Ci vuol passione / Molta pazienza / Sciroppo di lampone / E un filo di incoscienza / Ci vuol farina / Del proprio sacco / / Sensualità latina / E un minimo di stacco / Si fa così / Rossetto e cioccolato /
Che non mangiarli sarebbe un peccato / Si fa così / Si cuoce a fuoco lento /
Mescolando con sentimento….(Oscar Avogadro, Ornella Vanoni, Roberto Pacco, «Rossetto e cioccolato», 1995)
Allieva di Roberto Longhi, il più grande storico dell’arte italiano di ogni tempo, lei sfidava tutti i trenacci (dico: i trenacci) che prendevamo insieme al ritorno con i suoi tailleur di taglio superbo.
In vista di Roma, più o meno, diciamo, all’altezza di Ciampino, lei tirava fuori dalla borsa il rossetto e se lo metteva.
Raccontava spesso la storia della scialuppa dei naufraghi che avevano perso la speranza.
Fra loro c’era pure un’infermiera, che a un certo punto aveva preso dalla tasca della divisa un rossetto sopravvissuto alla catastrofe e si era dipinta le labbra.
Tutti avevano ritrovato il coraggio.
E io presi dunque l’abitudine, ogni volta che il treno si avvicinava alla Stazione Termini, di pescare il rossetto dal mio astuccio e di usarlo.
Come in un rituale, non sono mai venuta meno a questa abitudine, certe volte arrivando anche a fare una visita ai truccatori della profumeria della stazione per salutarli, farmi dare una sistemata se avevo un appuntamento, provare un nuovo colore.
Qualche tempo fa, qui noi avevamo già parlato di labbra.