BUONA FINE E BUON PRINCIPIO

Ammetto di aver passato giorni fa mezza serata a cercare nel mio calice di Falanghina, girandolo e rigirandolo da tutte le parti, i «luminosi riflessi verdolini» di cui parlava la scheda del sito di acquisizione.
Niente.
Al punto che ho cominciato a pensare alla faccenda del raggio verde del film di Rohmer, che tutti i protagonisti cercano per tutto il film e che compare per una frazione di secondo alla fine.
Ed è il riflesso del sole al suo tramonto.
Almeno così dicono, perché ho visto il film un certo numero di volte e sul verde della scena finale continuo a nutrire dei dubbi.
Questa ricerca del riflesso verde nel «bel giallo paglierino», che invece si vedeva benissimo, mi è sembrata simile a quella del Graal, in fondo era un calice pure quello, gli sono stati appresso in tanti per secoli, l’hanno raccontato come si racconta un fantasma in letteratura e in musica e tutti abbiamo fatto il tifo per questo e per quello, divertendoci pure, in certi casi, parecchio.
Chissà se nel 2019 riesco a occuparmi finalmente e in pieno della relazione arte-vino.
Che è articolata, profonda, piena di motivi che mi piacerebbe affrontare, voi pensate solo ai nomi delle bottiglie,  divise in tre grandi gruppi, la bordelaise, la bourguignonne e la champenoise, i Francesi, sul vino, chi li batte, e con nomi che vengono in gran parte dall’Antico Testamento: Rehoboam; Jeroboam; Mathusalem; Salmanazar; Balthazar.

Voi pensate solo a quanto Rembrandt ci starebbe dentro.

Rembrandt, Il festino di Balthazar, 1636

Jean-Honoré Fragonard, Jeroboam sacrifica agli idoli, 1752

Ma anche con Fragonard ci troveremmo bene, quando non fa il galante e si occupa di storia, fa pure al caso nostro.
E non sto nemmeno a citare le etichette, spesso piccoli e squisiti lavori d’arte, pensati come tali.
O i sentimenti suggeriti dal vino, cui l’arte darebbe immagini e racconti, andando ben al di là di quelle indicazioni di doni per questo o per quello (il fashionista; il bon vivant; il party boy) che mi danno un po’ il senso del limite, un po’ quello della tristezza.
Comunque, celebro senza esitazioni e per primo il vino, grande protagonista di questi giorni di festa, pure se io in questo senso faccio festa tutti i giorni e faccio benissimo.
(Del resto mi sto preparando a occasioni professionali per l’anno imminente).

E poi celebro il mio blog, visto che questo è il suo primo Capodanno e mi sembra che stia andando avanti nel modo giusto, è nato per raccogliere la voglia di parole che ogni tanto mi prende e tutto si sta svolgendo senza forzature, come speravo. Scrivo quando mi va, quando ho delle cose da dire, il ritmo, il blog, se lo trova da solo, ne riparleremo fra un mese, quando avrà compiuto il suo primo anno di esistenza e potrò fare un bilancio.
Celebro allora la scrittura, tutta: quella a matita del diario, quella con la penna stilografica delle occasioni solenni e quella con il computer, che in me, che ho battuto a macchina le mie due tesi (laurea e Perfezionamento) e che ho vissuto per mesi con il timore di perdere la cartella con dentro le copie fatte con la carta carbone, suscita ancora e sempre un sentimento di stupore. Finalmente una tecnologia utile a qualcosa per davvero e a tutto campo.

E celebro le calze, che trovo sempre bellissime, da mettere e da togliere.
Come diceva uno slogan di qualche tempo fa ma che anche oggi funzionerebbe: «Una donna senza calze è una donna qualunque».

Celebro i guanti, non capisco come si possa vivere senza, lamento il loro scarso utilizzo che rende il mercato asfittico, gli ultimi che ho trovato, pure con i bottoncini, quindi, guanti seri, sono di un’azienda che è sopravvissuta all’ondata di barbarie delle donne che non sanno quello che fanno quando espongono le loro mani senza proteggerle, da agenti atmosferici e dagli sguardi.
Forse l’anno nuovo raddrizza gli umori e rimette i guanti lì dove devono stare: addosso, e non solo in pubblicità che la dicono lunga su come si sta al mondo.

René Gruau

Celebro le sciarpe più che le scarpe. L’altro giorno ho riordinato il mio guardaroba, che è una stanza autonoma a tutti gli effetti, e me le sono guardate tutte.

Celebro i blue jeans, l’invenzione più geniale di tutti i tempi in fatto di indumenti, anzi, devo organizzarmi in queste vacanze e portarli in lavanderia, figuriamoci se i miei blue jeans vedono l’acqua. Capisco il paradosso, di solito sono considerati abbigliamento da battaglia e trattati come tale.
Non da me, che li tratto come se fossero un abito da sera e mi regolo di conseguenza.

Celebro gli orecchini, sulle donne e sui marinai.

E i bicchieri antichi, anche sulla tavola più semplice.
E celebro i discorsi, soprattutto quelli generati dal vino e dai bicchieri, come vedete, tutto si tiene.
Rousseau, a proposito di Madame de Warens, sua amante, protettrice, più vecchia di lui di dodici anni, usa questa formula: «Lei è la sola persona con la quale io non ho mai sentito quella secchezza di conversazione che è per me un supplizio dover sostenere».
La sola persona, ci siamo?
Non so voi.
Io, per quanto disinvolta, per niente timida, con facilità di comunicazione e tutto il resto, faccio discorsi che amo con una o due persone al massimo.
E forse con una sola.

Celebro i romanzi, in particolare quelli che rileggo, mi accorgo quasi sempre di avere sottolineato frasi che pure oggi metterei in evidenza.

Henry VIII, lui

Celebro i film e le serie TV, che io in TV non vedo mai e che vedo quindi anche con dieci anni di ritardo, cosa che non mi disturba affatto, visto che a quel punto non devo aspettare e tutti gli episodi, al contrario, mi aspettano.
Sono un’impaziente, e poi amo lo spoiler, quindi vado pure a vedere come finisce.
Quanto  mi piacerebbe collaborare alla sceneggiatura di una serie.
Quella che sto vedendo adesso con Enrico VIII ha un unico problema: il protagonista. Giovane, bello, appassionato, atletico, intelligente, ambizioso, cattivo quanto basta per avere momenti di debolezza e perdere pure una sfida a braccio di ferro. Inoltre è re.
Ditemi voi se vedete in giro un uomo alla sua altezza.

Celebro il lavoro, che mi dà da mangiare e mi realizza.
Il discorso non è facile, è il lavoro a essere difficile, certe cose vengono bene, su altre è normale rompersi la testa, metto in conto tutto, successi e scivoloni, momenti di esaltazione e quelli in cui non sembrano esserci sbocchi, con il lavoro la relazione è continua, domando spesso alle persone se amano il proprio lavoro, pensateci, se la vostra risposta non è un sì pieno ed entusiasta, il nuovo anno porta sempre con sé la possibilità di cambiare.

Celebro gli amori e i disamori, questi ultimi, che aiutano a misurare la distanza e ti fanno capire come i sentimenti possano cambiare e come, senza quel sentimento, quella persona non è più la stessa.

Celebro gli studenti, ma solo quelli bravi.
Lo studio lo celebro sempre e quotidianamente: lo studio fa parte del lavoro, anzi è ciò che il lavoro lo regge tutto, senza studio camperei di rendita una settimana, d’accordo, forse un mesetto, poi sarei io la prima ad accorgermi che giro a vuoto e il giorno dopo se ne accorgerebbero gli altri.

Celebro le creme e i cosmetici, principale voce indispensabile del mio bilancio insieme agli alcolici. Se il condominio è necessario, desidero che ci sia qualcos’altro di essenziale nella mia esistenza.

Celebro gli ingrati, avranno la memoria corta. O avranno le loro buone ragioni.
Ma celebro di più la gratitudine, che è un sentimento bellissimo e che bisogna sempre esprimere.

Celebro le pulizie domestiche, anche se se ne occupa qualcun altro, la casa è fondamentale che sia tenuta in ordine, soprattutto quando volge al termine l’anno vecchio e bisogna prepararsi ad accogliere quello nuovo con tutti i crismi.

Celebro i maschi e le femmine, per motivi diversi.

Celebro l’amicizia, quella rara e vera.

Celebro il pane, quello croccante con la crosta e ogni tanto anche i panini al latte.

Celebro l’acqua, quella piatta. Con un limone spremuto dentro, è la mia ordinazione regolare al bar e mi fa molto piacere quando qualcuno se ne ricorda.

Celebro le bugie e le menzogne, quelle veniali che facilitano l’esistenza, ma pure quelle mortali, che certe volte sono indice di gentilezza. La verità la cercano gli artisti, i giudici e i filosofi, se si mettono a cercarla anche i mariti, le mogli e la madri, qualche guaio esce sempre fuori.
«Il faut cultiver notre jardin», come diceva Voltaire e il giardino va coltivato a ogni costo, a costo di mentire sulla sua ubicazione, sui suoi confini e pure sui fiori che ci facciamo crescere.

Celebro i miei due pesci rossi; la mia macchina, soprattutto quando è pulita e ha un colore bellissimo, e la mia bicicletta, che devo lavare; la città più della campagna; il freddo dell’inverno che dà un senso al  mio amare la casa; i golf stretti e aderenti e pure quelli larghi, nei quali ci si sente avvolti;  le t-shirt, che risolvono tutto, tutto l’anno; la poesia; l’arte, nemmeno a parlarne; la bellezza, però pure ciò che è brutto, che quasi sempre ha un senso e un carattere; l’intimo, che, vi ricordo, è un superlativo di qualcosa che sta dentro: intimo in tutti i sensi, in quello della biancheria e in quello delle anime che si riconoscono.

E celebro questi ultimi giorni di un anno che finisce e mi auguro che per tutti noi finisca nel modo giusto: con un bilancio che possa essere per quanto possibile positivo e con la speranza che l’anno nuovo sia migliore.

Con tutti i miei auguri a voi per il 2019 e con tutti i miei sentimenti.

4 Comments

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  1. Meraviglioso
    Da piangere….

    • Sabina, ti prendo al volo e ti abbraccio, riconoscente, per tutti i nostri scambi, augurandoti le cose migliori e più belle, grazie e Buon Anno, che sia felice, brillante e pieno di successi

  2. Buon anno a te cara Rosellina . In questo momento sto celebrando l’amicizia. Quella con te, perchè ho appena finito di leggerti con gioia ; quella con Patrizia , grande donna che il 24 dicembre è entrata nell’eternitá e che domani saluteró per l’ultima volta 😧.
    A te, grazie di esserci e grazie di nutrirmi ogni giorno di poesia ❤.

    • Lucia cara, il tuo approccio al congedo finale mi commuove sempre, è come se così ci fosse capacità di commozione nel momento più aspro del distacco. Sono con te in questo saluto dolente alla tua amica. Grazie delle tue parole, a te vanno tutti i miei più affettuosi auguri, da estendere al mio amico Architetto e alle magnifiche ragazze. Che il tuo 2019 sia felice

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