L’Air du Temps (page 14 of 15)

L’Air du Temps è un profumo storico ancora esistente. Esso è frutto di una Maison senza la quale la moda, e nemmeno il mondo, sarebbero gli stessi. Il nome, tradotto, significa «L’aria del tempo». E intendo inserire qui gli articoli che dell’aria del tempo si occupano: tecnologia; amori con i diverticoli, ovvero intestinali, sensibili e dolenti; oppure amori asmatici, ovvero che procedono per attacchi e a intermittenza. E poi tutto il resto.

L’INVENTARIO, 8. A TASCHE PIENE

Domenico Gnoli, La tasca dei pantaloni, 1969

Je m’en allais, le poings dans mes  poches crevées…
(Andavo, i pugni nelle mie tasche sfondate…)

Arthur Rimbaud, Ma Bohème

Sbagliano tutto, le donne.
Non solo, perseverano pure.
Sempre lì a compiacersi per le quote rosa; a starnazzare per il soffitto di cristallo; a perdersi su nomi di professioni declinati al femminile, improbabilmente.
Laddove si dovrebbero occupare della discriminante, quella autentica, che fa la differenza e che le inchioda lì dove stanno, senza nemmeno un piccolo luogo addosso dove mettere il biglietto dell’autobus o il fazzoletto.
Voi guardate come sono fatti di tendenza i pantaloni femminili, alcuni modelli hanno addirittura la lampo laterale, molti, e qui ci siamo, non hanno le tasche.
Se uno (una) domanda mi scusi ma non è che sono cucite e che vanno aperte, sorpresa sempre bellissima, come non sempre accade quando si apre qualcosa, la vendeuse ti guarda e dice, ma che scherza, poi stanno male addosso.
I pantaloni con le tasche stanno male addosso a voi.
Addosso a me stanno benissimo.

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L’INVENTARIO, 4: QUEL MARE CHE NON NAVIGAMMO


Allora sei matto.
Facciamo pure la tara a una sera alcolica, che, se non è alcolica, che sera è.
Ma quello che vorresti dirmi di più bello, forse dovresti dirmelo, tutto è così irreale e tu sei un oggetto inafferrabile, che si sposta continuamente.
Una cosa irrisolta, incompiuta, sospesa.
E, proprio per questo, aperta.

Mi sono messa a fare l’elenco delle vite irrisolte, alcune di esse mi si ripresentano continuamente, ho provato a inventariarle.
Almeno questo.
Voi prendete Roma. Che, a un certo punto, più o meno con Dante e Petrarca, conquista i letterati.
Per gli artisti ci vorrà un po’ più di tempo: vengono a Roma Brunelleschi e Donatello, insieme, li avrei voluti vedere, quei due, il giorno a scavare, misurare, collezionare l’Antico e la sera a ubriacarsi in taverna.

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L’INVENTARIO, 3: SOS PARTENONE

Martin Parr, Athens. Acropolis, 1991

Ho una brava podologa.
Quando l’ho conosciuta sembrava un personaggio uscito da un film di Soldini: stava con un rumeno che aveva venticinque anni meno di lei, giocava a biliardo, portava la motocicletta.
Adesso l’umore è cambiato e lei vive con una chihuahua tremante e con gli occhi a palla. La chihuahua si chiama come una cantante di Sanremo, di cui non ricordo il nome.
Ha tutto un suo corredino, con cestino, trasportino, zainino, giocattolini, salviettine detergenti per le zampine e il culetto.
Un paio di estati fa la podologa andò in crociera con alcune sorelle. Non ho mai capito quante ne abbia, le famiglie numerose mi fanno sempre questo effetto, non riesco mai ad afferrare il numero dei figli.
Tutte le sorelle della podologa hanno un chihuahua, ma non so se quella volta se li portarono sulla nave, è possibile che li lasciassero in custodia alle sorelle rimaste su terraferma.
La crociera si svolse in Grecia.

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L’INVENTARIO, 2: I VENTENNI, OGGI


La lingua italiana, i libri, i film, l’arte.
Parlano un italiano mediocre, in certi casi cattivo, in altri, pessimo.
Evitano di dire «tipo» solo perché mi faccio dare dieci centesimi ogni volta che lo dicono.
Evitano di fare il gesto delle virgolette solo perché taglio loro le falangi se lo fanno.
Non sanno che significa voluttà; non sanno che significano secessione idioma, un collega ieri mi diceva che i suoi non fanno differenza fra precursore e propulsore. A ben guardare, è vero che Correggio è stato un propulsore del barocco, una bella spinta gliel’ha data, chi potrebbe negarlo.
Non leggono romanzi; non sanno chi siano Levi, Morante, Tomasi di Lampedusa, Ginzburg.
Non vanno al cinema.
Non vanno a vedere l’arte. Però vanno a vedere la Klimt Experience e mi portano pure la brochure. Quando dico che è robaccia e che pure la brochure è orrenda, mi rispondono che un po’ l’avevano intuito pure loro. Però ci sono andati per curiosità.
Mai che vadano per curiosità a vedere che c’è dentro una chiesa o un museo.

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L’INVENTARIO, 1: UN PROGETTO D’ESTATE À LA PRÉVERT

Robert Doisneau, Jacques Prévert sul Canal Saint-Martin, 1955

Lunedì scorso ho fatto l’ultima lezione dell’anno.
Nelle passate settimane, come previsto, le mie lezioni hanno avuto una decrescita più o meno felice: da cinque a settimana sono diventate quattro; poi due; poi, una.
Fare una lezione è una cosa impegnativa e faticosa. Io uso il metodo Callas. La cantante, ogni volta che interpretava un’opera, se la studiava tutta.
Pure se la conosceva, pure se l’aveva già cantata cento volte. Se la ristudiava tutta daccapo.
Faccio anch’io la medesima cosa: mi studio tutto ogni volta. Del resto di volta non ce ne è mai stata una in cui non ho provato un sentimento di avventura e di scoperta.
Ma che voglio di più.
Fare una lezione è una cosa impegnativa perché devi tenere ben saldo in mano l’argomento. Poi, mentre la fai, ti devi ricordare quello che hai detto, controllare quello che stai dicendo, sapere che cosa dirai.
Insomma, stai sempre su tre piani temporali.
Sempre.
Un po’ come una medium, faccio da anello di congiunzione fra l’artista e il pubblico che ho davanti: acciuffo l’artista e lo tengo con noi. Certe volte, come lo spirito che è stato evocato, l’artista non se ne va, ti resta attaccato addosso.
A queste condizioni, ti credo, che fare una lezione è faticoso, pensate solo al dispendio emotivo.
Poi, forse, pure fare una lezione di matematica è pazzesco.
Ma io che ne so, io faccio lezioni di storia dell’arte.

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CHE CALDO

«Ma perché la gente è così accaldata? Ha un’aria orribile…»
(Marlene Dietrich)

Se non sto attenta, qui finisce che mi prendono per militarista, se non addirittura per guerrafondaia.
È vero che sono stata per un po’ a contatto con dei militari. Ma è stato solo per motivi professionali, ho fatto, cioè, delle conferenze, visto che qualcuno dei loro mi aveva seguita in una visita guidata e mi aveva arruolata.
Però ho imparato parecchio: per esempio da un Ammiraglio che non si dice Signor Ammiraglio, perché la sua carica già significa Signore dei mari, quindi il signore sarebbe un pleonasmo.
Da un Generale dell’Aeronautica che l’aviere non si bagna quando piove.
E da un Corazziere che sono i cavalli a sudare.
Gli ultimi due insegnamenti ho cercato di interpretarli a modo mio e li vado diffondendo, soprattutto quando fa caldo e tutti si agitano.

Le donne non sudano. Non sono cavalli e sono un po’ come l’aviere.

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CHE MAI SARÀ, QUESTA VOLUTTÀ

Henri Matisse, Luxe, calme et volupté, 1904

Una volta ricevetti in dono sei flûte iperboliche.
Di colore diverso una dall’altra, erano accompagnate da un biglietto con un augurio bello e poetico. L’augurio citava il titolo del dipinto che vi ho messo in apertura, che a sua volta riprende un verso di una poesia di Baudelaire, L’invitation au voyage, che significa Invito al viaggio, che dice le cose che qualunque donna vorrebbe sentirsi dire.
Più o meno, queste: pensa alla dolcezza, sorella mia, piccola mia, di andare a vivere insieme là; amare come pare a noi, amare e morire, nel paese che ti assomiglia. I soli bagnati, i cieli imbrogliati per il mio spirito hanno il fascino così misterioso dei tuoi occhi traditori, che brillano attraverso le lacrime. Là, tutto non è che ordine e bellezza, lusso, calma e voluttà.
Appunto: voluttà.
E qui casca l’asino. Anzi, qui casca un’intera mandria di asini; e se gli asini non stanno in mandria, sarà un branco, una muta, uno stormo o quello che vi pare.
Ma sono moltissimi, i somari.

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COL COLLETTO DURO E CON IL PETTO INAMIDATO

Immagina un uomo.
Immagina un uomo che ti piace.
Immagina adesso uno di quegli album con le bambole di carta da ritagliare e il loro guardaroba. Le bambole possono anche essere  maschi.
Immagina una bambola di carta maschio con il volto dell’uomo che ti piace.
Immagina la tua bambola di carta con addosso solo l’intimo.
E comincia a immaginare il suo guardaroba: un paio di blue jeans; delle belle camicie, una delle quali bianca e rigorosa; un cardigan; una giacca; alcune paia di scarpe: mocassini, sportive con i lacci, facciamo quelle con le tre bande, stivaletti.
Eccetera.
E adesso immagina una pagina dalla quale ritagliare un frac da fare indossare alla tua bambola (maschio). Qui si gioca una partita importante: come lo porta?
Non tutti gli uomini stanno bene in frac, diciamo che devono avere le physique du rôle, insomma, come tu hai capito benissimo, qui è chiamato in causa il tuo sentimento: stare bene in frac è una prova cui viene sottoposto il tuo amore.
E se non è una prova questa.
E se questo non è amore.

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CARTOLINE DAL PONTE, 3: LA RESURREZIONE E LA TOMBA DEL FORNAIO

La tomba del fornaio Eurisace

Ieri l’ho lavata.
Il giorno prima il mio garagista, quello che mi usa centinaia di cortesie ed è l’unica persona al mondo che mi fa domande personali (alle quali io rispondo sempre mentendo. Ma la cosa importante è che lui domandi e che io risponda), le ha gonfiato le gomme.
E oggi ho rimesso su pista la mia bicicletta, una bellissima Lazzaretti nera a sette marce.
Fedeltà del veicolo. Se avessi lasciato ferma la macchina un anno, non sarebbe ripartita.
La bicicletta no, tutto in ordine, freni, catena, luci, pure il campanello aveva la voce di sempre.
E me ne sono andata a spasso, in un tempo perfetto, cocoon, né freddo, né caldo, peccato il traffico, sempre ingombrante.
E ho fatto quello che volevo fare da un pezzo: sono andata alla tomba del fornaio.
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CARTOLINE DAL PONTE, 2: IL NOBEL ALLE SERIE

Versailles

Ma che ci state ancora a pensare?
Adesso vi dico io a chi dare il Nobel: alle serie.
Ma a quale serie, scusa? E che ne so, a quella che sto vedendo io al momento, in questo caso a Versailles.
Ma, scusa, quale Nobel?
Ma che razza di domanda: tutti, tutti i premi.
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