«La strategia amorosa si sa adoperare soltanto quando non si è innamorati» (Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, 24 ottobre 1940)
«Le strategie per intortare l’altro non funzionano se non quando non si accorda nessuna importanza alla relazione» (Sophie Cadalen, psicoanalista dei nostri giorni. Articolo del luglio 2011 strappato dalla mia rivista settimanale francese, ritrovato in un romanzo che avevo sospeso di leggere e che ho ripreso)
(Non c’è niente di nuovo sotto il sole).
Non si scappa.
Pure lui.
Quando Amore si innamora, anche lui si comporta da fantasma.
Ce lo narra Apuleio in una favola contenuta nel suo L’asino d’oro, nota con il nome dei due protagonisti e mai raccontata a sufficienza.
Dunque, c’era una volta un re che aveva tre figlie belle. Belle erano le prime due, ma la bellezza della «più giovane era così straordinaria, così fuori del comune, che le parole apparivano insufficienti e povere non solo per descriverla, ma perfino per lodarla».
Adorata come Venere, la fanciulla bellissima irritò la dea. Che volle punirla, mandando da lei il suo figliolo «alato e scanzonato…sfrenato e insolente» comandandogli di farla innamorare dell’uomo più vile che c’era sulla terra.
La ragazza, che si chiamava Psiche, intanto se ne stava a piangere in solitudine perché tutti l’ammiravano ma nessuno l’aveva chiesta in isposa.
L’oracolo, consultato dal padre, stabilì che lei dovesse essere esposta su una rupe e preparata per il suo funerale, pronta per essere preda di un mostro viperino. Lui sarebbe stato il suo sposo e così si sarebbe consumata la vendetta degli dei. Ma accade qualcosa di inatteso e lei è trasportata da Zefiro in un prato, finalmente si riposa, poi va verso un palazzo incantato pieno di tesori, dove invisibili ancelle le servono « vini profumati come il nettare e vassoi pieni di vivande prelibate».
E adesso arriva il bello.
«Quando ecco che le si accostò lo sposo sconosciuto, salì sul letto e la fece sua, e prima che sorgesse il giorno se n’era già andato. Alcune voci, già attente e vigilanti nella stanza, curarono alla novella
sposa la piaga della verginità che le era stata tolta. Questa cosa si ripeté molte volte. E, come vuole la natura, questa novità ripetuta in una consuetudine assidua finì col procurarle un grande piacere, e il suono della voce sconosciuta riempiva di felicità la sua solitudine».
Lo sposo era invisibile, però lei poteva toccarlo e sentire la sua voce.
(L’ingannatore viene ingannato. Amore si innamora).
Si sa come sono le donne e lei si lamenta perché è sempre sola e vuole vedere almeno le sue sorelle. Lo sposo l’accontenta e le sorelle la raggiungono.
Incredule, invidiose, insinuano in lei il dubbio che lo sposo sia un serpente.
Lei si fa convincere e una notte prepara la lanterna per vedere lo sposo e un rasoio affilato per ucciderlo.
Così «Vide la testa bionda e i capelli fluenti e umidi d’ambrosia, vide sul collo bianco come il latte e sulle guance rosa le morbide ciocche di capelli, sparse sul petto e sulle spalle. Di fronte a quella sfolgorante bellezza anche la fiamma della lucerna sembrava vacillare. Sulle spalle del dio alato splendevano piume morbide di rugiada, sfolgoranti di sfavillante fulgore, e, sebbene le ali stessero ferme, le piume alle estremità tremolavano, sussultando scherzosamente e senza posa. Il resto del corpo era liscio e splendente e tale che la stessa Venere non poteva pentirsi di averlo generato. Ai piedi del letto giacevano le armi dell’infallibile dio: l’arco, la faretra, le frecce».
Lei gioca con le armi, lei si ferisce con una freccia, lei è immediatamente divorata da una passione ancora più grande di quella che aveva provato prima. Si accosta a lui, lo bacia appassionatamente, delira e mentre lei è annientata dal suo sentimento, la lucerna fa cadere una goccia d’olio sulla spalla del dio.
Amore si scotta (succede anche a lui), si infuria, scappa, lei cerca di inseguirlo, il seguito della favola è la narrazione delle terribili prove cui Psiche viene sottoposta per riconquistare lo sposo, prove in cui viene spesso aiutata da creature compassionevoli.
La favola è bellissima, parla di crescita, di trasformazione, di separazione, di riconquista, di curiositas intesa come «risoluzione creativa di problemi» e mette in campo stati d’animo molto moderni. Mi ha sempre colpito, per esempio, che Psiche, che implora il perdono da Venere, sia tormentata su ordine della dea dalle sue ancelle Angoscia e Tristezza, che la seviziano.
Una favola buona anche per i nostri giorni, tenera quando è tenera, spietata quando serve.
Finirà bene, con il perdono e il banchetto, che segnala l’ingresso della giovane donna nell’Olimpo.
Del gruppo Psiche risvegliata da Amore di Canova abbiamo parlato qui.
Vi raccontavo della mia ultima visita al Louvre, dove esso è ospitato, e del momento che lo scultore sceglie per raccontarci la conclusione della vicenda disgraziata della giovane donna. Riprendo qui poche note e le dedico allo straordinario virtuosismo di cui l’artista fa mostra: ha lasciato tracce dello scalpello dentato sulla roccia; al contrario, ha reso la pelle liscissima; ha graduato lo spessore della stoffa, che è pesante a terra e quasi trasparente intorno ai fianchi di lei; ha modellato a parte la fiala del sonno, che Psiche ha aperto nonostante il divieto, e l’ha ripassata con polvere lucidante, lustrandola e incerandola per simulare il metallo; anche le ali di lui sono modellate a parte e sono sistemate sulla schiena in due alloggi, sono spesse, fisiche ma diventano traslucide quando ci batte sopra il sole.
Il gruppo in passato poteva ruotare con la maniglia che vediamo e, nonostante la stasi imposta dal museo, continua a suggerire il senso della rotazione, innestato sulla forma piramidale.
Eros risveglia dal sonno Psiche pungendola con una freccia e le fa bere nettare e ambrosia per renderla immortale.
Vi ricordo anche che Flaubert, quando vide l’opera a Tremezzo, sul lago di Como, a Villa Carlotta, baciò l’ascella offerta di lei, dichiarando poi che quello era stato il bacio più sensuale dato negli ultimi tempi.
Rendiamoci conto: un bacio sensuale dato a un pezzo di marmo.
Potere dell’arte.
Diciamocelo. Longhi avrà pure ragione quando sostiene che l’artista aveva in mente tutt’altro e che, infatti, ritornò alle sue storie sacre senza insistere ulteriormente su queste, profane, però l’Amor vincitore di Caravaggio è il più bel Cupido della storia dell’arte.
Aggressivo, insolente, con quel torso «perfetto come in un antico», lodato come il maggior raggiungimento plastico del maestro, la figura di adolescente dalla ali di aquila armato delle sue letali frecce sembra corrispondere in pieno all’idea che abbiamo di questo sorprendente e spesso sleale sentimento.
Dipinto per Vincenzo Giustiniani, collezionista romano fra i più laici dell’epoca, mette in scena la gran bella natura morta di oggetti per raccontarci ancora una volta, se mai non lo avessimo ancora capito, la sostanza di Amore. Che, lo dice il titolo ripreso da Virgilio, vince su tutto, i libri della sapienza, la corona e lo scettro del potere, l’alloro della gloria, le armi della guerra, gli strumenti e lo spartito della musica e il compasso e la squadra dell’architettura.
Ce lo dicono le canzoni, ce lo ripetono i romanzi.
«”Sai che cosa sono io?…Io sono la nuvola. Io sono il fulmine. Io sono l’arcobaleno. Io sono una bambina deliziosa”. È nuda, inginocchiata sul letto aperta davanti a lui, lo fissa con occhi impertinenti…Mentre Antonio la fissa in adorazione, intimidito da tanta sapienza istintiva, lui con tutto il suo ridicolo armamentario letterario nella crapa».
Questo è Dino Buzzati che paga pegno a Eros e narra in Un amore una storia matta e disperata di un sentimento non corrisposto se non a spizzichi e bocconi e solo sul piano fisico. La giovane Laide è una prostituta, ballerina alla Scala, modella per improbabili fotografie di moda, milanese, dotata di una vivacità popolaresca che fa sì che lui veda in lei anche l’incarnazione dell’anima della città, maliziosa, sfrontata, libera, plebea e notturna, intrepida e sicura di sé, come se l’affermato architetto avesse bisogno di giustificazioni da presentare ai suoi medesimi occhi per lo stato in cui si trova.
Il sentimento amoroso è messo sotto la lente, indagato spietatamente, analizzato come una malattia, sintomi, diagnosi, la prognosi è infausta, assistiamo senza poter fare niente alla discesa agli inferi di un uomo adulto, stimato professionista, disarmato davanti a una donna, menato per il naso da una ragazzetta, ossessionato dalla gelosia, con il cervello succhiato da quella presenza.
Lui è vittima di una stregoneria profonda.
Accade anche che Amore lo inganni ulteriormente e che una mattina gli faccia credere che il nemico aveva levato il campo.
«…era ormai passata quasi un’ora dal risveglio oramai poteva starsene sicuro aveva ansia di andare in studio pregustava la soddisfazione di guardare il telefono con indifferenza e disprezzo suonasse pure finché voleva lui l’avrebbe lasciato suonare sette otto volte prima di alzare il microfono e magari non l’avrebbe neanche alzato…aveva voglia di parlare di lavoro coi colleghi aveva voglia di ridere ah che cosa meravigliosa la vita».
Manco per niente.
In un attimo passa dalla libertà alla galera, aveva capito, aveva sperato male.
«Non camminava più, quindi, di nuovo arrancava col solito tremito attraverso la giornata che stava per cominciare».
Tutto qui, allora, questo sentimento che tutti stiamo a rincorrere, tutto qui, l’amore? Una tortura, una condanna, una cosa meschina, vile, capace di trasformare un uomo in «una specie di sbigottito coniglio».
No, non abbiate paura, o, meglio, non abbiate solamente paura.
Come sappiamo, dall’altro capo della fune che ha in mano Eros c’è Thanatos, «personificazione maschile della morte presso gli antichi Greci. Ricordato già in Omero come fratello di Ipno (il Sonno), compare in Esiodo come dio crudele, figlio della Notte, abitante nel mondo sotterraneo dal quale viene a sorprendere i mortali».
E l’uno tiene a bada l’altro.
Buzzati si mette a indagare durante un viaggio in macchina il senso di ciò che tutti abbiamo sotto gli occhi, scogliera, foresta, rudere, boschi, pianure, fiumi, montagne, mari, valli, cielo, tramonti, tempeste, neve, notte, stelle, vento, metteteci quello che vi pare. Tutto ciò che abbiamo intorno si carica di significato solo perché contiene un presentimento d’amore.
Lei (lui) potrebbe passare da quelle parti e lasciare impigliato un lembo di vita.
Di più.
È vero che nulla più esiste per lui «fuori che lei». Ma è proprio lei che ha allontanato da lui quell’immagine di una torre nera che lo tormentava da quando era ragazzo e quella torre, terribile e misteriosa, era la morte.
Se l’era scordata, non ci aveva pensato per due anni nemmeno una volta.
Non credo che sia una cosa da poco, anzi, credo che sia una cosa nella quale c’è tanto altro.
Amore sarà quello che volete, ispido, duro, scalzo, povero, maledetto torturatore di anime, scanzonato, insolente, ingannatore, un clandestino che ci si annida dentro senza il nostro consenso, un impedimento del respiro, un veleno che ti toglie la forza, una carogna.
Capriccio, inverecondia, sfrontatezza, mistero.
Ma Amore è Vita, su questo siamo tutti d’accordo.
Quindi, ben venga.
Cinzia
15 marzo 2019 — 22:03
Sublime come sempre .
Rosella Gallo
15 marzo 2019 — 22:17
Squisita. E molto generosa. Ma in fondo è vero, è sublime il sentimento. Grazie, di vero cuore, della lettura e del resto