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A CONTI FATTI

Damiano Damiani, La Noia, 1963

Questo post parla di denaro, quindi, se voi pensate che esso sia lo sterco del diavolo (certe volte lo penso pure io, ma poi come fai), vi invito a passare oltre.

Io seguo sempre i consigli di Umberto Eco su come si scrive.
Qui, però, mi permetto di fare di testa mia.
«Non usate troppe cifre in numeri arabi», dice lui, a meno che non stiate scrivendo di matematica.
Mi dispiace che non abbia contemplato la possibilità di un post di un blog che parla di soldi, ma secondo me è successo solo perché non ha fatto in tempo.
E sono sicura che il grande semiologo, secondo me l’uomo più intelligente d’Italia, da dove sta, sia d’accordo su quello che sto facendo.

Andiamo allora a cominciare.
Con qualche nota che vale come introduzione.

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LA COSCIA DELLA NINFA E QUELLA DEL VINO

Rosa Cuisse de nymphe émue

Ho comprato su Amazon un nuovo tappetino yoga.
Ho scelto quello più costoso. Niente di che, il prezzo di una cena in un locale normale, però, per un tappetino, con quella cifra si ha diritto a un oggetto solido, antiscivolo, di fascia alta, pesante.
Se non te lo devi portare in giro (non me lo devo portare in giro), pesante è meglio, non scappa da tutte le parti, sta incollato al pavimento, quando lo arrotoli, sta in piedi da solo.
Quello vecchio ormai era tutto scollato.
Con un tappetino, un paio di pesetti, detti manubri, e uno smartphone, tu hai la palestra in casa.
Ti scegli l’istruttore.
Io ho tutte istruttrici, che cambio a seconda dell’umore. Esse sono tutte americane e tutte brave, molto più brave di tutti gli istruttori che ho incontrato in vita mia.

Juliana, una delle mie istruttrici (con tappetino)

Io con la palestra e gli istruttori ho fatto quello che tanta gente che conosco ha fatto con la scuola e i professori: non ci siamo presi.
Quello che non si capisce mai è di chi è la colpa.
Io ho incontrato solo istruttori che non avevano voglia di stare dove stavano, io li capisco, povere creature, loro, che si destinavano a una carriera di atleta di alto livello, ridotti a una palestra di quartiere sporca e male insonorizzata, spesso in corsi femminili, che si chiamavano proprio così e che loro non amavano e allora vai con le battute, il gineceo, il pollaio, l’ultimo dei miei istruttori scherzava sempre in questo modo e intanto si guardava allo specchio.
La caratteristica comune di tutti gli istruttori di palestra che ho avuto era che si guardavano allo specchio come ossessi, guardavano solo se stessi, mai che dessero un’occhiata al corso, io li capisco, povere creature, sei così ben fatto e così pieno di muscoli, che perché dovresti guardare altrove oltre che nello specchio.
Ovvio, che se tutti facessero così, professori in aula scocciati, cassiere al supermercato scocciate, medici in ospedale scocciati, autisti della metropolitana scocciati, camerieri in pizzeria scocciati, donne delle pulizie scocciate, il mondo sarebbe ancora peggio di quello che è.

Un tappetino, fra l’altro grigio e rosa, quindi, elegante, due pesetti, detti manubri, uno smartphone e exit tutti gli istruttori.

Se si potesse fare lo stesso coi professori, le cassiere, i medici, gli autisti, i camerieri e le donne delle pulizie, la vita sarebbe fantastica.

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L’ERBA DEL VICINO

E soprattutto ricordarsi che far poesie è come far l’amore: non si saprà mai se la propria gioia è condivisa.

Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, 17 novembre 1937

Ci sono quelli che scrivono bene ma che non hanno niente da dire.
Ci sono quelli che hanno delle cose da dire ma che scrivono male.
Ditelo con i fiori. Se fosse possibile, come per i suddetti, fare degli innesti, saremmo a posto.
Quelli che scrivono bene ma non hanno niente da dire riscriverebbero gli scritti di quelli che hanno delle cose da dire ma scrivono male e saremmo tutti contenti.
Ma non è così facile.
Più volte nella vita mi è capitato di sentirmi chiedere di leggere qualcosa che qualcuno aveva scritto.
La volta più surreale fu quella in cui mio fratello, prima più piccolo, ora più giovane, mi mise sulla scrivania i due tomi appena rilegati della sua tesi di laurea e mi disse: «Leggi».
L’unico problema è che era una tesi in Ingegneria dei trasporti e che dovetti stare attenta a non confondere le virgole della grammatica con quelle della matematica.
Tutta la tesi era fatta solo di formule e di qualche frasetta qui e là, sulla quale mi concentrai.
Per un paio di decenni ho riletto tutto quello che scriveva una persona a me molto vicina, che faceva ricerca.
Chissà le cose che avrai imparato.
No.
Il diritto costituzionale è una disciplina super sofisticata e super specialistica, praticamente fra il diritto costituzionale e l’ingegneria dei trasporti c’è poca differenza.
Di senso.
Ma ho letto tutto e tutto corretto quando c’era da correggere.

La responsabilità del primo lettore è grande, quindi il lavoro va fatto responsabilmente.

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SUL CORPO

André Derain, Femme nue couchée, 1940

Mentre Francesco mortificò tutta la vita il corpo fragile e malato con penitenze da lui stesso giudicate in seguito eccessive… (chiamava spesso il corpo «frate asino», da maltrattare senza troppi riguardi), fu invece sempre molto comprensivo e indulgente verso i compagni e il prossimo.

Chiara Frugoni, Vita  di un uomo: Francesco d’Assisi

Omelette al pomodoro, vitello all’orientale, besciamella con capperi, mostarda, quattroquarti, bigné al cioccolato e una torta che chiamava «la mia torta», che era pesante e carica di zucchero.

Maria Callas, prima

Maria Callas nutriva una passione segreta per le ricette di cibo, che collezionava e passava al suo cuoco personale.
Poi, a mangiare erano i suoi ospiti.
Lei, no.
Anche questa è una soluzione.
La sua carriera comincia nel 1947 ed il suo peso è kg 108 per m 1,73 di altezza.
I numeri in questo post compariranno poco, i numeri sono crudeli e implacabili, quindi su di essi la discrezione è una consegna.
Del resto qui noi ragioniamo non sui numeri ma sul corpo.

Anzi, per la precisione, sul corpo delle donne.

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GLORIA DI ROMA

Rosa Gloria di Roma

Fanno rete, è evidente.
Laddove noi facciamo famiglia, mafia, massoneria.
Loro, no.
Se potessi congiungere i puntini degli account Instagram che seguo, come sulla Settimana Enigmistica, Che cosa apparirà, uscirebbe fuori la rete delle giovani donne che seguo.
Tutte impegnate a creare. Molte, che scrivono bene.
Io da una bella penna sono disposta a leggere pure cose di cui non mi importa niente: tennis, politica, coltivazione dei funghi.
It’s the Singer, not the Song, come sempre.
Ieri, però, nella Newsletter del pomeriggio, quella della mattina tratta di altro, è uscito fuori un argomento delicato, spinoso, sensibile.
Una lettrice scrive in privato alla blogger, blogeuse, poi diventata giornalista e Instagram Coach, che ha deciso di sospendere temporaneamente di seguirla perché poco le interessano gli argomenti che lei sta trattando di recente e, soprattutto, perché si sente ingannata da una serie di post, tutti uguali e che compaiono contemporaneamente su account diversi, che le sembrano una pubblicità mascherata.
(A me sono sembrati una pubblicità bella e buona).
La lettrice chiarisce che lei trova le creatrici di cui lei parla extra, dice proprio così, e che segue pure loro, ma che si sente manipolata.

Siccome seguo quelle creatrici pure io, la faccenda mi interessa.

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DUE FILM DI JANE CAMPION. 2: BRIGHT STAR, 2009

Jane Campion, Bright Star, 2009

Bright star! Would I were steadfast as thou art-
Not in lone splendour hung aloft the night…
(Oh fossi come te, lucente stella,
costante – non sospeso in solitario
splendore in alto nella notte…)
John Keats, Bright Star

Sono andata a scuola quando la scuola era una cosa solida e affidabile.
Certo, non perdonava, in quarto ginnasio eravamo trentadue studenti e in quinto, sedici.
Al 50% degli iscritti fu detto chiaramente di cambiare aria.
Comunque a me la scuola ha dato tantissimo, certi giorni penso che mi abbia dato tutto.
Non riesco a ricordare quando la scuola mi ha dato John Keats, se fu alle medie o al ginnasio, ero ragazzina, ma non mi ricordo quanto.
Pensai subito però che mi fosse destinato.
Saputo che il poeta era venuto a Roma in cerca di un clima migliore e aveva abitato a piazza di Spagna, feci un primo passo e andai a vedere la sua casa.
Poi seppi che lui era morto qui a venticinque anni e che era sepolto al Cimitero che chiamiamo degli Inglesi.
Un giorno dunque presi il tram da Prati e andai fino a Testaccio, in un viaggio che nel mio immaginario avrei paragonato in seguito a quello di Ada, dalla Scozia alla Nuova Zelanda.

Pensai che il Cimitero era il luogo più romantico che avessi visto.
E lo penso ancora oggi, con tutti i cimiteri e i luoghi romantici che ho visto in vita mia.

Dunque, l’intuizione fu esatta e la relazione fu da subito intensa.

Roma, Cimitero detto degli Inglesi, tombe di John Keats (a sin.) e dell’amico Joseph Severn

Allora, si fa così.
Avendo io la regola di non entrare mai in contatto reale con gli scrittori che prediligo e di mai fare niente di analogo nel cinema e nell’arte in genere, quando uscì il film di Jane Campion dedicato a Keats, che prende il titolo dall’incipit di una delle sue poesie, pensai e adesso che faccio, come niente il mito si incrina.
E invece.

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A LADY

Jane Campion, Ritratto di Signora (Portrait of a Lady), 1996

Per cominciare.
Non è, questo, il secondo film di Jane Campion di cui vi voglio parlare dopo avervi parlato del primo.
Il secondo film devo finire di vederlo. E ci sto sopra da dieci giorni.
E che è successo.
È successo che lo sto tenendo distante, che lo sto centellinando, che trovo tutte le scuse, devo andare a cena, piove e il mio salotto non è nella condizione  ideale per ospitarne la visione, ormai si è fatto tardi, mi serve un’altra scatola di fazzoletti perché la prima l’ho finita.
(Su questo film ho già pianto tantissimo. Non riesco a pensare quanto avrò pianto alla fine).
Invero, a dirla tutta, sto facendo come Nicolas Poussin che, mentre in lui ardeva il desiderio di venire a Roma, trovava pure lui tutti i pretesti per fare altro: va a nord invece che a sud; contrae un debito e non ha i soldi per il viaggio; trova i soldi e se li spende tutti con gli amici; si stabilisce a Lione e a Parigi.

Nicolas Poussin, Autoritratto, 1650

Insomma, sotto ci deve essere una storia di attrazione, per essere catturato devi entrare nell’orbita, se stai all’esterno, ti sottrai. L’artista impiega dodici anni prima di realizzare il desiderio di venire a Roma, dove rimane e dove è sepolto, per la precisione in San Lorenzo in Lucina.
Quindi, la fascinazione che provava (e temeva) si è realizzata tutta.
Dunque, io non sto messa poi troppo male, fra i miei dieci giorni e i suoi dodici anni, c’è ancora un po’ di margine.
Il secondo film è talmente bello e ho una relazione così complessa con il protagonista, che ieri ho addirittura pensato di fare una pausa, questa, davvero introvertita: ho tolto il dischetto dal lettore, cioè ho anche, come si dice a scuola, perso il segno e ho visto un altro film, sempre di Jane Campion.
Però Ritratto di signora si è rivelato a distanza di anni quasi inguardabile.

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DUE FILM DI JANE CAMPION. 1: THE PIANO (LEZIONI DI PIANO), 1993

Jane Campion, The Piano, 1993

Nudo, l’attore è inguardabile.
Over 50, basso, tarchiato, con qualcosa più di un inizio di ginecomastia, ovvero con mammelle quasi femminili, il pene penzoloni fra le gambe, che, in quello stato, sembrando lui una scimmia, almeno lo libera dall’immagine della scimmia in foia.
La faccia tatuata.
La bocca come un orifizio di salvadanaio.
In più analfabeta.
Le unghie orlate perennemente di nero.
Uno che se la fa con i selvaggi.
Eppure bastano un paio di secondi e una donna lo comincia a guardare diversamente.

George

È l’occhio dell’autore che guida lo sguardo dell’altro e dunque lo sguardo, inaspettatamente, prima accetta, poi compie un balzo fino al desiderio.
E il desiderio circola per tutto il film, come un refolo di vento che sale su se stesso, a tratti e ti trasporta.
E in questo caso l’autore è una donna, quindi, una regista che, per forza di cosa, rappresenta se stessa.
E arriva al capolavoro, che è rimasto tale anche dopo ventotto anni.
Anzi, se possibile, la bellezza del film è aumentata, sarà che è passata la vita, sarà che è cresciuta l’esperienza.

Parlo per me, ovviamente.
E per chi volete che parli.

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VOGLIA DI CENTRO

Roma, piazza di Spagna, tempo fa

Ieri mi sono truccata, pettinata, vestita e ho fatto quello che fanno da sempre le signore: sono andata in centro.
Quando sono rientrata ero ormai convinta che, non so a Milano (anche se a me, di Milano), ma sicuramente a Roma, si può vivere senza andare in centro.
Perché il centro di Roma è diventato infrequentabile.
Definitivamente.
Ma perché sono andata in centro. Perché volevo fare acquisti che non mi andava di fare in internet: profumo, ombretto marrone, calze, bagno schiuma, cercavo anche il balsamo per i capelli.
Che non ho trovato.
E che ho comprato oggi in internet.

Ma procediamo con ordine.

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ROOM SERVICE

Room Service, Hotel Le Pigalle, Parigi (foto Yacine Diallo, 2021)

…l’hotel è un luogo di erotismo che sembra favorire la creazione,  tirare fuori l’anima dal suo letargo
(Nathalie de Saint Phalle, Hôtels letterari, 1991)

Bill Clinton aveva un bellissimo accento del sud, morbido e avvolgente.
Unito alla prestanza fisica, voi capite che poi.
Barack Obama era un grande avvocato, un oratore, non potevi non incantarti.
Mi chiedo perché i nostri politici parlino tutti così male, già fai fatica ad ascoltarli; a prenderli sul serio, poi.
I toscani ostentano l’accento toscano.
I milanesi ostentano l’accento milanese. E qui non posso non sospettare che dietro ci sia il retropensiero di Roma ladrona, che, essendo io romana, trovo fastidioso.
E passiamo allora alla Capitale, che ha un nuovo sindaco.
Che, quando parla, evidenzia due caratteristiche: 1. Ha l’accento romanesco, nonostante la cultura e la carriera universitaria. Ma questo non è nemmeno antipatico, almeno per me, perché lui è sindaco di Roma e non, mettiamo, di Forlimpopoli o di Abbiategrasso, quindi ci può stare; 2. Ha una brutta voce, e qui il nodo è più difficile da sciogliere.
Che fa uno con una brutta voce.
Per prima cosa, deve rendersene conto. Poi, cerca di correggersi.
Ho chiesto ad alcune persone se avevano notato la voce del nuovo sindaco e mi hanno detto di no.
Evidentemente l’ho notato solo io.

Sarà che ho problemi di voce e che, quindi, è probabile che io, con le voci, sia in fissa.

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