème)

La crema per le mani. La prima volta. Nessuna importanza. Meglio la volta che ha fatto da detonatore.
Per il sommelier, un calice de La Tunella, me l’ha detto lui in un messaggio vocale che ho ascoltato più e più volte.
Per me, al primo anno di università, la prima lezione di Storia dell’arte moderna.
Per il frate, la vocazione.
Come per il matematico.
E per il fisico.
Il colpo di fulmine.
Le prima volta, quella vera.

E la mia prima volta con una serie è stata con The Leftovers.
Il 2% della popolazione mondiale è scomparsa.
Il 2%, e che vuoi che sia.
Semplicemente, 140 milioni di persone.
Ne sento parlare alla radio mentre stavo in macchina. Il tono è di quello che sta in una fascinazione profonda.
Mi compro il dvd.
Fascinazione pure io.


Dico qui anche che non ho finito di vedere tutte le tre stagioni perché il protagonista non mi piaceva più, barba troppo lunga, troppi bambini attaccati al collo.
Però, nel frattempo.
Una serie comunque geniale. Me ne sono accorta quando, in un episodio, quelli entravano in una macchina e capivano che era di lei perché nella boîte à gants c’era un tubo di crema per la mani.
L’ossessione delle donne.
Io non ho una crema per le mani nel vano per gli oggetti della mia macchina, ma ne ho almeno sei confezioni in giro per casa, fra la stanza da bagno e il mio tavolino da notte.
Tanto nessuna di esse funziona. Le mani non sono mai idratate come una donna vorrebbe.
Per la pelle del viso, sono una superspecialista. Conosco il siero, la crema, l’olio che mi convengono.
Le mani vanno per loro conto, ti compri il tubo che costa quanto due bottiglie di quelle buone e quello fa il medesimo effetto della Nivea del supermercato da due euro.
Poco male.
Coltivo da un pezzo l’idea che le mani, nel corpo, siano un capitolo a parte, non serve a niente cospargerle di grasso e infilarti i guanti di cotone prima di andare a dormire, la mattina dopo ti svegli tale e quale.
La pelle delle mani delle donne ha caratteristiche tutte sue: è come se nelle mani fosse annidata la parte più intima del cervello, ce ne sarà pur una che chiede continuamente alimenti e nutrizione.
(La pelle delle mani delle donne è indomabile).
Inoltre, a me basta che le mie mani funzionino.

La mia dotazione di creme per le mani

E mi ricordo pure le sedute di scuola guida nella pinetina di Ostia in cui le mani, che mi ero cosparsa di crema, mi scivolavano sul volante e quello che mi insegnava, la prima, la frizione, la seconda, scala le marce, gira quel volante, mi diceva no, no, prima di salire in macchina, tu, la crema sulle mani non te la devi mettere.

Vallo a spiegare alle donne.

Là ci darem la mano. Don Giovanni è l’uomo più seducente che ci sia sulla faccia della terra. Asociale, disgregato, nichilista, è una creatura in moto perpetuo, proprio ciò che piace a me.
Azione pura, movimento, un «inno alla irresistibilità», un peana alla joie de vivre, almeno nella sua aria dello Champagne.
Che sto dicendo?
Niente.
Sentitevi il Don Giovanni di Mozart/Da Ponte in una buona incisione e guardatevi in parallelo la Lettura del Don Giovanni di Mozart di Massimo Mila.


Nessuna paura, se lo capisco io. E, quello che non capisco perché è troppo tecnico, lo salto. Mi sembra normale, non capiamo mai tutto di una persona.
Voi pensate solo a quanto è difficile entrare nell’anima di qualcuno che ci sta a cuore.
Don Giovanni è un libertino, uno vero.
E quando invita la contadinotta Zerlina a seguirlo nel suo casinetto, esce fuori una cosa che si chiama recitativo a due, di linea «adorable», con un «meraviglioso adattamento della musica ai discorsi».
Oh, sì.
Una cosa semplicissima.
Insegnavo a Carrara e feci un coast to coast per raggiungere Ferrara, dove, al Teatro Comunale, era di scena Abbado con un Don Giovanni tutto suo.
Quello che avevo penato per avere i biglietti.
«Mai la musica ha meglio espresso l’amore, o piuttosto l’istinto di amare, la forza che spinge, irresistibilmente, due esseri all’amplesso».
E poco importa che i due esseri siano l’aristocratico libertino e la contadinotta.
Ci crediamo tutti, come tutti crediamo a quelle strane, improvvise, violente possibilità che si aprono davanti a qualunque presentimento d’amore.
E, in quel momento, ci credevano pure loro.

DON GIOVANNI
Là ci darem la mano,
Là mi dirai di sì.
Vedi, non è lontano;
Partiam, ben mio, da qui.

ZERLINA
(Vorrei e non vorrei,
Mi trema un poco il cor.
Felice, è ver, sarei,
Ma può burlarmi ancor.)

Gabrielle Traub, Soprano; Thomas Hampson, Baritono

La donna mancina. Titolo di un romanzo di Peter Handke, Nobel per la Letteratura 2019, pubblicato nel 1976.
Io non sono mancina.
Ho però un fratello mancino che tirava di calcio meravigliosamente con il piede sinistro, e che per questo era molto richiesto per il calcetto del martedì sera, e che è stato torturato perché non usava la mano destra.
Non solo.
Ho dovuto suggerire io alla cassiera del supermercato con il part time per via della 104, la legge che riguarda, ampiamente, i disabili, che forse c’era un collegamento fra le sue crisi di epilessia e il fatto che la sua maestra le legasse in aula il braccio sinistro alla seggioletta perché lei utilizzasse solo l’altro.
I tempi coincidono: insorgere della patologia e laccio violento.
Ma come si fa a non capirlo.
Ma come si fa a essere mancini, quindi, per qualche verso, strambi, senza sapersi difendere.
A me non sembra un caso che il termine inglese odd indichi i numeri dispari e, insieme, tutto ciò che è strano, spaiato, saltuario, occasionale.
Perché, secondo voi i mancini non sono odd pure loro?
Per non parlare di quanto fosse mancino Leonardo da Vinci.
O di quanto fosse stato obbligato a esserlo Paul Wittgenstein, pianista e fratello del filosofo Ludwig,  che aveva perso il braccio destro durante la prima guerra mondiale, su commissione del quale Ravel compose intorno al 1929 il Concerto in re maggiore per pianoforte e orchestra detto per la mano sinistra.
L’ho ascoltato più di una volta dal vivo e sono certa che il pianista di turno, mentre suonava con quella costrizione fisica, non puoi utilizzare la mano destra, pensava ma guarda tu come sono fortunato, sto qui a esibirmi e non solo sono vivo, ma sono anche tutto intero.

Junya Wang mentre esegue il Concerto per la mano sinistra di Ravel

Vi propongo un’immagine della pianista cinese Junya Wang, che è brava e bella e unisce, quindi, l’utile al dilettevole, ma non venite a chiedere a me quale sia l’uno e quale, l’altro, mentre, con la consueta schiena nuda e le gambe offerte, interpreta, mano destra inchiodata allo sgabello, il magnifico pezzo.

Vero, vero. (Dimmi che è vero). Non siamo ritornati tutti da qualcuno una volta sperando che fosse solo. Non gli abbiamo detto posso stringerti le mani. Non abbiamo sentito che le mani erano fredde e che tremavano. Non ci siamo scusati subito dopo per l’invasione.
Non abbiamo pensato tutti, a un certo momento, all’indirizzo di qualcuno, dimmi che noi non siamo stati mai lontani.

«Anche quando non sembra».
«In realtà: sembra sembra…O perché ci credo e ci spero. Pure se non è vero».
«Vero vero».
«Dimmi che è vero».

La mani. Quelle magnifiche di Bernini, che vi ho messo in apertura, nel monumento al medico Gabriele Fonseca in San Lorenzo in Lucina qui a Roma, cappella nella navata destra, un condensato dei sentimenti del barocco, guarda tu quanto lo scultore immenso li percorre e li esalta.

Gian Lorenzo Bernini, Gabriele Fonseca, 1674

Le mani che occupano la Treccani con una voce ingestibile, talmente vasta da farti venire voglia di chiuderla lì subito.
O di tornarci sopra vita natural durante.

Il goal di Maradona segnato con la mano a Messico ’86 e non state a scocciarci, l’ha detto il campione, la mano era quella di Dio, mica la sua, non vorrete, adesso, ricondurci all’ordine e alla ragione.

Maradona e la Mano de Dios

La mano, piccola e gelida, di Mimì, che è entrata nella soffitta di Rodolfo perché le si è spento il lume. Lei smarrisce la chiave della sua stanza. Si mettono entrambi carponi a cercarla.

Sapremo dopo che lui avrà, come dice, aiutato il Destino, nascondendola.
E tutto per afferrare al buio e al gelo la mano di lei.

Da cui la più bella narrazione lirica dedicata alla giovinezza, a Parigi e all’arte.

Non vi sembri poco e tantomeno vi sembri casuale, che tutto sia cominciato con una mano: cercata, trovata, stretta, inizio di tutti i discorsi e delle cose tutte.

Mirella Freni, Soprano; Luciano Pavarotti, Tenore