Il mio balconcino il 12 giugno 2018

Questo è il nuovo umore del mio balconcino.
Un umore, dunque, quasi un sentimento.
Sono stata al vivaio e ho preso tutte piante aromatiche, ho trovato anche l’aneto e il basilico riccio napoletano, tutto verde.
Una piantina era pure di troppo, non ricordavo di averla scelta, evidentemente era sul bancone quando mi hanno messo tutto nel contenitore di plastica, è un’erba pepe, a me il pepe piace moltissimo, quindi deve essere stata lei a scegliere me.
Mi hanno dato anche il foglio di cellophane da mettere, per non sporcarlo di terra, sul sedile della macchina.
Già, la macchina.
Ora vi racconto.
Ho un appuntamento dalle parti di Tor Vergata, ci sono stata una sola volta in tutta la mia vita, quindi parto per tempo.
Parto per tempo e decido di fare il pieno, nel mio immaginario Tor Vergata è dall’altra parte del mondo.
Il benzinaio mi restituisce la chiave. La infilo nel quadro ma il telecomando si apre, si apre come un guscio d’uovo, la chiave non solo è difficile da manovrare, ma, inserita, non gira. E la macchina comincia a uscire di senno, il display dice più o meno mi stanno rubando, quindi non mi metto in moto. 
Allez, allez, Ma Jolie, tu non puoi farmi questo, noi siamo sempre andate d’accordo, nessuno ti sta rubando, come è possibile che tu non mi riconosca?
Il benzinaio si prodiga e capiamo che il telecomando deve stare vicino alla chiave perché contiene il codice.
Se la macchina non riconosce il codice, non parte.
Trovo un laccetto (rosso) lo  lego intorno al dispositivo, il ragazzo ha reinserito la chiave nel blocchetto, dice che ha perso la vite, che troviamo, infatti, in terra.
Ma la vite l’ha persa perché si è staccato un pezzo.
Riesco a mettere in moto. Si è formato un capannello di gente, nessuno sa rispondere alla mia domanda: e se il telecomando si stacca di nuovo quando la macchina è in marcia, che succede, si ferma? (mi avrebbe risposto nel pomeriggio il mio garagista. Non si ferma perché ormai è in moto, il problema si ripresenta appena sfilata la chiave).
Partita per tempo, comincio a temere di arrivare in ritardo.

GRA, ovvero Grande Raccordo Anulare.
Insomma, Sacro GRA. Film che mi è piaciuto moltissimo e che ha vinto pure un Leone d’oro. Poi, d’accordo, quando ti ci trovi.

Il palazzo di vetro nel quale ho il mio appuntamento sarà lungo 500 metri. È formato da più edifici, tutti uguali, contrassegnati da un numero civico e da una lettera dell’alfabeto.
Intorno, il nulla.
Nemmeno un umano, solo macchine che sfrecciano velocissime, non un caffè, un supermercato, figuriamoci un fornaio. Il pane, brutto segno, è stato espulso dalle vie del centro piene solo di negozi di abbigliamento e pure dalla periferia, dove non c’è, letteralmente, niente.
Alla fine dell’enorme palazzo che il sole rende incandescente, un grosso negozio Decathlon.
La ciliegina sul dolce. 
In questo ambiente disumano, la cosa più disumana di tutte.
Telefono.
Sono arrivata e sto qui sotto.
Il set è perfetto per un omicidio. Mi viene in mente un romanzo di Giorgio Scerbanenco in cui l’ammazzamento avviene a Metanopoli, frazione di San Donato Milanese, ma nel mese di agosto.
Mi dico troppa letteratura, falla finita e deciditi a togliere dal blocchetto di accensione quella chiave.
Con attaccato con il cordino rosso il telecomando.
Da ragazza ero bravissima a giocare a shanghai, pure adesso, se mi ci metto, ho detto se mi ci metto, sono bravissima a non spostare né rompere niente.
Sfilo la chiave delicatamente, l’avvolgo  nel foglietto del lucido da labbra che mi sono comprata sabato e che ho lasciato in borsa con tutta la scatola per i ritocchi.
La incarto, la cullo, la metto nella tasca interna vicino allo specchio.
E ora, Ma Jolie, non farmi scherzi.
Mica vorrai che rimaniamo qui, tu e io, in questo lembo di mondo, lontane da casa, dal tuo garage, dai miei supermercati e dai nostri affetti?

Gli interni corrispondono, come sempre accade, all’esterno.
(Fateci caso, succede anche con le persone).
C’è anche un pavimento di linoleum nero con le bolle.
E c’è un bar, nel quale mi manca il cuore di entrare.
L’ascensore sta dopo una porta chiusa con su un cartello con su scritto «SCALE ASCENSORE».
Me la sbrigo in meno di un’ora.
Faccio una telefonata di informazione.
Nel frattempo sono usciti, sciamate come da un alveare, tantissime persone, deve essere la pausa pranzo, fanno tutti su e giù lungo una specie di marciapiedi stretto che sta fra il palazzone di vetro e un praticello sdutto.
Ho chiesto a un uomo che mi sembrava simpatico e che stava seduto in macchina con il finestrino aperto, mi ha detto di prendere la Tuscolana tutto a destra, gli ho chiesto scusi, ma lei dove abita, mi ha risposto sulla Salaria, ho ribattuto che cosa pensa di questo posto, io lo trovo da allucinazione, lui ha detto sì, in effetti, mi ha chiesto pure se avevo bisogno di qualcosa, no, no, grazie, ho la macchina là.
Purché si metta in moto.
Ho detto anche che mi sembrava il set perfetto per un omicidio, ma lui Scerbanenco non l’aveva mai letto.
Inserisco di nuovo la chiave.
La macchina si mette in moto.
Svelta, svelta, Ma Jolie, torniamocene nel mondo.

Pomeriggio senza respiro.
Ripasso da casa, la domestica sta da un’ora alle prese con il filtro della cappa aspirante, la ringrazio per la dedizione, pesco dal cassetto, dove la vedo sempre perché dentro ci stanno anche i caricatori del telefono e dell’i-Pad, la chiave di riserva.
Digito sulla barra di ricerca «Citroën Assistenza», una confusione di officine che dicono io, certamente, sono quella autorizzata.
Sì, vabbè, buonanotte. Chiamo il numero verde, mi risponde da Malta Pasquale, che si impiccia con il CAP, mi vorrebbe mandare a Due Ponti, gli spiego che io sto a Roma Sud, quindi, a Due Ponti, non ci penso per niente, mi propone Velletri, gli dico che sta a più di 30 chilometri, si mortifica, mi dice che lui Roma non la conosce, poi, però, gentilissimo, mi segnala l’assistenza a Quarto Miglio, giusto, infatti ci sono andata una volta.
Telefono.
Meraviglia dell’umano, la signora Franca mi spiega tutto: devo cambiare la chiave, andare da loro con il codice, mi aspettano.
Questo faccio.
Sto più di 40 minuti ad approfondire la relazione con tutti quelli che lavorano all’Assistenza, più umani degli umani, mi faccio raccontare che macchina hanno, il più giovane del gruppetto mi dice che lui ha la macchina aziendale, quindi una Citroën, ma che bello, dico io, e penso che a me nessuno ha mai offerto niente in questo senso e che la Citroën me la sono comprata perché mi piaceva, penso all’obbligo della BMW o dell’Audi, sono talmente stracolma di sentimenti che mi viene da ridere, pensa tu il cappio di volere una Citroën come Ma Jolie e quelli ti danno l’Audi. 
Ma per carità.
Correttissimi, mi dicono che il telecomando serve solo per aprire l’auto a distanza, che, volendo, posso anche utilizzare la seconda chiave.
Mi dicono il costo dell’operazione.
Ah, ecco.
E aggiungono quello per l’assegnazione del codice.
Spiego che io ogni tanto la macchina me la perdo, certo, non quando la sera la riporto a casa, e ciò per il semplice motivo che Ma Jolie sta in garage, quindi mica mi devo ricordare dove la parcheggio. La parcheggiano loro, non solo, quando mi serve, telefono e me la fanno trovare pronta.
Certe volte con dentro i film, i libri e le stoviglie vintage che mi faccio spedire da loro, visto che loro ci stanno sempre.

Io mi perdo la macchina quando la parcheggio nei luoghi disumani, il sotterraneo di Villa Borghese, Auchan, i centri commerciali che frequento rarissimamente.
E poi voglio la macchina in ordine. La tengo bene, la faccio lavare una volta al mese, ho appena fatto la revisione.

Io voglio la chiave nuova con il telecomando.

Chiacchieriamo. Giochiamo. Ridiamo.
Esco.
Lì vicino c’è il mio vivaio. Ora, io da me ho solo un balcone piccolo piccolo, appunto, un balconcino, meno di 2 mq di spazio, quindi sono una cliente sporadica e scarsa.
Ma mi accolgono tutti festanti. Come stanno i limoni. Maluccio. E come sta lei. Meglio dei limoni.
E compro le piantine che vi mostro, le erbe profumatissime e tutte verdi.
Scelgo, carico tutto in macchina (con la chiave di riserva infilata nel blocchetto di accensione e l’altra chiave, quella con il telecomando e il laccetto rosso, affondata in tasca) e porto tutto a casa.
Allestisco il set del mio balconcino.
Niente a che vedere con uno scenario alla Scerbanenco, anzi, l’opposto, vita, calore, sentimenti.
Ah, ecco, sentimenti.
Esco di nuovo, vado a cercare del salmone.
Ho trovato l’aneto, no? Quindi, stasera, in tavola, insieme ci stanno benissimo.
La pescivendola si scusa pure perché non ho trovato il filetto.
Scherzo con il magazziniere del supermercato sul suo nuovo taglio di capelli.
La cassiera è andata a un matrimonio e sabato il parrucchiere le ha fatto una bellissima treccia che ancora dura e che mi sembra bellissima.
Quasi quasi me la faccio anch’io.

La vita pulsa intorno a me.
Nascono gli scambi e i discorsi.
Solo perché mi leggo come una donna astratta ed elegante, non butto le braccia al collo del garagista, cui racconto  il mio impiccio con la chiave e che, semplicemente, mi accoglie.
Mi dice accidenti, mannaggia, mi dispiace, poteva telefonare, rispondo no, no, grazie, ho risolto, ma la chiave con il laccetto rosso me la porto via e per qualche giorno utilizziamo per la macchina quella di riserva.
D’accordo?
D’accordo.

E, Ma Jolie, tu mi perdonerai, ma io non voglio vederti per un po’.
Prendo la metropolitana, oppure, meglio, non mi muovo da casa.
Ma tu non preoccuparti, lo sai, sei la mia macchina prediletta, hai un colore spettacolare, da quando ti ho comprata, meglio, da quando ci siamo trovate, penso che tu sia la macchina più bella del mondo.
E le BMW e le Audi manco mi piacciono.
E poi preferisco viaggiare in treno e in aereo, quindi, noi due, per le piccole distanze metropolitane, sempre e comunque insieme.

Ça va?
Ne sono certa.

Ho tirato fuori dal frigo una più che buona bottiglia di Prosecco e conto di metterla in tavola per fare da scorta al salmone e pure all’aneto.
E appena mi telefonano dall’Assistenza per dirmi che è arrivata la chiave nuova, apriamo lo Champagne che tengo sempre al fresco e brindiamo.
Ci  siamo, Ma Jolie?
Oui et merci.

E grazie a te, sempre.
E non prendertela. Capita a tutti, di avere une panne e une défaillance.

Figurati, a me, che sono una donna di mondo, se fa effetto trovarmi in un guaio.
Sono cose che capitano, no?
Fortuna che poi c’è il verde del vivaio, pure con l’erba pepe, che tutto mette in movimento, meglio degli spostamenti, meglio dei viaggi, e pure meglio del Grande Raccordo, quello che cinge Roma come una corona, oppure come un cappio, separando il centro, quello con 8 (otto) milioni di turisti al Pantheon ogni anno, dalla sua periferia, quella con i palazzi di vetro senza fine, tutte le attrezzature sportive e nemmeno un pezzo di pane.
Eppure, come sappiamo, il pane è vita, cultura, casa, tavola, storia.

Ne riparliamo presto, ti va, Ma Jolie?
Appena ci rimettiamo in movimento, anzi, fammelo dire, appena siamo di nuovo, tu e io, insieme, quindi, in viaggio.