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NEWSLETTER #39 L’IMPRESSIONE DI NAVIGARE SU UN LAGO DI DESIDERIO

Roland Barthes

L’ho detto e lo ripeto.
Ho smesso di fumare e, da quando ho smesso, non ho più toccato una sigaretta.
Ma se il medico mi dice che ho tre mesi di vita, la prima cosa che faccio è entrare da un tabaccaio e comprare un pacchetto di Marlboro rosse.
Dure.
Ho smesso di fumare da un sacco di tempo, ma se fossi oggi nella situazione di smettere, mi rifiuterei di passare dallo stadio di quella cosa che si chiama sigaretta elettronica, che della sigaretta autentica non ha una delle caratteristiche principali: l’eleganza.
Almeno, così dovrebbe essere.
Non tutti fumano elegantemente, certi sembrano degli ergastolani che, ficcati in un angolo della cella, quasi consumano il filtro.
Altri proprio non sono portati.
Un esempio di questi ultimi è Woody Allen, che, in Manhattan, che ho rivisto per ispirarmi per l’Episodio pilota della Miniserie di giugno American Beauty, dedicata all’arte USA dei primi del XX secolo, a cena da Elaine’s si mette una sigaretta in bocca, dice che il fumo fa venire il cancro ma aggiunge: «sono incredibilmente affascinante con una sigaretta in mano».
Nessuno ci crede.

Invece.

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INCONTRI

Erika Lee Sears, Self Care, 2021

È un film brutto. O, almeno, non ha niente del capolavoro.
Ho appena sentito alla radio che la New York fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 era un luogo straordinariamente creativo.
Come dice Don Giovanni: me ne consolo.
Nel senso che me ne rallegro.
Ironicamente, tale e quale a Don Giovanni.
Le creazioni di quelli che abitano quella New York sono raccontate da Woody Allen in Manhattan (1979).
E sono inesistenti.
Da quello che si vede nel film, gli intellettuali che stanno da quelle parti passano il loro tempo facendo cose che oggi a me appaiono prive di senso.

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NEWSLETTER #38 IL RESPIRO AUTENTICO DELLA VITA

Bernardo Bellotto, Autoritratto in costume di nobile veneziano, 1765

Per molto tempo, mi sono svegliata presto la mattina. Contenta.
Non di essere al mondo, ma di andare a fare una cosa che mi piaceva.
Non mi pesavano i treni, il freddo, il caldo, la pioggia, certe volte pure la neve.
Appena le cose sono cominciate a non andare più come prima, svegliarmi la mattina presto era diventata una corvée insostenibile.
Ma non dico niente di nuovo.
La settimana scorsa, tutti i giorni, mi sono svegliata presto la mattina.
Non così presto come quando avevo un treno da prendere, ma ugualmente contenta.
Volevo sentire la rassegna stampa alla radio curata da, si dice così, una delle firme più prestigiose di uno dei nostri quotidiani storici.

Il giornalista è un ossimoro vivente: antipatico, secco, tagliente, sapete quando si dice tranchant; eppure straordinariamente comunicativo.
Strano, perché se uno è antipatico, come fa a essere empatico.

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NEWSLETTER #37 VIANDANTE, NON C’È CAMMINO

Lorenzo Rocco, Illustrazione della Newsletter

Il verbo è seguire.
Infatti si clicca un pulsante blu con su scritto SEGUI.
Seguo vari account Instagram.
Instagram è un social che, come tutto quello che è dentro (ma anche fuori) internet, può essere molto interessante o molto stupido.
Diciamo che se uno sta un po’ attento, qualcosa di buono esce fuori quasi sempre.
Voi prendete l’account che si chiama philosophyissexy. Vi aiuto sciogliendolo un po’: la filosofia è sexy.
Cosa che, a guardare come viene proposta, ci trova d’accordo.
Lei si chiama Marie, è un filosofo che insegna, scrive, è molto attiva sui social, cura dei corsi on line, è sempre sorridente, è feconda e faconda.
Al punto che tutte le mattine pubblica un post lungo e articolato su Instagram. Oggi era già pronto alle 6:50, dunque, lei è una che si sveglia presto.

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PRIMUM VIVERE

Édouard Boubat, Plutôt la vie, 1968

Guardo venti minuti di partita.
Non ho ancora visto il calcio sul televisore nuovo.
Del resto non guardo niente, faccio un passaggio solo per inserire uno dei miei film e ci sono sempre e solo quiz dementi.
Forse è l’orario.
Anche se cambio continuamente orario per vedere uno dei miei film.
Guardo venti minuti di partita e vedo due gol.
In campo, nemmeno un bel ragazzo.
Ci sono dei neri che sono troppo neri.
Poi ci sono gli slavi, che non mi piacciono per niente, sembrano tutti dei muratori, senza l’appeal che hanno loro.
Non vedevo Ronaldo da un po’, l’avevo lasciato infortunato sul campo, mi aveva fatto stare malissimo perché piangeva.
L’altro giorno era al piccolo trotto, l’ho letto su una cronaca, comunque l’hanno inquadrato un momento, non aveva nulla di preciso nei capelli, insomma, da guardare c’era poco o niente.
Tutti gli altri, quelli che i capelli li avevano, compreso l’arbitro, che fischiava come un ossesso, avevano le tempie rasate e dei ciuffi, o riccioli, sulla sommità della testa.
Anche la new entry del supermercato ha i capelli così. Siccome è biondo, i suoi sono anche mesciati.
Si chiama Samuele ed è un belvedere più dei calciatori dell’altra sera.
Stiamo facendo amicizia.
È lento, ha fatto l’istituto alberghiero e non ha imparato niente.
Ha lavorato un po’ come barista, poi è entrato al supermercato, dove lo trovo sempre che sistema i dolci.
Giorni fa stava però con un vassoio di yogurt in mano, che doveva mettere nel frigorifero.
Però ci siamo messi a parlare e gli yogurt stavano lì che prendevano la temperatura ambiente.
Da Samuele, che ha vent’anni, ho imparato che la cosa più divertente al mondo è andare con gli amici la sera a mangiare il pesce al mare: Torvajanica o Nettuno.
Distanza da Roma, rispettivamente 37 e 67 chilometri.
Intuisco che Nettuno è una meta più esotica.

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NEWSLETTER #36 BISOGNA IMMAGINARE SISIFO FELICE

Reinhold Messner

Partiamo dal Sisifo del titolo.
Fondatore e sovrano di Corinto, è famoso per la furbizia e la fraudolenza.
Arrivato, come prima o poi capita a tutti, nell’Ade, viene condannato a portare sulla cima di un monte un grosso macigno che, una volta arrivato in vetta, rotola di nuovo a valle.
Pensiamo a quanto Sisifo c’è in ognuno di noi.
La casalinga per prima, e sto parlando di quella diligente, non di quella che non fa niente dalla mattina alla sera, che vede disfatto in due passaggi distratti tutto il suo lavoro.
Ma anche lo chef, che vede spazzare via in venti minuti l’impegno di ore.
Dunque, a noi la punizione di Sisifo sembra feroce, condannato come è lui a fare una cosa assurda e inutile.
Fino a che non intervengono a farci cambiare idea due uomini singolari, che di cose assurde e inutili se ne intendono.
Uno lo abbiamo già incontrato la settimana scorsa ed è quella specie di orso che si chiama Reinhold Messner e che fa l’alpinista.
Non c’è niente di più inutile dell’alpinismo.

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MEA CULPA

Paul Poiret, Mea Culpa, 1922

Sto messa peggio di quella delle Spice Girls (non dico quale).
La volta che quello degli Oasis (sappiamo quale) decise di insultarla, le disse che era talmente scema che non riusciva a fare due cose insieme: se masticava una gomma americana, non riusciva a camminare.
Parimenti, io ho scoperto che se mangio, non riesco a vedere un film.
E viceversa.
Ormai ho rinunciato al vassoio davanti alla televisione, mi confondo, non seguo la trama, non capisco il sapore del petto di pollo.
Inoltre, ma questo mi sembra comprensibile, se studio devo spegnere tutte le radio, che sono sempre tutte accese.
Ho più volte detto agli studenti che non potevano studiare sentendo musica, pure con le cuffiette.
Quindi, ecco perché sono tutti somari: perché quel poco che studiano, lo studiano sentendo la musica con le cuffiette.
Senza capire niente, ve lo dico io, né dell’una cosa, né dell’altra.
Sono donna, quindi più coltellino svizzero di un uomo, però le cose serie, la professione, il film, il petto di pollo, non riesco a mescolarle.

Volendo portare acqua al mio mulino, vi dico provate a interrompere un cassiere che sta contando una mazzetta di banconote.
Quello, se non vi strafulmina sul posto, è solo perché è una persona paziente.
Ma poi ricomincia daccapo il conto.

Si vede che anche il denaro, tale e quale al film e al petto di pollo, è una cosa seria.

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GIRL POWER

Istaso Arana in «La virgen de agosto», Jonás Trueba, 2019

Ci sono donne che piacciono alle donne.
Ci sono donne che piacciono agli uomini.
Ci sono (poche) donne che piacciono agli uomini e alle donne.
Ci sono donne che non piacciono né agli uomini, né alle donne, e allora è una tragedia.
Come sempre, quando vedo una donna, io mi chiedo se mi piace e se piace agli uomini.
Come sempre e soprattutto con un’attrice, dove il gioco dell’identificazione è più potente e dove il film funziona solo se il gioco funziona.
All’inizio lei non mi piaceva: occhi rotondi e sorriso gummy, volontario, a questo punto, perché il mio medico estetico, che poi è il fratello del mio odontoiatra, una volta mi ha spiegato come si corregge e ci vuole poco o niente, due iniezioni che neutralizzano i muscoli che tirano troppo il labbro superiore e il vermiglio fa il suo lavoro, scoprendo solo quello che deve scoprire.
Venti minuti in tutto.
Reversibile.
All’inizio lei non mi piaceva, poi è bastato che si mettesse a ballare, era in una festa in piazza, faceva roteare la coda di cavallo, si capiva che si divertiva e ho visto, finalmente, che la camera del regista la cercava con piacere.
Lei ha seni bellissimi.
Si intravedono quando lei fa l’amore con un tipo che si è messa a seguire tutte le sere e con il quale ha attaccato discorso.
Poi si vedono benissimo quando lei una mattina si alza e ha addosso solo una T-shirt e fa quello che fanno tutte le donne: la solleva e si guarda allo specchio.
I seni sono di dimensioni giuste, né troppo piccoli, né troppo grandi, alti e sodi, alti e sodi come dovrebbero essere tutti i seni che stanno sulla faccia della terra.
E le scollature di tutto quello che lei indossa, roba semplice, ma ci arriviamo fra un momento, le scollature, ecco perché le stanno così bene.

È tornata la Nouvelle Vague e il film è bellissimo.
Se avete pensato per un attimo che battesse bandiera italiana, devo deludervi.
Da noi nessuna onda, né nuova, né vecchia.

Il film batte bandiera spagnola.

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MEMORIES

Fernand Khnopff, Du Silence, 1890

Qualche regola per il lavoro: prendere la parola solo quando si ha qualcosa da dire; la pratica quotidiana come alternativa alla nozione di progetto;…la forza  significativa del frammento

Franck Scurti, artista (da un ritaglio che ho conservato nella mia agenda. Le frasi trascritte sono state da me evidenziate tempo fa e le evidenzierei anche oggi)

Da un account Instagram di sessuologia, francese, quindi cartesiano, disinibito e disinvolto: «Esistono altre leggende che permetterebbero di misurare la taglia facendo paragoni con altre parti del corpo: la distanza fra la base del mignolo e il pollice, 2/3 dell’avambraccio, la misura del piede! Nessuna di queste dicerie è valida. Esiste un solo parametro di misura: è il giro vita dell’addome. Più il basso ventre prende posto, più si avrà l’impressione di un pene di piccola taglia, semplicemente perché una parte di esso è sepolta».
Nel film Kadosh di Amos Gitai, lui, un ebreo ultra-ortodosso, si alza la mattina e mentre borbotta quelle che credo siano preghiere e si barda con quelli che credo siano amuleti rituali, dice, testuali parole: «Sii benedetto, Dio, per non avermi fatto nascere donna».
Io, che non sono ultra in niente e che forse proprio per questo la mattina non ho mai voglia di alzarmi, ho però sempre un pensiero analogo che mi passa per la mente: «Sii benedetto, Dio, per non avermi fatto nascere uomo».
Fosse solo per quella che si chiama sindrome dello spogliatoio.
Io su una cosa del genere diventerei matta, peggio delle donne, che stanno sempre a giudicare i propri seni in rapporto ai seni delle altre donne e che non sono mai contente dei seni che hanno.
Comunque, questi hanno perso un’occasione gigantesca: quella di non usare la frase «si avrà l’impressione di». Diceria per diceria, avrebbero potuto scrivere: «Più il basso ventre prende posto, più il pene è di piccola taglia».
Tutti gli uomini a dieta, basta ingozzarsi, tutti a giocare a calcetto la sera del mercoledì come fa il ragazzo della cassa al supermercato, che poi mi racconta per filo e per segno la partita.
Tutti gli uomini in forma, ad affidare la loro sostanza ad altro che non sia la pancia.

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LE MANI IN PASTA

C’est par un soir de tristesse que j’ai écrit  ce poème…

(È  in una sera di tristezza che ho scritto questo poema…)

Blaise Cendrars,  Prose du Transsibérien, 1913

Un minuto di raccoglimento, come per un lutto collettivo.
Chiude uno dei siti più demenziali della rete, dadaista per vocazione, frequentato da sprovveduti che pongono domande dementi e da altri sprovveduti che da dementi rispondono.
Anche con punte di volgarità e diffusi problemi di ortografia.
Come faremo.
L’ultima: «ma se sono laureato in giurisprudenza e ho fatto l’esame di avvocato il titolo di dottor avvocato mi spetterebbe».
Se questo vuole farsi chiamare dottor avvocato, lasciamolo fare.
Lasciamolo fare pure se vuole coprirsi di ridicolo.

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