‘perch’io sono il poeta, / essa la poesia…’
(Giacomo Puccini con Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, La Bohème)
Non basta, la storia dell’arte. Lo dico meglio, anche l’arte è fatta di parole.
Do sempre ai miei studenti nel programma d’esame un romanzo da leggere, da qualche tempo ho aggiunto anche un libro di poesie.
Ho provato con Rimbaud, pentendomene rapidamente (così come mi pentii, mi pare quel medesimo anno, di aver dato l’ascolto del Don Giovanni di Mozart, non sbagliato lui, per carità, più probabilmente sbagliato il corso).
Non funzionava la traduzione dal francese, mi consolai così, però la mia idea che fosse, quella, ovvero, la loro, l’età giusta per leggere il più seducente dei maledetti andò presto disfacendosi.
Un anno ho dato Cento poesie d’amore a Ladyhawke, Michele Mari.
Che, invece, ha funzionato benissimo, però quanto mi sono infastidita di fronte ad alcuni commenti dell’autore formulati in un’intervista, con l’intervistatore che parlava di un ‘libro minore’ e l’autore che era d’accordo e che individuava nei suoi lettori ‘un pubblico fondamentalmente femminile’ e che raccontava pure che la raccolta, per me bella e vera, veniva acquistata soprattutto come regalo. Ora, io capisco che l’idea di aver scritto una strenna non vada a genio a uno dei nostri scrittori più ombrosi e complessi, però mi passa pure per la mente che questo giudizio impietoso sia più a carico dei sentimenti espressi, quelli suoi, che non del risultato.
Insomma, una faccenda squisitamente privata sulla quale lui ancora soffre. Continua a leggere