Mutatis mutandis.
La mia insegnante di Storia e Geografia delle scuole medie, severa e molto brava, un giorno ci spiegò che cosa significava la locuzione: cambiato ciò che deve essere cambiato, ovvero, con le dovute variazioni, due situazioni che si somigliano sono, nella sostanza, uguali.
Dunque, mutatis mutandis non significa cambiatevi le mutande.
Anche se le mutande si chiamano così perché devono essere cambiate.
Spero di essere riuscita a spiegarmi.
Le mutande sono un argomento intimo e privato e la cosa più carina che le riguarda e che cito spesso è la posizione di Francesco, che impose a tutti i suoi frati di indossarle sempre, laddove Benedetto, nella sua Regola, aveva prescritto «che solo durante il viaggio i monaci portassero eccezionalmente le brache, per motivi di pudore e convenienza, quando potevano aver bisogno di sollevare la veste per preservarla dal fango o per avere più liberi i movimenti».
Al ritorno, l’indumento andava lavato e restituito al superiore.
Francesco «fa delle brache un capo stabilmente presente», come se lui e i suoi frati fossero sempre in cammino.
Ci racconta questa piccola cosa deliziosa Chiara Frugoni, che non si chiama Chiara per caso e che ha scritto cose molto belle dedicate al suo santo di elezione.
Ma torno al cuore del mio discorso: tutto ci dice che le mutande sono una faccenda delicata, voi pensate solo all’altra locuzione: restare in mutande, che equivale a «rimanere senza soldi, in estrema povertà».
Insomma, non c’è da augurarsi di trovarsi in questo stato.
Page 5 of 44
Giorni fa mi è successa una cosa bella e allora ho deciso, per ricordarmela, di farmi un regalo che mi restasse.
Cioè, niente creme, niente profumo, niente vino, i regali che mi faccio di solito.
Quelli finiscono, mica restano.
Ho lasciato fare al Caso.
Io sono una che ama decidere e che decide in fretta, però questo è un periodo in cui da decidere c’è poco o niente, quindi ho pensato di andare a vedere che cosa c’era dall’altra parte dello specchio, quando a decidere non sono io.
Se voi fate caso al Caso, vi accorgerete che vi arrivano a raffica suggerimenti: che incontri fare, che libri leggere, che film vedere, che bottiglia aprire, da che parte girare quando uscite dal portone del vostro palazzo, se a destra o a sinistra.
Ed è stato così che mi è saltato agli occhi il Pia’s jumper.
Ora vi racconto.
Nerd
s.m. e f. inv.
Tipo umano, spec. giovane, poco portato per la mondanità, la socializzazione e lo sport, che trova soddisfazione e riscatto negli studi, soprattutto nell’informatica
Mi sono comprata uno smartphone nuovo.
È qui, vicino a me, nero come la notte, elegante, assoluto.
Buio.
L’ho scelto facendomi suggerire il modello dal tecnico della Vodafone di via Appia, un tizio che trovo terribile, rozzo e maleducato, però mi sono detta di telefoni se ne intende.
Sono entrata con una scusa, lui mi ha abbaiato subito che era meglio se cambiavo telefono, io gli ho chiesto quale modello fosse l’evoluzione del mio.
Lui ha sputato l’osso.
Ho guardato su Amazon.
Mi stava tutto bene, il prezzo e la consegna.
Sono passata dal mio tecnico del telefono di via Enea, uno degli angeli custodi della mia vita, gli ho chiesto se potevo contare su di lui per il trasferimento dei dati.
Certamente. Ma potevo anche comprare da lui il telefono, bastava ordinarlo.
Ed è stato così che, in anticipo sui tempi lunghi previsti, un giorno mi è arrivato un messaggio che diceva il telefono è qui, venga quando vuole.
Sono passata a guardarlo e a toccarlo, e mi è sembrato bellissimo, super chic, super sleek, sicuramente super performante.
Ma era tardi e abbiamo deciso di rimandare tutto, fra una cosa e l’altra, a un paio di giorni dopo.
E dire che la temperanza non so nemmeno dove sta di casa.
Quel paio di giorni dopo, ho portato il mio vecchio smartphone all’angelo custode, l’ho salutato, sto parlando del telefono, e, se avessi potuto, avrei anche organizzato una cerimonia d’addio.
Due ore dopo passavo a prendere i miei due telefoni.
Quello vecchio, ancora acceso e parzialmente funzionante.
Se vi state chiedendo se mi è scesa una lacrima, la risposta è: sì.
Rosa gallica. Arbusto, a foglia caduca. Fioritura: VI-VIII. Altezza: m 1-1,85
Originaria dell’Europa centrale e meridionale. È una R. antichissima, capostipite di molti ibridi, che ha giocato un ruolo importante nella creazione delle R. moderne…
Ippolito Pizzetti, Enciclopedia dei Fiori e del Giardino, 1998
Rosa Gallica Officinalis. Peggio delle logopediste, chissà poi perché tutte donne, ci sono solo gli psicologici, questi, di genere misto.
Ma, almeno, dallo psicologo non ti ci manda nessuno, ci vai da solo in un momento di confusione, che lui, svelto, ti accentua.
Dalla logopedista, no, ti ci manda il foniatra, quando non sa più che pesci prendere e quando già ti ha dato il cortisone e l’integratore (da cui la rosa officinale, dunque, anch’essa farmaceutica).
Lui pensa proviamo pure questa ed eccoti infilato in un guaio.
Ed è stato così che un paio di giorni fa mi sono sentita dire che potevo pure continuare la mia vita sociale con gli aperitivi, a patto di berli non alcolici.
Lì ho dovuto chiarire che a. non faccio vita sociale; b. l’unica cosa interessante dell’aperitivo è l’alcol.
È evidente che dopo questa mia uscita il colloquio con la logopedista è stato tutto un capitombolo, con divieti, proibizioni, prospettive che più deprimenti non si può, voi non sapete quanto può essere noiosa questa categoria di gente, che torture può inventarsi, secondo me questi dovrebbero leggere più romanzi (ammesso che ne leggano qualcuno) e vedere qualche bel film.
Capirebbero, almeno un po’, come si sta al mondo e come aiutare il paziente.
Che poi dovrebbe essere, questo, il motivo per cui stanno lì, si impancano e danno consigli.
Del resto, se una persona la prima volta che mi vede pensa che io sia una vita sociale e aperitivi, non è che sia un campione di intuizione, pure il parrucchiere, quando è bravo, capisce in dieci secondi fin dove arrivare con la nuova cliente, se rimanere conforme o uscire di testa.
ISRAELE È ATTUALMENTE CHIUSO PER I (sic) STRANIERI
Sito della EL AL, compagnia di bandiera di Israele, novembre 2021
La signorina non le manda a dire.
chagallantonella Che costume da truzza
carlottavagnoli @chagallantonella non sai quanto vorrei che tu potessi guardarmi ora, mentre indico la vastità del cazzo che me ne frega.
charlypal98 “Lo spazio ed il tempo”??? Ma come scrive?
carlottavagnoli @charlypal98 tendenzialmente come cazzo mi pare.
(Notare la presenza sempre del punto fermo alla fine della frase).
C’è una generazione di donne, ma forse sono più di una generazione, diciamo che sono donne fra i trenta e i quarant’anni, che abbraccia uno stile espressivo aggressivo e disinvolto, che si mostra molto, come sempre fanno le donne, che ha molti tatuaggi, che pubblica molte foto di sé in biancheria intima, costume da bagno, durante servizi fotografici, insomma, scatti in cui il corpo deve vedersi.
Sono arrabbiate.
E come sempre accade con tutti gli arrabbiati, non si capisce mai del tutto con chi e con che cosa ce l’hanno.
Furba.
La lineetta del gallio segna 38,4 a tre giorni dalla partenza.
Il tutto dopo più di un mese trascorso in reclusione, parlando niente, poco o male, aspettando che la voce tornasse e si mettesse a posto.
Il corpo, quello di cui discorrono sempre coloro che si sono messi in fase con l’universo, che hanno fiducia nel loro cammino di illuminazione interiore, che hanno deciso di rallentare, di vivere in piena coscienza, meditando e mangiando sano, diventando, già che ci sono, astemi e, con un po’ di buona volontà, pure santi, insomma, il corpo, per me rappresentato dal termometro che mi bolliva in mano, aveva un suo punto di vista.
«Ci vai tu, a sbatterti fra macchina, aerei e treni; a farti a piedi quindici chilometri al giorno di passaggi sotterranei della metropolitana; a dormire nell’albergo del decoratore inglese; a vedere mostre e musei con l’obbligo di osservare tutte le disposizioni sanitarie; a passare in rassegna bar à cocktail, bistrot, ristoranti; a scapicollarti in quella fila di negozi che hai messo uno dopo l’altro insieme alla lista acquisti. Io faccio altro. E sai che faccio: mangio e dormo, poi dormo e mangio e quando ho finito di mangiare e di dormire, ricomincio a dormire e a mangiare».
Mi arrendo.
Cancello tutto e aspetto di sfebbrare.
E mentre aspetto, controllo febbrilmente la mia Home di Instagram, a scorrere la quale si sarebbe detto che tutto il mondo dormiva nel mio albergo, visitava le mie mostre, mandava giù il mio cocktail, beveva il mio vino, mangiava nel mio piatto.
Furba.
ELVIRA Mio tesoro!
LEPORELLO Mia Venere!
ELV. Son per voi tutta foco
LEP. Io tutto cenereWolfgang Amadeus Mozart – Lorenzo Da Ponte, Don Giovanni, Atto II, Scena III
Ieri sono andata a portare le lenzuola da stirare alla signora Anna della lavanderia e ho trovato la saracinesca calata.
Sopra, un foglio scritto a mano, che diceva che avrebbero aperto nel pomeriggio.
Quando sono ripassata, lei mi ha detto che la mattina c’era stato il funerale della suocera.
Cominciamo a mettere sul nostro tavolo alcune carte.
La suocera della signora Anna è morta all’età di centodue anni, non si alzava dal letto da un pezzo e non ragionava più.
L’abnegazione della nuora, che l’ha assistita e organizzata in tutto e per tutto per anni, si è spinta fino ad andare ad abitare due mesi fa nel medesimo appartamento, che poi, per inciso, è di sua proprietà.
Di proprietà di Anna.
Questo trasloco, che io non ho capito fino in fondo sebbene me lo sia fatta spiegare, ha comportato la coabitazione con il corpo della defunta, durata tre giorni.
Io sarei andata a stare in albergo.
La signora Anna mi ha detto che ha aperto le finestre, ha chiuso la porta e che ogni tanto guardava la lama di luce che passava dalla soglia: la lampada del tavolino da notte era accesa perennemente.
Io mi sono già occupata qui dell’umanissimo tema della morte.
Oggi voglio andare oltre e provo a riflettere con voi su alcune pratiche nostre, contemporanee, che mi lasciano perplessa, come se la nostra società, stranita e in punto di svolta, non avesse affatto le idee chiare su parecchi argomenti.
Statemi a sentire.
Ci vuol passione / Molta pazienza / Sciroppo di lampone / E un filo di incoscienza / Ci vuol farina / Del proprio sacco / / Sensualità latina / E un minimo di stacco / Si fa così / Rossetto e cioccolato /
Che non mangiarli sarebbe un peccato / Si fa così / Si cuoce a fuoco lento /
Mescolando con sentimento….(Oscar Avogadro, Ornella Vanoni, Roberto Pacco, «Rossetto e cioccolato», 1995)
Allieva di Roberto Longhi, il più grande storico dell’arte italiano di ogni tempo, lei sfidava tutti i trenacci (dico: i trenacci) che prendevamo insieme al ritorno con i suoi tailleur di taglio superbo.
In vista di Roma, più o meno, diciamo, all’altezza di Ciampino, lei tirava fuori dalla borsa il rossetto e se lo metteva.
Raccontava spesso la storia della scialuppa dei naufraghi che avevano perso la speranza.
Fra loro c’era pure un’infermiera, che a un certo punto aveva preso dalla tasca della divisa un rossetto sopravvissuto alla catastrofe e si era dipinta le labbra.
Tutti avevano ritrovato il coraggio.
E io presi dunque l’abitudine, ogni volta che il treno si avvicinava alla Stazione Termini, di pescare il rossetto dal mio astuccio e di usarlo.
Come in un rituale, non sono mai venuta meno a questa abitudine, certe volte arrivando anche a fare una visita ai truccatori della profumeria della stazione per salutarli, farmi dare una sistemata se avevo un appuntamento, provare un nuovo colore.
Qualche tempo fa, qui noi avevamo già parlato di labbra.
Rieuse, m’apporta des tartines de beurre, / Du jambon tiède, dans un plat colorié / Du jambon rose et blanc parfumé d’une gousse / d’ail, – et m’emplit la chope immense, avec sa mousse / Que dorait un rayon de soleil arriéré
Sorridente, mi portò delle tartine di burro, / Del prosciutto tiepido, in un piatto colorato / Del prosciutto rosa e bianco profumato di uno spicchio / d’aglio, – e mi riempì il boccale immenso, con la sua schiuma / Che un raggio di sole tardivo indorava
Arthur Rimbaud, Au cabaret-vert, cinq heures du soir (Alla locanda verde, alle cinque della sera)
Il quiz.
Indovinate che cosa sono queste tre diete.
- Colazione: pudding di semi di chia (1 porzione)
Pranzo: insalata di polpo + carciofi + 1 frutto
Cena: pesce al forno + bieta all’agro, olio evo + 1 frutto
Spuntini: noci, pistacchi e mandorle, parmigiano, rotolini di pancetta con formaggio - Colazione: muesli + yogurt magro + frutta fresca
Pranzo: zuppa di lenticchie con quinoa + 2 fette di pane + una
porzione di verdura + 1 frutto
Cena: calamari in umido + insalata
Spuntini: 150 gr di yogurt greco senza grassi + frutta - Colazione: tè con cinque fette biscottate + 1 frutto
Pranzo: gr 70 di pasta con sugo di pomodoro e basilico + gr 100 di formaggio (parmigiano o emmenthal) + 1 frutto
Cena: carne (manzo, pollo, maiale) ai ferri; oppure pesce; oppure uova, anche in omelette bella baveuse, in numero di tre, disfatte e non sbattute; verdura stufata; 1 frutto
Oppure, a capriccio: pizza, patatine fritte, salumi
Pane a piacere
Sono consentiti olio e burro
Mai cibi 0% grassi
Niente dolci
Niente spuntini
Mai superalcolici (con l’eccezione di un cocktail quando la situazione è sufficientemente letteraria o cinematografica per consigliarlo)
Vino solo dopo le 18:00
Bravi.
La dieta n° 1 è la chetogenica, basata sul principio che per sottrarre grasso all’organismo, quindi per dimagrire, devi indurlo a consumare i grassi che già hai in corpo. Quindi, niente carboiadrati, ovvero niente pane e niente pasta; pochissima frutta.
La dieta n° 2 è la Weight Watchers, che comporta l’attribuzione di punti a ogni alimento che ingerisci, riunioni settimanali peggio degli Alcolisti Anonimi, calcoli continui.
Anche se non ti affama.
In effetti, nessuna dieta dovrebbe affamarti.
«Il nome DIETA deriva da una parola greca che significava ‘modo di vivere’ e nella medicina antica indicava quello che oggi si chiama stile di vita, vale a dire l’insieme di alimentazione, attività fisica, riposo, adatto a mantenere lo stato di salute».
Ah. La dieta numero 3 è quella che seguo io.
Che non faccio nessuna dieta, ma non mangio mai fuori pasto perché altrimenti mi passa l’appetito, non mangio dolci perché i dolci non mi interessano.
Alcolici: chissà com’è che non compaiono nelle diete 1, 2, forse perché apportano calorie, forse perché sono proibiti, come in ospedale e se tu domandi il perché a quello che ti serve la cena non ti sa rispondere.
Secondo me perché siamo al mondo per soffrire e la vita è una valle di lacrime.
Resta che io mi scelgo sempre e solo medici non astemi, uno è pure sommelier, e tutti tendenzialmente edonisti e disposti a farsi, e a farmi, tutte le concessioni possibili.
Faccio attenzione a posare sul mondo uno sguardo d’artista, questo mi permette di trascendere il banale, di renderlo bello.
Ciò presuppone di essere attenti e sensibili quando si cammina, quando si cucina, e là, allora, tutto può diventare ispirazioneGolshifteh Farahani, attrice
Avevo visto passando in macchina il fornaio di via Fabio Numerio, illuminato a festa come una baracchetta della fiera.
Ci sono andata stamattina.
L’odore dentro era buono.
Non avevano le rosette. La ragazza, straniera, mi ha detto che avevano le tartarughe.
Secondo me le tartarughe già sono delle rosette pervertite e non le compro mai perché mi infastidiscono.
Quelle, poi, erano tartarughe fatte come i panini da hamburger, larghe e basse, con la parte superiore lavorata a quadratini.
Ho chiesto se avevano finito le rosette.
La ragazza mi ha risposto che loro proprio non le facevano.
Se a Roma il fornaio non fa il pane di Roma, mi insospettisco.
Ho preso una cosa a caso, non vedevo l’ora di uscire.
Lei mi ha offerto una fetta di panettone.
Sono riuscita a superare il Natale dello scorso anno senza mangiare nemmeno un pezzetto di panettone, figuriamoci se ne mangio una fetta la mattina del quindici novembre, quando posso ancora salvare la faccia.
Lei ha insistito, sono i giorni della degustazione del panettone.
Ho detto no grazie, non mangio dolci.
Insomma, non ci siamo prese.
Certe volte faccio tanta fatica a prendermi con le donne.