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REPLICA, 2. INNO ALL’INNO

Nazionale Italia Wembley 2021

Se quel «siam pronti alla morte» vi sembra un po’ troppo, è perché:
a. non siete mai entrati davvero in partita
b. non siete mai entrati in un’aula affollata
c. non siete mai entrati nelle parole della Marseillaise.

Ma procediamo con ordine.

Sandro Mazzola disse una volta che se quando scendi in campo non hai voglia di fare a pezzi l’avversario, è meglio che te ne stai a casa tua.
Aggiungo che questo dovrebbe essere anche lo stato d’animo di quando entri in un’aula.
Se non vi siete mai trovati davanti a venti, cinquanta, cento persone che in una frazione di secondo decidono se prenderti o lasciarti, e se ti lasciano, ti lasciano proprio male, fidatevi di me.
E di Sandro Mazzola. Che ha colto al volo una situazione, la sua, ma non solo, in cui essere aggressivi non è poi così male.

Casomai con gentilezza, se ci riuscite e se ci tenete allo stile.

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NEWSLETTER #43 FARE TAPPEZZERIA

Antonio Canova, Ritratto di Paolina Borghese come Venere vincitrice, 1805, part.

Quando si dice: la cattiveria femminile.
L’invidia.
La gelosia.
Una volta Paolina, lei, quella là, la sorella di Napoleone e la moglie del principe Camillo Borghese, dette un ballo al quale dovette invitare una rivale.

Ma prese le sue precauzioni.
Mandò degli emissari e venne a conoscenza del colore dell’abito che avrebbe indossato per l’occasione quella povera donna.
Che, se avesse saputo a che cosa andava incontro, sarebbe rimasta a casa, adducendo casomai una scusa di quelle che le donne trovano facile.
Paolina dette ordine di tappezzare l’intero salone da ballo del medesimo colore del vestito della rivale.
Quando si dice: fare tappezzeria.

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REPLICA, 1. IL COMPLEANNO DEL TELEVISORE

La bella estate.
Lo diceva Pavese.
Poi, però, bisogna vedere da vicino, come diceva invece quel mio studente, e lo diceva a proposito delle donne.
Dunque, andiamo a vedere.
L’estate, se non altro, è una stagione propizia alla scrittura, è lenta, spesso un po’ vuota, suggerisce riposo e risveglia ricordi.
Comincio, allora, oggi un nuovo ciclo, come mi è capitato di fare in passato: sia in questo periodo, con QUESTO SENTIMENTO DELL’ESTATE, dal bel film di Mikhaël Hers, che con L’INVENTARIO, che citava Prévert.
Ho fatto poi un ciclo fuori programma dal titolo CORONA BLUES, in tempo di confinamento.
Un ciclo nasce e muore da solo, io non devo fare niente, devo solo mettermi in ascolto.
E mettere giù quello che sento.

Allora, REPLICA: perché.

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L’ITALIA CHIAMÒ

Sentite questa, ché è bellissima.
Ed è pure in due tempi, tale e quale a una partita di calcio.
Primo tempo: esco da casa e trovo in terra una moneta da un euro.
A proposito delle monete trovate, ci sono due scuole di pensiero: chi dice che portano fortuna; chi dice che la miseria va lasciata dove sta.
Non considero un euro una miseria, quindi raccolgo la moneta.
Che è molto sporca, alla quale do una prima passata e che, quando la giro, si rivela essere spagnola.
Dove stava la faccia di Juan Carlos. Sotto.
Vado al garage a prendere la macchina e racconto tutto al garagista.
«Vinciamo», mi fa lui.
Martedì l’Italia gioca in semifinale contro la Spagna.


Secondo tempo. Vado a comprare la mia rivista francese in via Veneto. Racconto il fattarello al signor Francesco, che si mette a ridere, contento.
Gli do dieci euro e lui mi dà il resto: una banconota da cinque euro e una moneta da uno. Guardo la moneta prima di metterla nel portafogli, la giro ed essa si rivela essere spagnola.
Dove stava la faccia di Juan Carlos. Sotto.
La mostro al signor Francesco.
«Vinciamo due a zero», mi fa lui.

Vado al supermercato e racconto tutto al mio amichetto Samuele, mostrandogli la moneta dell’edicola, che mi ero messa in tasca.
Fatica un po’ a riconoscere l’euro spagnolo, però poi si illumina.
Gli ho dovuto spiegare la circostanza, cosa che è stata un po’ come spiegare una barzelletta: la circostanza ha perso un po’ del suo sapore.

Però alla fine Samuele era contentissimo.
«Due a zero per noi», ha chiosato.
Quello, volevo dire io.

E quello voleva dire il Caso.
Ora non ci resta che giocare la partita.

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NEWSLETTER #42 NEL GIUGNO DI QUELL’ANNO SI VIDERO MOLTE LUNE

Corto e le due lune

Che i tempi volgano al bastardo, lo si capisce pure dai calendari.
Quello olandese e funzionale che stampava la farmacia sull’Appia, ottimo per le ore della domestica e i corsi e ricorsi degli integratori prescritti in abbondanza dai miei due medici principali, quest’anno non ha visto la luce.
Il calendario dell’altra farmacia era orribile, pieno di medicine e senza i santi.
Quello che mi sono procurata, appena decente, e che ora è appeso in cucina, mi sono accorta dopo tre giorni che non ha le fasi della luna.
Un calendario senza santi e senza luna volge al bastardo.

Sulla prima pagina c’è una mia nota: «La cosa più bella e singolare che abbia letto negli ultimi decenni».
Il romanzo si sviluppa nei libri 1, 2 e 3 per 1.122 pagine, compresi gli indici.
È suddiviso nelle stagioni aprile-settembre e ottobre-dicembre e racconta le vicende di un’assassina seriale e di un professore di matematica che lavora anche come ghost-writer.

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STRINGIAMOCI A COORTE

Differenti temperature di tifo calcistico.
Il mio amichetto del supermercato della via dove abito, quello che gioca a calcetto il mercoledì sera e spesso perde o si fa male, è romanista e poco interessato alla Nazionale.
Il mio tecnico del pc, juventino, al quale racconto la storia, mi dice che i romanisti sono così.
Il mio tappezziere, romanista, fa un’analisi sottile, che manco quando si è trattato di decidere la lunghezza delle tende della camera da letto, al momento le più importanti a casa mia.
Al momento, perché presto avrò di meglio di cui parlarvi.
Ma, dicevamo, il tappezziere romanista: che esulta se la Nazionale segna; però esulta un po’ di più se segna un romanista; però esulta un po’ di meno se segna un laziale.
Fratelli coltelli.
Il mio falegname dice che l’Italia è una bella squadretta, giovane e dinamica.
Il mio pittore, chiameremo così l’imbianchino, che gioca a pallone nel ruolo di attaccante, è d’accordo con lui.
Il mio medico di riferimento, un uomo molto elegante nonostante la catenella d’oro al collo con attaccato un lupetto, sottolinea che ci sono state critiche all’Italia perché poco interrazziale.
In effetti, a guardarla, la Nazionale italiana schiera in campo tutte facce da italiano.
Proprio come all’opposto fa la Francia, che ha giocatori di tutti i colori, anche nerissimi, sembra proprio di stare in un quartiere di quelli rimescolati di Parigi.

(Se pensate che io stia facendo lavori in casa e che mi consulto con gli artigiani che frequento non solo sui materiali e sui tempi, ci avete preso perché è vero).

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NEWSLETTER #41 PER UN PO’ PIÙ DI LEGGEREZZA

Loïe Fuller

Mi sono mortificata.
Mi sono mortificata perché non avevo mai capito quanto fosse difficile e pesante.
Mi sono mortificata come spero sempre che si mortifichi qualcuno quando capisce che mi è successa una cosa difficile e pesante e quello magari manco se ne era accorto.
Figuriamoci.
Forse ci vuole un film a raccontarlo.
Infatti.
Loïe Fuller nasce Marie Louise Fuller e io l’avevo sempre e solo vista danzare su un palcoscenico, dove si esibiva in abiti che la trascendevano, con maniche lunghissime che coprivano il trucco che c’era sotto: dei bastoni che erano l’anima portante dei suoi movimenti e che, insieme a un sapiente gioco di luci, la facevano sembrare un’apparizione, qualcosa che atteneva al soprannaturale, forse un fenomeno simile a quello incarnato da Nijinsky, che dava l’impressione di levitare.
O forse levitava sul serio.
Questa era per me Loïe Fuller.

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NEWSLETTER #40 LA CANTATA DEL CAFFÈ

Parigi, il caffè del Musée de la Vie Romantique

Le ho provate tutte.
Ho provato tutte le bevande.
Dopo le 18:00 non ho più il problema e passo in modalità alcolica. Il problema ce l’ho prima.
L’orzo e il decaffeinato fanno malato.
La camomilla fa nevrastenico.
La tisana fa mamie.
Il tè, preferisco prenderlo a casa mia: il mio tè, le mie porcellane, la mia colazione.
A proposito di tè, e dell’apertura di questa Newsletter, vi racconto qualcosa.
Ai Giardini della Biennale di Venezia 2015, andai al bar e chiesi un tè.
La barista mi disse che lo avevano finito.
Come si possa finire il tè, ancora me lo chiedo.
Tu puoi finire il pane, il latte, l’insalata.
Ma il tè.
Non solo.
In mostra c’era un’opera di un’artista cubana, Tania Bruguera, che praticamente era un corridoio da attraversare, e le pareti del corridoio erano fatte di bustine di tè.

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A VOLTE RITORNANO

Victor

Li scopri tutti in cucina, che divorano quello che hanno trovato in frigorifero o che mangiano direttamente dal tegame.
Li capisco, dopo anni senza cibo, farei anch’io la medesima cosa.
Eppure sembrano tutti bene in carne, fra l’altro non sono cambiati, vedi tu il vantaggio di morire giovane: non invecchi.
Ma questo si sapeva.
Lo dice tutta una letteratura dedicata alla consolazione, che canta eroi e meno eroi, che comunque hanno lasciato un vuoto.

Da un pezzo giro intorno a questa serie, ma non posso vederla perché mi fa paura.
Però la paura talvolta è bella, c’è tutto un pubblico di appassionati di splatter e horror.
No, perché qui è un’altra cosa, più sottile, più sfumata, più profonda.
Io ho paura dei morti che ritornano.

Ecco perché non posso vedere Les Revenants.
Anche se ogni tanto ci ricasco.

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I LOVE SHOPPING

 

Se è francese, di solito costa di più
(Anne Fogarty, The Art of Being a Well Dressed Wife, 1959)

Avevo voglia di un vestito.
Ho comprato due vestiti.
Sono rimasta senza vestiti e con la voglia di un vestito.

Il primo vestito l’ho preso da un’azienda di Barcellona, che mi era sembrata interessante. Faceva un po’ Petit Bateau, che dal 1920 vende abiti e biancheria per i più piccoli, ma arriva fino ai sedici/diciotto anni, quindi non ho mai avuto problemi a comprarmi una T-shirt e una volta anche un vestituccio a righe, che ho portato molto.

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