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IL DÌ DI FESTA

Pamela Pascale, Rosellina alla rapa rossa ripiena di burrata affumicata

Uno, non lo guarderei nemmeno se facessimo naufragio noi due soli sull’isola delle barzellette con la palmetta.
Non oggi, ma da sempre.
Nel film indossa pure un abito non ho capito se in fustagno, giallino, ma non giallo come l’impermeabile di Dick Tracy, che è color zabaione, quel giallo là è fatto con le uova di una gallina anemica.

Dick

Dell’altro, un piripicchio che nel film ha pure i capelli lunghi, non ho mai capito del tutto il senso, un amico una volta mi maltrattò e mi disse ma come, non capisci, lui recita anche con le mani.
A parte che pure tutti gli italiani sono bravi in questo, il tipo parlava di un attore che aveva visto al cinema solo doppiato, per cui diceva castronerie, cioè parlava di uno che parlava con la voce di un altro.
Laddove noi tutti siamo la nostra voce.
Se ve lo dico io, che ho il dente che duole, potete crederci.
Figuriamoci se un attore non è la voce sua.
Tutti gli uomini del presidente è un brutto film, meglio, è un film inguardabile.

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LA PIAGA DELLO SPRITZ

Aperol, 1

Tempo di preparazione: 5 minuti
  • Riempi il calice di ghiaccio
  • Versa 3 parti di Prosecco D.O.C.  (9cl)
  • Aggiungi 2 parti di Aperol  (6cl)
  • Completa con una parte di Soda  (3cl)
  • Guarnisci con una fettina di arancia

Lei va da lui nel cuore della notte perché ha paura.
A proposito della stanza di lui, santa Teresa d’Avila parlerebbe del profumo della povertà.
Ma è una stanza pulita, lui dorme in un letto singolo e le apre la porta in pigiama.
Sulla carta, una situazione che più ospedaliera non si può.
Ma non sembra.
Lei si butta prona sul letto, non si toglie nemmeno le scarpe.
Lui le dice che sotto il letto c’è un altro materasso e lo tira fuori per sé, dunque dormono uno accanto all’altra ma ad altezze diverse, perché l’altro letto è più basso.
Poi vediamo che fanno l’amore.
Lui è un uomo molto prestante, supera il metro e novanta, non cambia espressione per tutto il film, però la sua faccia è un paesaggio di sentimenti, con un senso sfaccettato di disperazione, violenza, solitudine, necessità, bisogno, desiderio.
Lei è bella, non più come in Barbarella, dove era parecchio bambola, ma che bambola, come avrebbe detto Buscaglione.
Ma soprattutto lei è bravissima, la sua voce ha il suono di una campana di bronzo, lei fa un po’ la modella e un po’ l’attrice, ma parecchio si prostituisce ed è perseguitata da un maniaco che vuole ucciderla.
Lui è l’ispettore Klute, che indaga.
Il film in originale si chiama solo con il nome di lui, da noi è diventato Una squillo per l’ispettore Klute e fa parte della cosiddetta Trilogia della paranoia di Alan J. Pakula.
Dunque, una cosa moderna.
Siamo tutti paranoici.
E non venitemi a dire che non è vero.

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APPUNTI IN FORMA DI ROSA

@nourkandler, Mela e caramello

Il fatto è che hai perduto il gusto di vedere, di sentire, di accogliere, e ora ti mangi il cuore

Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, 2 febbraio 1944

È uno con delle idee, quello che ha inventato l’hamburger.

Norm Cox, Hamburger Menu

Non l’hamburger che si mangia, ma quello che abbiamo tutti sul nostro telefono o sul nostro computer, le tre lineette sovrapposte, proprio come gli strati del panino con la carne, che elencano il contenuto di un sito o di un’app.
Pure se i super specialisti di cui sono andata a vedere il parere dichiarano che è un autogol perché non si capisce che cosa significa e nasconde invece di rivelare.
Ma in informatica non si capisce quasi niente se non te lo spiegano, quindi, dissento.
E apprezzo l’hamburger.

È un’altra con delle idee, quella che si è messa a riprodurre il vintage.
Per me che trovo brutte le scarpe contemporanee, una manna e un divertimento, andare a curiosare fra le calzature da lei prodotte, che citano modelli che vanno dal 1900 al 1950.

Appena l’estate si accenna, mi compro i sandali.
Da questo paio di esempi, si è capito di che cosa ci occupiamo oggi.
Come diceva Rubens, che era un raffinato poliglotta, «chacun a sa grâce», che tradurrei qui con «ciascuno ha il suo talento».

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IL COLPO DELLA STREGA: BIANCANEVE E I SETTE NANI (1937)

Biancaneve e i sette nani, 1937

Temevo peggio.
Temevo la melassa, i gorgheggi, le colombine bianche, temevo pure il Principe Azzurro con la faccia da puppo.
Nel film Biancaneve e i sette nani, prodotto e supervisionato da Walt Disney nel 1937, c’è tutto questo ma c’è anche altro.
Primo lungometraggio a disegni animati, me lo ero lasciato a conclusione delle feste, in un pacchetto che comprendeva un po’ di tutto, dal drammatico al patetico, passando per il thriller e il sentimentale.
Il cinema è bello perché è vario e io voglio gustarlo tutto.
Walt Disney è il più grande narratore del secolo XX, è uno che, seppure non ha inventato i cartoni animati, ha dato loro per primo le lettres de noblesse di cui avevano bisogno per essere considerati una forma d’arte, in un periodo in cui il cinema stesso faceva fatica a essere pensato in questi termini.
Inoltre le influenze reciproche, cinema/arte, sono state analizzate, quindi i due mondi si toccano da un pezzo ed è interessante verificare come le fonti disneyiane siano tutte europee, dal gotico al Surrealismo: pittura, incisione, letteratura, ancora cinema, architettura, paesaggio, insomma, vedere un cartone animato equivale a fare una cavalcata attraverso la storia dell’arte, come sanno bene coloro che praticano l’uno e l’altra.
Walt Disney non era un uomo colto, ma aveva la passione e la curiosità dell’autodidatta e ha saputo circondarsi dei migliori illustratori che dal Vecchio Continente erano emigrati in America e che avevano con sé, dunque, le proprie radici, ampiamente espresse, anche se americanizzate con disinvoltura da quel geniale direttore d’orchestra che lui è stato.
Biancaneve costituisce una sfida e una scommessa artistica e finanziaria.
Vinte, l’una e l’altra, al punto che il film è stato premiato da un Oscar speciale l’anno successivo alla sua uscita ed è stato un enorme successo commerciale.
Nasce qui un genere che è capace di rivaleggiare con il cinema hollywoodiano.

(Per ogni lungometraggio Disney ci vogliono un milione e mezzo di disegni. Ditelo a quelli che fanno clic col mouse e hanno risolto).

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LA CONGIURA DELLA CAMOMILLA ROMANA

Jacovitti, Cocco Bill

Un pomeriggio chiedo al professore se in vita sua ha mai guarito una sola persona. Ci riflette seriamente e risponde: guarire è una parola grossa, poi scuote la testa e sorride incoraggiante. Passano minuti, giorni, settimane.

Ingmar Bergman, Lanterna magica, 1987

13:26:08. Mi sono messa a seguire blog di recensori di smartphone.
Ovviamente ho cominciato perché volevo sentire parlare bene del mio telefono nuovo (lo fanno tutti), poi ci ho preso gusto.
Ci sono alcune cose notevoli.
Questi super specialisti sono tutti privi di appeal maschile, nel senso che non ho visto nemmeno un bell’uomo.
Gli uomini, in teoria, sono tutti innamorabili, diciamo che possono funzionare sia per la parte fisica che per quella intellettuale (per le donne la situazione è diversa).
Però con loro non funziona niente.
E qui si conferma la mia vecchia teoria secondo la quale se passi sedici ore al giorno attaccato a un computer, perdi un po’ di tutto, non solo il tuo fascino.
L’altra cosa interessante è che dopo un po’ cominci a capire che cosa dicono. Certo, il merito non è loro, che sono tutti degli insegnanti pessimi, visto che danno tutto per scontato, laddove, se insegni, non dovresti dare per scontato niente. Diciamo che è una specie di acclimatazione, come succede alle piante. Dopo un po’ cominci a capire che cosa è un processore o un Amoled Awesome, che quello è un padellone e che il design di quell’angolo è proprio bello.
Però la cosa più interessante è che sono quasi tutti maschi. Ho assistito anche a un webinar del mio primo nerd, erano collegate persone che seguivano un corso per sviluppatori, lui ha parlato di sé, come era cominciata la sua vicenda e come lavorava, lì ho capito tutto, però fra i presenti collegati c’era una sola ragazza, che ho individuato a una seconda visione, alla prima non ero stata capace di distinguerla.
Non ho visto un solo commento femminile.
Ho trovato però un commento simpatico, se ci si mettono sono capaci di far ridere pure loro, ed era uno che in una sessione dedicata alle fotocamere di alcuni telefoni ha scritto «E adesso voglio vedere una macchina fotografica che sappia telefonare».
Quelli che rigirano le cose così abilmente li trovo irresistibili

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LA FAMIGLIA DEGLI ARIETI

Eric Lartigau, La Famille Bélier, 2014

A faire pâlir tous les Marquis de Sade
A faire rougir les putains de la rade
À faire flamber des enfers dans tes yeux

À faire dresser tes seins et tous les Saints…
Je vais t’aimer
Da far impallidire tutti i Marchesi de  Sade
Da far arrossire le puttane del porto
Da far divampare degli inferni nei tuoi occhi
Da far raddrizzare i tuoi seni e tutti i Santi
Ti amerò

Michel Sardou, Je vais t’aimer

La mia logopedista mi dà i compiti a casa.
L’unico che ho fatto volentieri però non è stato proprio un compito ma una risposta a quello che io le avevo detto quando ci siamo conosciute: che avevo cominciato a cercare il cinema che si era occupato della voce.
Lei è una che si emoziona, che si commuove, che ha paura a parlare in pubblico, che non distingue bene la destra dalla sinistra.
Mentre parlavamo, lei ha cominciato a commuoversi e mi ha chiesto se avevo visto La Famille Bélier, di cui lei non sapeva bene il titolo francese, che è questo e che è facile facile, molto vicino a quello italiano.
Anzi, viceversa.
Mi sono procurata il film subito, però me lo sono tenuto per l’anno nuovo, come la cerise sur le gâteau, che poi con me non funziona perché non mi interessano i dolci e tantomeno le ciliegine che ci stanno sopra.
Ma tant’è.
Però ho capito subito perché lei si era commossa e a metà film ho cominciato a commuovermi anch’io, ma sul serio, nel senso che prima sono andata a prendermi un fazzoletto dalla scatola, poi, tutta la scatola, poi non so nemmeno se ho capito del tutto quello che è successo perché le lacrime mi scendevano a fiotti e nemmeno vedevo più niente.
Mi sono asciugata gli occhi per i titoli di coda perché volevo sapere delle cose.
Io sono una con le lacrime in tasca, sono una piagnona autentica, che piange su tutto e per tutto, figuriamoci se non piango per un film così bello, delicato, divertente, inoltre un film, per me in questo momento della mia vita, così toccante.
Ora vi racconto.

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L’ANNO ZERO

Roberto Rossellini, Germania Anno Zero, 1948

Si può, se si vuole, fare il bagno nel Mar  Morto. Tuttavia certe precauzioni devono essere prese. Si sa che quest’acqua, in ragione della sua densità, dà un buon galleggiamento. Il corpo umano, più  leggero, rimane in superficie senza che sia obbligato a fare nessuno sforzo, cosa che dona una strana sensazione di leggerezza…

Israël, Les Guide Bleus, 1955

L’altro giorno ho dato un dispiacere alla signora Anna della lavanderia.
Poi mi sono mortificata, ma stavolta è stato più forte di me.
Perché appena lei mi ha vista, mi ha detto che in televisione c’era stata una chiesa di Napoli che nessuno conosce e che l’aveva presentata così bene quello che sapeva tante cose.
La chiesa aveva una specie di sotterraneo dove c’erano tutti teschi.
Io non vedo la televisione, però ho capito di che cosa lei stava parlando, visto che ne parlano tutti.
Dunque, le ho detto che non è vero che la chiesa non la conosce nessuno perché è una chiesa che conoscono tutti, si chiama Santa Maria del Purgatorio ad Arco ed è famosa per il culto delle anime pezzentelle, che sono dei teschi che vengono adottati e ripuliti e che intercedono per i loro benefattori.
E le ho detto che non è vero che quello della televisione sa tante cose perché è uno che ha una redazione di sei storici dell’arte che gli prepara i testi, che lui ripete a pappagallo.
Lei si stava facendo un po’ più piccola e mi ha detto che però il padre di quello era uno che invece le cose le sapeva e io le ho detto che pure il padre aveva chi gli scriveva i testi, pure se in modo più artigianale.
Questi mi esasperano perché infinocchiano tutti e poi quello ha pure tre figli maschi e figuriamoci se non ce ne è uno pronto a seguire le orme del padre e del nonno e questo significa che passerò la vita a sentir parlare di costoro come se fossero dei sapienti.
Un po’ come quelli della radio, che ci si mettono in sette per fare una trasmissione mediocre.
Ma non si può cominciare l’anno con questi pensieri molesti, quindi i pensieri li scaccio.

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UN ANNO DA STRAPAZZO

Uova strapazzate, dette Scrambled eggs e Oeufs brouillés

«Dio mio che faccia hai» fece la signora Ermelina, e le diede  un affettuoso schiaffetto. «Su, su. Che cosa ti è capitato?».
«Ho fatto una corsa, una corsa» rispose Laide senza neppure salutare Antonio. «Al teatro c’era prova, non mi lasciavano andare.»

«Dio Dio che faccia hai oggi, non sembri neanche più tu» disse ancora la signora Ermelina.
Lei: «Sono proprio tanto brutta?».
«Macché, solo che devi esserti strapazzata».

Dino Buzzati, Un amore,  1963

Punto 1. Ieri sono tornata da Albano che era notte.
Ho sbagliato strada, ma la locuzione è imprecisa.
Diciamo che, invece di infilare l’Appia subito, sono passata per Castel Gandolfo su una strada che avevo già fatto un’altra volta, ma di mattina, tutta quanta in mezzo a un bosco.
Come insegnano le favole, il bosco di notte non è raccomandabile.
Mi sono detta speriamo solo che la macchina non abbia un guasto, già ho visto quando stavo lì che uno degli abbaglianti non funzionava, col display che me lo ha segnalato, però poteva pure farmelo sapere il giorno prima.
Poi mi è venuto in mente che avrei potuto trovare il cammino sbarrato da un animale, non proprio un orso ma, mettiamo, un cinghiale.
No, i cinghiali stanno in città.
Una volpe.
E se incontro una volpe, insomma, io sto in macchina, che vuoi che mi faccia.
L’importante è che non incontri un orso, vagli a spiegare che gli orsi mi stanno simpatici.
Quando sono finalmente approdata sulla terraferma dell’Appia, mi sono fatta i complimenti per il sangue freddo.
Da lì, tutta diritta a casa.
Ho riportato la macchina in garage e ho chiesto all’elettrauto, che ha l’officina accanto alla rampa di ingresso, di controllarmi il faro anteriore lato passeggero.
Lui ha detto «destro», io ho ribattuto che uso il linguaggio che mi hanno insegnato loro, perché con la macchina destra e sinistra, dipende da come la guardi.
Ci siamo messi a ridere.
Quando ho riguadagnato il mio appartamento, mi sono finalmente distesa.
E mi sono chiesta come mai c’è gente che per provare il brivido dell’avventura va a farsi il safari a Zanzibar, come avevo sentito la mattina alla radio, invece di farsi un giretto ai Castelli nottetempo.

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L’AMORE IN FORMA DI SCOIATTOLO

La Spada nella Roccia, la Scoiattolina, 1963

Del bambino che è dentro di noi, io, francamente.
Dell’infanzia salverei però alcuni aspetti.
Per prima cosa, quando non è a base di zucchero, la cucina a essa dedicata: semplice, leggera, ludica.

Bouillie o porrigde con frutta e mandorle

Per esempio, guardate qui questa colazione: un porridge con frutta e mandorle.
Se vi ricorda qualcuno, siamo del medesimo umore.

Ma procediamo con ordine.

Un’altra cosa che sottrarrei all’infanzia sono le favole.
Spesso cruente e feroci, non si capisce perché uno non debba frequentarle da adulto.
Se voi prendete la Sirenetta di Andersen nella sua versione originale, vi renderete conto di quello che soffre questa povera figlia per amore, rinunciando alla sua bella voce e con il dolore fisso di camminare come se stesse sulle spade, avendo scambiato la coda di pesce con un paio di gambe accettando il tormento.

Ci sono poi i cartoni animati, da me frequentati assiduamente, che sarebbe un vero peccato lasciare ai più piccoli, che capiscono poco o niente di quello che vedono.
Poi, però, si cresce.
Torno alla colazione.

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LA TERAPIA DELLA PIZZA A TAGLIO

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.

Vangelo secondo Giovanni, Prologo, 1, 1

In viale Eritrea, a un numero pari, c’è una piccola pizzeria a taglio.
Al banco, una ragazza con la testa completamente rasata, mi è sembrato più per motivi di salute che di stile.
Qualche giorno fa sono entrata lì, erano le tre del pomeriggio, avevo saltato il pranzo e avevo saltato anche un’altra pizzeria a taglio, che stava qualche numero pari prima.
Quando si dice, l’ispirazione.
Chiedo alla ragazza una porzione piccola di margherita.
Lei, sveltissima, mi domanda a raffica:

  1. La mangio lì o passeggiando (ha detto proprio passeggiando). Passeggiando.
  2. La voglio calda o a temperatura ambiente. Calda.
  3. La voglio aperta o piegata. Piegata.

Le ho fatto i complimenti per l’efficienza. Lei mi ha detto che aveva messo a punto quella tecnica per neutralizzare i bastian contrari.
Tutti i clienti sono tali, se lei fa per scaldare la pizza, le dicono che la mangiano così; se lei la piega, le dicono che la vogliono aperta; se lei pensa che la mangino per strada, quelli si piazzano lì e quando li sposti.
Ho pensato di chiedere alla ragazza se aveva anche un metodo per neutralizzare, nell’ordine: i guastafeste; i permalosi; coloro che ne fanno sempre una questione di principio; gli orgogliosi fino al punto di essere ottusi; i tenaci che alla lunga diventano muli.
Eccetera.
Un premio, le dovrebbero dare, con lei la vita scorre più facile.

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