Dal buio alla luce. Il solstizio d’inverno nel 2019 è il 22 dicembre, per la precisione esso accade alle ore 4:19 italiane.
Il buio. A Roma il giorno dura 9 ore e 7 minuti. Il sole si leva alle 7:35 e tramonta alle 16:42.
Siamo, dunque, nella giornata più corta dell’anno. Ha inizio l’inverno ma c’è già nell’aria una promessa di luce, infatti il buio torna sui suoi passi e le giornate già si allungano.
Questa evidenza porta con sé da millenni una serie di celebrazioni e di feste, una delle quali è il Natale.
E di questo Natale a Roma noi ci andiamo a occupare, con una serie di tappe che fanno l’itinerario di una lezione, tappe che si possono ripercorrere se si sarà stati in aula, oppure toccare per proprio conto, in un viaggio che dal buio porta alla luce e che ci conduce fino alla conclusione dell’anno.
La luce. Belle, le luminarie che ha allestito l’azienda comunale in centro, con una citazione dell’illuminazione dei musei, attenzione all’ambiente e alle nuove tecnologie e il desiderio di far uscire i romani da casa e di accogliere i viaggiatori con il giusto calore.
Su via del Corso, già la principale arteria della città, lunga km 1,5 e nei secoli sede di tutti i festeggiamenti, è stato steso un cielo, che di giorno appare come una rete di protezione e di sera come una trapunta di stelle.
Questi i dati tecnici: 190 chilometri di fibra ottica, 115 fasci di luce composti da 300 code luminose, in grado di ridurre del 45% il consumo energetico giornaliero dell’installazione, e 10 schermi al Led di quattro metri per due, collegati a una App.
Ciò che ancora non si era visto sono gli schermi che mandano spezzoni di film dedicati alla Città Eterna.
Il cinema è una cosa moderna, dunque anche Roma è tale.
E il cinema non è forse, anch’esso, una faccenda di luce.
Ditemi che cosa volete di più come regalo di Natale: una città nell’aria del tempo, percorsa e pervasa di e da luci e schermi, sui quali grandi registi raccontano la nostra storia.
L’Albero. Bentornato. Abbiamo sentito la tua mancanza. Nel mezzo di piazza Venezia i vigili del fuoco hanno innalzato Spelacchio, che, a vederlo quest’anno, non se la passa male.
Lo hanno tirato su l’8 dicembre, come sempre davanti all’Altare della Patria, è un abete naturale di tipo Abies Nordmanniana che viene da vicino Varese, è alto più di 22 metri e lo illuminano 80 mila luci e una decorazione fatta di 1.000 pezzi fra sfere e cristalli di neve.
Il puntale è alto m 1,5.
Rimarrà acceso 24 ore su 24.
Per tutta la durata del Natale, a Roma sarà Natale tutto il giorno.
La Natività. La città più bella del mondo ha tesori d’arte che non hanno uguali. Figuriamoci se non troviamo qui tutte le scene di nascita del Bambino di cui abbiamo bisogno e voglia.
Nel florilegio che vi propongo, ecco la più antica.
Siamo nelle catacombe di Priscilla, sulla via Salaria, e la dedicataria è con ogni probabilità citata da San Paolo in una delle sue Lettere.
Lo stile del dipinto è compendiario, le pennellate sono rapide, ma il linguaggio è eloquente: il profeta Isaia, lì accanto, indica una stella; la Madre si china sul Bambino e il Bambino si volta e vediamo benissimo che le forme anatomiche respirano e che ci stiamo incamminando verso una nuova espressione d’arte, legata a una religione nuova, che consola, accoglie, racconta.
Ma il Presepio di Arnolfo è il più bello di tutti.
Già sistemato nella Cappella Sistina, attenzione, quella della basilica di S. Maria Maggiore, è stato spostato più volte, fino a essere collocato nel museo.
Arnolfo di Cambio è stato architetto e scultore, è grande tanto quanto Cimabue, eppure di lui non ci sono tracce per tutto il Trecento e il Quattrocento.
Vasari torna a parlarne, quindi a ridargli vita.
Lui soggiorna a Roma alla fine del secolo XIII e lascia di sé testimonianze altissime.
A me Arnolfo piace molto, in lui apprezzo la fascinazione che sente per l’Antico, sentimento che provo anch’io, spesso senza essere capace di spiegarmelo, l’Antico è troppo complesso e ce l’abbiamo tutti dentro, soprattutto noi romani, quindi come fai a spiegartelo fino in fondo.
Lui è uno semplice, severo, poderoso, volumetrico, tu lo guardi e senti la forza della scultura del Duecento che affonda le sue radici nel mondo etrusco, Antico nel senso di arcaico, Antico anche nel senso di una spiritualità potente, che qui comincia a diventare più nervosa, vibratile, ingestibile.
Insomma, sto parlando del passaggio fra Romanico e Gotico.
E noi come siamo. L’uno e l’altro.
Romanici in quanto italiani, quindi concreti, noi abbiamo l’ombra che si proietta a terra quando camminiamo.
Ma siamo pure gotici, nevrastenici, ansiosi, capaci di cogliere nell’aria ogni cambiamento e ogni cambiamento, o variazione, ci fa stare male.
Incredibile, come questi artisti, chiamiamoli antichi pure loro, sappiano parlare di noi.
Vi ho messo in apertura la coppia bue e asinello di Arnolfo.
Guardate questi animali: i tratti sommari, gli occhi che ti entrano dentro.
Per l’amore che abbiamo in tanti per gli animali, per questo loro vedere dove noi non vediamo, capire ciò che noi non capiamo, gli animali, in questo caso quelli del Presepio arnolfiano, hanno diritto a tutti gli onori della cronaca.
Vi propongo anche, nella mia Galleria, un primo piano del bue.
Fate voi un confronto e ditemi chi, fra la bestia e il re che sta a un metro di distanza, ha l’espressione più giusta: stupito, il bue; torvo e minaccioso il Magio.
Nella bellissima vicenda della nascita di un Bambino che è tutto un programma, il sentimento dello stupore credo che sia più adeguato di quello della durezza.
E chi è che è capace di stupirsi.
Il bue.
Dunque, la bestia.
Bellezza impareggiabile della nostra relazione con il mondo animale, che ci affianca, ci accompagna, parla per noi.
La festa, com’era. Piazza Navona, una delle piazze più celebri e celebrate della Capitale, è stata uno stadio, quello di Domiziano, con una capacità, ve lo ricordo, di 30.000 spettatori, poi ha ospitato oratori, case e torri e ha pure accolto il mercato del Campidoglio.
Le opere che la esaltano di Bernini e di Borromini ne fanno uno dei luoghi più alti del barocco romano.
Ebbene, la piazza, come tutti i romani sanno, è da tempo sede della Fiera della Befana, che per tanti anni, io me lo ricordo, ero piccolissima e andare fino lì era un’avventura, è stata una delle tappe importanti delle vacanze di Natale.
C’erano le bancarelle con lo zucchero filato, le statuine del presepio, c’era una folla che faceva paura.
Folla, a ripensarci, bonaria, gente che voleva solo passare una sera diversa, distrarsi dalla tombola in famiglia, acquistare un paio di pupazzi per arricchire il presepio di casa.
Poi, il moderno.
Non so bene perché non ci sono più andata.
Però, che io sappia, delle belle statuine, nemmeno l’ombra.
D’accordo, almeno salviamo il salvabile.
E, soprattutto, salviamo la nostra storia, quella del barocco romano e della ricchezza delle nostre tradizioni.
Che facciamo, allora, con la Fiera della Befana di piazza Navona.
La festa, com’è. Ciò che maggiormente resiste a tutto è il cibo.
Dunque, il menu della Vigilia e quello del giorno di Natale.
A Roma nata e a S. Pietro battezzata ma di madre piemontese, io mi ricordo i tentativi di accordo, le ibridazioni, la fronda che proponeva di alleggerire la crapula, per farla breve, l’incubo della cena del 24 dicembre e, a seguire, quello del pranzo del 25: Natale.
Voi fate come vi pare, eh, io mi trovo un’altra collocazione nell’uno caso e nell’altro.
Lasciandovi però la descrizione del fritto della Vigilia.
Patate, cavolfiore e broccolo in pastella, carciofi fritti dorati e fettine di mela fritte.
Inoltre.
Preparazioni a base di pesce: filetti di baccalà, alici, calamari o totani, moscardini.
Un trionfo dell’attesa e del Bambino.
Insomma: teniamoci leggeri in vista del Natale, ché poi si festeggia sul serio.
Forse facciamo ancora in tempo a parlarne.