Faccio attenzione a posare sul mondo uno sguardo d’artista, questo mi permette di trascendere il banale, di renderlo bello.
Ciò presuppone di essere attenti e sensibili quando si cammina, quando si cucina, e là, allora, tutto può diventare ispirazione

Golshifteh  Farahani, attrice

Avevo visto passando in macchina il fornaio di via Fabio Numerio, illuminato a festa come una baracchetta della fiera.
Ci sono andata stamattina.
L’odore dentro era buono.
Non avevano le rosette. La ragazza, straniera, mi ha detto che avevano le tartarughe.
Secondo me le tartarughe già sono delle rosette pervertite e non le compro mai perché mi infastidiscono.
Quelle, poi, erano tartarughe fatte come i panini da hamburger, larghe e basse, con la parte superiore lavorata a quadratini.
Ho chiesto se avevano finito le rosette.
La ragazza mi ha risposto che loro proprio non le facevano.
Se a Roma il fornaio non fa il pane di Roma, mi insospettisco.
Ho preso una cosa a caso, non vedevo l’ora di uscire.
Lei mi ha offerto una fetta di panettone.
Sono riuscita a superare il Natale dello scorso anno senza mangiare nemmeno un pezzetto di panettone, figuriamoci se ne mangio una fetta la mattina del quindici novembre, quando posso ancora salvare la faccia.
Lei ha insistito, sono i giorni della degustazione del panettone.
Ho detto no grazie, non mangio dolci.
Insomma, non ci siamo prese.

Certe volte faccio tanta fatica a prendermi con le donne.


Nel primo pomeriggio ho visto un video dello Chef che ha allestito un hamburger di portata cinematografica, con la carne tagliata a mano con il coltello, un’alzata di broccoli, guanciale, maionese fatta con i tuorli cotti, caciotta marchigiana, un’invenzione che non finiva mai, che a me sarebbe bastata per i pasti di tutta la settimana.

Max

Che pane ha scelto lui: la rosetta.
Lo Chef ne ha tessuto l’elogio, ha detto che è il pane di Roma, che a Milano la chiamano michetta, che è un pane povero, buonissimo, leggero, l’ha grigliata e poi ci ha installato l’hamburger.
Nel corso del video ho riso almeno quattro volte, cosa che non mi accade praticamente mai quando vedo un film perché a me i film che fanno ridere danno una tristezza profonda, io rido nella vita e solo con certe persone.
Lo Chef mi fa ridere perché è molto simpatico e poi è pieno di energia e di idee e oggi ho pure imparato per bene come si pulisce il broccolo romanesco, lui spiega sempre con chiarezza, non dà niente per scontato, dovrebbero imparare da lui tutti quelli che spiegano e che non si capisce che dicono.
E poi si vede che gli piace tantissimo quello che fa.
Dovrebbero imparare da lui tutti quelli cui non piace quello che fanno e prendere una decisione seria riguardo la loro esistenza.
Con lo Chef non faccio nessuna fatica a prendermi, e non solo perché pure a lui piacciono le rosette.

Sono una donna tendenzialmente fedele in quanto abitudinaria, però ogni tanto mi concedo un flirt, una civetteria, sapete quelle cose giocose e quasi innocenti.
Con questo stato d’animo ho cambiato banco al mercato e sono andata dal contadino che ha sempre un trionfo di peperoncini.

Si chiama Gino, sta pure lui a Ponte Lungo, ma lontano da Marco, così non ho nemmeno dovuto fare i giri oziosi di quello che tradisce e vuole far perdere le sue tracce, sono semplicemente entrata dall’altra strada.
Al mercato vado solo da chi ha le mani rovinate e con le unghie orlate di nero, mi sembrano, da sole, una garanzia.
Gino non aveva i peperoncini. Mi ha detto che ieri pioveva e che lui ha deciso di restarsene a casa perché non gli piace bagnarsi.
Gli ho chiesto se la sua terra era lontana da casa. No, ha la terra attaccata a casa sua.
Ma pioveva.
Oggi era una bella giornata e sarebbe andato nel pomeriggio a raccogliere i peperoncini.
Adesso pure i contadini quando piove hanno paura di prendersi l’acqua.
Ma continuano ad avere le mani rovinate e le unghie nere.

Ieri sono andata a farmi visitare da un altro specialista e sono andata in macchina fino a Albano.
Tutto perché il mio medico di riferimento sta lì in ospedale, quindi, se mi serve qualcosa, mi manda da un collega che sta pure lui da quelle parti.

Ho messo la mia cartella sempre più gonfia di pezzi di carta davanti al dottore e gli ho detto che volevo un suo parere e un suo consiglio.
Gli ho chiesto pure se secondo lui dovevo andare a Lourdes, per farmi rimettere a posto la voce dalla Madonna locale.
Si è messo a ridere e abbiamo fatto il punto della situazione.
Abbiamo concordato su tutto, quindi, già stavamo un pezzo avanti.
Lui mi aveva già visitata una volta in ospedale nel settembre dello scorso anno, si ricordava tutto di me, il lavoro che facevo e che cosa ero andata a domandargli.
Ogni volta che qualcuno a distanza di tempo e dopo un breve contatto si ricorda di me, cosa che accade spesso, non so mai se sono contenta o contrariata.
Insomma, non ho mai capito se sono una donna indimenticabile o una gran rompitasche.
Comunque, pure lui è un estimatore dell’arte, quindi, mi sono detta, sarà per questo.
È stato accurato, preciso, chiaro, propositivo.
Mi ha messa in contatto con un giovane collega, foniatra, super specializzato, da lui definito smart, quindi, traducendo, bravo, laddove io gli avevo detto che avevo bisogno di uno un po’ visionario e che avesse delle idee, quindi, poteva starci.
E mi ha prescritto il cortisone.
Farmaco al quale avevo pensato anch’io, senza capirci niente, ma ci siamo guardati, io e il medico che avevo davanti, e ci siamo detti quello che entrambi avevamo in mente: al momento c’è poco da fare, i tempi della voce sono lunghi, figuriamoci se non lo so pure io, che da anni sto con dei problemi di voce, pure grossi.
Però una mano gliela si può dare.
Con qualcosa che l’aiuti e con qualcuno che abbia delle idee.
Sono andata a comprare il pane in un forno locale, che cuoceva a legna e, rientrando sull’Appia, avendo già preso appuntamento con il mio nuovo interlocutore, vedevo dall’altra parte il serpentone, la scia, l’orrore di coloro che rientravano ai Castelli dopo una giornata di lavoro a Roma.
Per tutta la settimana, la medesima storia.
E ti credo, che poi non sei contento di quello che fai e diventi scemo sulla tua medesima esistenza.
Come sia, come non sia, manco stavo stranita.
Vuoi vedere che comincia a piacermi, questa vita in cui devo trovare delle soluzioni nuove rispetto a quelle che ho utilizzato per decine di anni.
E poi il pane cotto a legna nel forno dei Castelli era buonissimo.
Pure più delle rosette.
Ma non devono saperlo né lo Chef, né il fornaio di via Fabio Numerio.
(Nome del forno: Il Michelangelo della pizza. Ce ne vuole, di audacia, per stare al mondo, soprattutto in provincia).

È probabile che la blogger, blogeuse di cui sto leggendo il libro sia matta.
Mi è stato pure rimproverato il mio considerare matta certa gente.
Ma posso spiegarmi.
Considero matto quello che ha perso il contatto con la realtà, quello che parla da solo, anche se, certo, per strada lo fanno in tanti.
Appunto.

Poi dobbiamo intenderci. Lei, che è una compulsiva, piena di idee, sempre in movimento, dichiara di aver preso quindici chili in un anno.
Ma come fai a prendere quindici chili senza volerlo notare.
Parla degli atelier Weight Watchers, frequentati soprattutto da donne, questo davvero non lo capisco, con tutti gli uomini con la pancia (che, in realtà, è lo stomaco) che incontro dappertutto.
Lei, comunque, scrive molto bene, fa quasi letteratura e faccio fatica a sospendere di leggerla.
Ci ritorno sopra appena posso.
Nel frattempo, apprendo di compulsioni, ossessioni, terapie, crema chantilly, formaggio, cioccolato, burro salato, pane, considerati, questi, alimenti gourmands.
L’alcol no, per carità.
Lei ne detesta il gusto.
Che io che non faccio la loro dieta a punti e nessun’altra dieta, trovo, invece, formidabile.
Mi è pure venuto in mente che fosse questo, il problema.
Ma torneremo sull’argomento, così vicino al cuore delle donne, anche se forse sarebbe meglio dire: così vicino ai loro fianchi e alla portata del loro sedere.

Questo post era partito dall’idea della pelle.
Lo sento sulla pelle; amici per la pelle; portare la pelle a casa.
Farsi una pelle (qui l’origine, però, è un’altra).
Comunque.
Volevo presentarvi questa artista: Meghan, di base a Boston, si descrive come «creative director, still life stylist, photographer, and editor».
Come tutti gli artisti, tira fuori cose che avevamo davanti e che non avevamo visto.
Nel suo caso, lei lavora sui cosmetici, sui colori, sulla consistenza, sul loro aspetto onirico, simbolico e seducente.
Essendo io una che utilizza una quantità interessante di creme, sieri, olii, latte declinato pure al plurale, così la Crusca è contenta, balsami,  roba da trucco, soprattutto fondotinta, correttore, cipria, e poi deodorante, profumo e tutto il resto che vi viene in mente, dall’ombretto al rossetto, passando per le fiale e quelle cose strane che si chiamano Smooth Affair, che sono dei primer che si applicano sul  viso per renderlo liscio, proprio come l’imbianchino applica il primer suo sul muro perché il colore attacchi meglio, insomma, essendo io una così, non posso non amarla.
E se volete sapere se tutte queste cure estetiche, unite alle altre, funzionano: io che ne so.
Mica sono Dorian Gray, che ha il ritratto chiuso nell’armadio che invecchia al suo posto.
Io sto qui e mi guardo che cosa un’artista riesce a fare con tutto quello che io mi metto quotidianamente sulla pelle.

E i suoi risultati mi sembrano fantastici.