I Meridiani non mi piacciono.
Ne ho solo due, uno dei quali, quello con una raccolta di saggi di Roberto Longhi, mi fu regalato da mia madre nel suo ultimo Natale.
Dunque, avevo da poco cominciato l’università e mi ricordo che il volume mi sembrò bellissimo.
Adesso ho cambiato idea.
Non mi piacciono i libri-strenna, sono troppo leccati e comunque i Meridiani, nati nel 1969, si capisce al volo che sono i cugini poveri della Bibliothèque de la Pléiade, i cui primi volumi uscirono nel 1923.
E comunque non mi piace neanche la Pléiade e ho di essa un solo esemplare, Rimbaud Oeuvres complètes, che mi sono comprata non ricordo perché e che è quasi intatto.
Nel senso che io sto continuamente su Rimbaud, ma uso praticamente sempre l’edizione della Feltrinelli, Universale Economica.
Io leggo sempre con qualcosa in mano, non riesco a leggere senza una matita e talvolta pure con l’evidenziatore e con Rimbaud quasi mi intenerisce che tutte le mie annotazioni siano sulla traduzione, ce l’ho da quando avevo quindici anni e per riuscire a leggerlo in francese ho dovuto aspettare parecchio.
Insomma, le mie note da ragazza superano ampiamente quelle di me adulta.
E annotare qualcosa su le papier indien che sta in una rilegatura in pelle con impressioni in oro, come nel caso della Pléiade, francamente mi fa fatica, non dico che mi sembra un sacrilegio, dico che le note le scrivo meglio altrove.
Ma dicevamo, il Meridiano numero due.
Il Meridiano numero due si chiama Eugenio Montale Tutte le poesie e, per quanto il Meridiano mi stia antipatico, alla fine ce l’ho sempre a portata di mano.
E come fai a stare senza Montale.
L’altro giorno, poi, mentre cercavo un titolo per la mia Newsletter settimanale, mi sono rimessa a sfogliarlo, ho ritrovato note mie e ne ho aggiunte di nuove.
Vi dico pure che una volta mi ero messa in testa di imparare una poesia a memoria e giravo per casa, proprio come facevo alle elementari, recitando a voce alta, però, un contenuto diverso.
Avevo scelto Notizie dall’Amiata:
Il fuoco d’artifizio del maltempo
sarà murmure d’arnie a tarda sera.
La stanza ha travature
tarlate ed un sentore di meloni penetra dall’assito…
Imparare a memoria Montale è una cosa difficilissima, è difficile lui, nel senso che ha un linguaggio scelto e insolito, secco e talvolta oscuro.
Però, che meraviglia.
Apprezzo tantissimo coloro che sono capaci a commentare la poesia, mi sembra che abbiano in mano le chiavi di comprensione di un mondo segreto, il cui accesso è severamente vietato.
Non frequento più italianisti, in realtà non frequento più nessuno, la vita è andata in questa direzione e non so nemmeno se ho nostalgia degli infiniti discorsi soprattutto serali con chi se ne occupava, per esempio quella storia che il poeta aveva scritto Dora Markus solo avendo visto una foto con le sue gambe, come un amico mi aveva raccontato.
Non so come stremata tu resisti
in questo lago
d’indifferenza ch’è il tuo cuore…
Comunque ho ripreso Montale, ritrovato tutte le poesie che prediligevo, segnate con una x a matita in alto a destra, confermato tutto quello che mi piaceva.
Però poi ci sono delle novità.
…non c’è poesia al sorbetto o al girarrosto…
È che da poco mi occupo di Sorbetti.
Quindi mi sono accorta solo adesso di questa poesia che si intitola proprio La Poesia, che è ironica, divertita, che si chiede se l’ispirazione sia a freddo o a caldo.
Il raptus non produce, il vuoto non conduce…
E allora ho messo una x pure accanto a questa, scoperta recente.
Ma ho ritrovato ancora con gusto il calzante.
L’abbiamo rimpianto a lungo l’infilascarpe,
il cornetto di latta arrugginito ch’era
sempre con noi. Pareva un’indecenza portare
tra i similori e gli stucchi un tale orrore.
Deve essere al Danieli che ho scordato
Di riporlo in valigia o nel sacchetto…
Che cos’è questa storia.
La storia è che ho anch’io un calzante al quale tengo tantissimo.
Non è di latta ma di corno, Made in Scotland, e l’ho comprato molti anni fa a Londra, in uno di quei negozi di Jermyn Street, snobissimo, che odorava dappertutto di gentleman e di storia.
Semplicemente, pensavo che fosse bello.
Mai avrei creduto che mi avrebbe seguito per tutto questo tempo.
Me lo porto sempre in viaggio, ma nel bagaglio a mano, non sia mai che debba perderlo per via della valigia smarrita.
Lo presto a pochissime persone (ho altri calzanti), non lo perdo mai di vista, lo considero un oggetto indispensabile, col fatto che prediligo le scarpe stringate, non capisco come potrebbe essere altrimenti.
Trovare un calzante da qualche parte è difficilissimo: non ce l’hanno nei negozi in cui vai a provarti i vestiti, e ti capita di toglierti le scarpe; non ce l’ha l’estetista, chissà perché non ci pensa; l’unica che ce l’ha è la podologa, ma certo non è bello come il mio.
Il calzante è un pilastro della società, è la chiave di volta della cerimonia dell’abbigliamento, è il dettaglio da cui capisci la qualità dell’albergo.
Dispiace, almeno a me dispiace molto, che ormai nei negozi di scarpe, anche in quelli buoni, nella migliore delle ipotesi ti allunghino un calzante con l’aria dell’help yourself.
C’è stato un tempo in cui i negozi di calzature avevano tutto un rituale e un armamentario, la panca su cui sedeva il titolare o il commesso, che lui metteva giusto davanti al cliente, e poi allentava i lacci delle scarpe e poi ti invitava a mettere il piede sullo scivolo e poi ci pensava lui, a usare il calzante e a tirare bene i lacci, a vedere se il numero era quello giusto.
Chissà perché si è perso tutto questo.
Come finisce la poesia di Montale. Con la cameriera che salva l’onore degli ospiti e butta il «cornetto di latta arrugginito» nel Canalazzo.
Ora, con il mio calzante il mio onore non ha mai corso nessun rischio.
E finora non l’ho mai dimenticato in un albergo.
E a casa mia sta al posto d’onore, all’ingresso, è impossibile perderlo di vista.
E meno male che si sono i poeti.
E meno male che loro parlano di questi oggetti.
Io, da sola, mi sarei limitata a un rigurgito di sentimenti di possesso e gelosia, una faccenda così poco romantica.
Anche se, diciamocelo, è il calzante che fa il romanticismo.
E che fa la poesia.