«Dio mio che faccia hai» fece la signora Ermelina, e le diede un affettuoso schiaffetto. «Su, su. Che cosa ti è capitato?».
«Ho fatto una corsa, una corsa» rispose Laide senza neppure salutare Antonio. «Al teatro c’era prova, non mi lasciavano andare.»
…
«Dio Dio che faccia hai oggi, non sembri neanche più tu» disse ancora la signora Ermelina.
Lei: «Sono proprio tanto brutta?».
«Macché, solo che devi esserti strapazzata».Dino Buzzati, Un amore, 1963
Punto 1. Ieri sono tornata da Albano che era notte.
Ho sbagliato strada, ma la locuzione è imprecisa.
Diciamo che, invece di infilare l’Appia subito, sono passata per Castel Gandolfo su una strada che avevo già fatto un’altra volta, ma di mattina, tutta quanta in mezzo a un bosco.
Come insegnano le favole, il bosco di notte non è raccomandabile.
Mi sono detta speriamo solo che la macchina non abbia un guasto, già ho visto quando stavo lì che uno degli abbaglianti non funzionava, col display che me lo ha segnalato, però poteva pure farmelo sapere il giorno prima.
Poi mi è venuto in mente che avrei potuto trovare il cammino sbarrato da un animale, non proprio un orso ma, mettiamo, un cinghiale.
No, i cinghiali stanno in città.
Una volpe.
E se incontro una volpe, insomma, io sto in macchina, che vuoi che mi faccia.
L’importante è che non incontri un orso, vagli a spiegare che gli orsi mi stanno simpatici.
Quando sono finalmente approdata sulla terraferma dell’Appia, mi sono fatta i complimenti per il sangue freddo.
Da lì, tutta diritta a casa.
Ho riportato la macchina in garage e ho chiesto all’elettrauto, che ha l’officina accanto alla rampa di ingresso, di controllarmi il faro anteriore lato passeggero.
Lui ha detto «destro», io ho ribattuto che uso il linguaggio che mi hanno insegnato loro, perché con la macchina destra e sinistra, dipende da come la guardi.
Ci siamo messi a ridere.
Quando ho riguadagnato il mio appartamento, mi sono finalmente distesa.
E mi sono chiesta come mai c’è gente che per provare il brivido dell’avventura va a farsi il safari a Zanzibar, come avevo sentito la mattina alla radio, invece di farsi un giretto ai Castelli nottetempo.
Punto 2. Qui bisognerà affrontare l’argomento delle decorazioni natalizie, che sono su tutte le porte del mio condominio.
Una più brutta dell’altra.
Di peggio, ci sono solo gli zerbini, tutti inneggianti, ciascuno a modo suo, al concetto di home.
Ma perché non vi mettete tutto ciò dentro casa.
Ma a te che te ne importa.
Me ne importa perché io salgo quasi sempre a piedi e non vedo perché il mio occhio debba poggiarsi su questa roba.
Io fuori dalla mia porta ho solo una targhetta di ottone tutta lucida.
Il mio vicino non ha nemmeno quella.
L’appartamento di fronte credo che sia vuoto, quindi anch’esso, in tutti i sensi, non disturba.
Inoltre, le decorazioni non si sa quando le tolgono.
L’ultimo bambino nato nel palazzo si chiamava Filippo e venne salutato dai felici genitori con un grande nastro celeste appeso sul portoncino di ingresso.
Quello comune.
E il nastro rimase lì per un sacco di tempo, quando ormai Filippo era cresciuto, aveva relazioni sessuali e faceva uso di sostanze tossiche.
Una sera, rientrando tardi, presi il nastro e lo buttai al cassonetto.
Cosa che mi ripropongo di fare con le decorazioni di Natale se superano i due mesi di esposizione pubblica.
Punto 3. Come è andato l’anno che si sta avviando alla sua conclusione.
Non voglio parlarne perché da mesi sto in croce con la voce.
Come risultato, però, mi si è acuito l’udito, una cosa stranissima, mai in vita mia ero stata così sensibile a ogni fruscio, a ogni sospiro, a ogni sussurro.
Quasi quasi.
Se aggiungo a tutto questo anche la necessità di risparmiarmi, con l’effetto automatico di dire meno stupidaggini (chissà).
Poi ho cose nuove bellissime: le tende del mio studio, lo scaldabagno, il gruppo del lavello, la lavatrice, ho anche fatto ridipingere la stanza da bagno e la cucina, che sono venute benissimo.
(Tutto invita a non uscire dalla tana).
Nel corso dei lavori, è stato riportato al suo stato originario un piccolo termosifone di ghisa, una delle scoperte più importanti della storia, fosse pure solo di quella domestica.
Vi ho raccontato il fatto qui.
A Natale con l’imbianchino ci siamo scambiati messaggi, lui poi mi ha pure telefonato per farsi ripetere che lui è proprio bravo, che io ero contenta, che a primavera facciamo il resto.
E poi dalla vigilia di Natale ho finalmente il mio nuovo smartphone, completo di funzione AoD, indispensabile.
Che ci ho fatto.
Per prima cosa, mi ci sono attaccata come il koala all’albero, come la cozza allo scoglio.
Poi, ci ho passato sopra intere giornate, ho attivato tutti i fusi orari che mi interessano, confermato la suoneria che già avevo scelto per l’altro e pure il suono di notifica.
Mi sono scambiata messaggi; ho cominciato a seguire nuovi profili IG; ho messo in home il registratore vocale per gli esercizi; ho controllato la posta; fatto dei conti; navigato in internet; scattato ben quattro fotografie.
Non sono una maniaca dell’immagine, con l’immagine io ci lavoro.
Ci ho pure telefonato, ma poco.
Come già detto, devo risparmiarmi.
Poi mi sono anche rivista la recensione del nerd, che parla benissimo del mio telefono, l’ho rivista almeno dieci volte, sia perché facevo fatica a capire tutto quello che lui diceva, per esempio a proposito del processore, sia perché era proprio bello sentirmi ripetere che avevo (finalmente) fatto un ottimo acquisto.
(Best buy, come dice lui).
Punto 4. Come accennato, voglio andare a Tel Aviv.
E siccome Israele continua a essere chiuso per gli stranieri, non corro nessun rischio di andarci.
Dunque, il desiderio aumenta.
Nel frattempo, aspettando l’evolversi dei fatti, mi sono comprata una guida, che vi presento.
È una Hachette del 1955, con due segnalibri e le pagine belle gialle.
«LES GUIDES BLEUS non accettano alcuna pubblicità; tutte le menzioni e le raccomandazioni che vi figurano sono gratuite».
«Tel Aviv, città marittima (450.000 abitanti) interamente israelita, è la più giovane metropoli del mondo».
Qui devo ringraziare un collega che mi ha attaccato il vizio delle guide vecchie, sostenendo che attraverso esse viaggi non solo nello spazio, ma anche nel tempo.
Infatti.
Ma non basta, perché con una guida come questa, compilata magnificamente, con tavole metodiche, indagini geografiche, economiche, storiche, religiose, culturali, politiche e sociali, calendario delle feste, lettere & arti, archeologia, l’alfabeto, la grammatica, il vocabolario, i trasporti, il traffico, la circolazione, con una guida come questa, dicevo, tu viaggi sapientemente.
Non ci sono illustrazioni, solo un repertorio di carte e di piante.
La lingua è articolata e raffinatissima, praticamente letteraria: «Tutto qui è sorpresa e rivelazione, tutto, malgrado la distanza del passato, sembra vicino e vero. Il paesaggio dove si è giocato il destino di tanti popoli e dove si è svolta l’epopea biblica è appena modificato, le cose più infime hanno una sorta di grandezza eterna».
Praticamente, la guida si legge come un romanzo.
A questo punto, chi te lo fa fare, a muoverti da casa e a strapazzarti in giro per il mondo, quando con una guida come questa il mondo viene, lì dove stai, a trovarti.
Punto 5. Les oeufs brouillés sono uno dei miei cavalli di battaglia. Rompo le uova un una padelletta antiadesiva destinata a questo scopo, salandole; aggiungo lamelle fini di burro; metto la padelletta sul fuoco moderato e lascio cuocere rimescolando con una piccola frusta continuamente, fino a che il mélange non è diventato cremoso; tolgo dal fuoco; porto in tavola in un piatto caldo, con una macinata di pepe al momento di servirle.
Strapazzate, sì.
Ma in gran forma.
Punto 6. Cose che non vanno e che continuano a non andare.
La cantina dalla quale compri il vino, che ti fa trovare in regalo nella confezione il cavatappi, che però è di qualità scadente e che dunque mette in dubbio tutto il lavoro che loro fanno per la loro produzione.
La logopedista, che dice di usare l’inalatore di vapore, che però lei, evidentemente, non ha mai usato, visto che sostiene che tu possa stare al computer o vedere un film durante i fumenti, laddove tu devi manipolare un recipiente che contiene mezzo litro di acqua bollente, sul quale si innesta una specie di imbuto e poi un boccaglio rigido, che manco riesce a coprire insieme naso e bocca, insomma, ti strapazzi talmente tanto nel nome dell’apparecchietto, che rimpiangi la pentolina con l’acqua scaldata sul gas, con dentro i fiori di camomilla romana e la tenda fatta con un asciugamano.
Le patate, che sono sempre così insulse, comprate dappertutto, mercati con i contadini, negozi biologici, supermercati, furgoncini che promettono l’autentico.
Le relazioni, sempre a straccio, sfilacciate, incerte, inutilmente differite, stracolme di andate e di ritorni, così come vanno quelli che vogliono andarsene e ritornano gli zombi e i reventant.
Punto 7. Avevo un collega, colto e raffinato, che era un topogigiologo.
Nel senso che sapeva tutto del sorcio parlante.
Anche il nome della fidanzata: Rosy Rosicchia.
Al collega gli era presa che aveva cominciato a chiamare così tutte le donne dell’Accademia che avevano la rosa nel nome.
Ci ha provato anche con me, rimediando reazioni che l’hanno dissuaso.
Dopo un po’, l’unica Rosy Rosicchia rimasta era una poveretta che si chiamava Rosaria e che non si era ribellata da subito.
Ammetto che la chiamavo anch’io così, certe volte pure in pubblico.
Il collega mi fece vedere questo video, che io propongo a voi, anche se lo trovo demenziale, divertente solo se sei sotto effetto alcolico, d’antan come tutto quello che acquista valore col tempo.
E parecchie volte è vero.
E, se non ci sentiamo più, ma non è detto, tutti i miei auguri.
Evelyne BALY
29 dicembre 2021 — 9:32
Fantastico come sempre, tantissimi Auguri.Evelyne
Rosella Gallo
29 dicembre 2021 — 9:40
Grazie, squisita, come sempre.
Auguri a te, di tutte le cose belle che ti vengono in mente. Rosella
Rita
30 dicembre 2021 — 18:30
Una piacevolissima carrellata di strapazzi trattati con raffinata genialità. Affrontare problemi di non poco conto con ironia e leggerezza. Grazie Rosella, Maestra anche di vita.
Rosella Gallo
30 dicembre 2021 — 18:34
Sempre squisita. Spero che leggerezza e ironia servano, anzi, ne sono certa. Auguri per tutto, speriamo di non strapazzarci troppo