ELVIRA Mio tesoro!
LEPORELLO Mia Venere!
ELV. Son per voi tutta foco
LEP. Io tutto cenereWolfgang Amadeus Mozart – Lorenzo Da Ponte, Don Giovanni, Atto II, Scena III
Ieri sono andata a portare le lenzuola da stirare alla signora Anna della lavanderia e ho trovato la saracinesca calata.
Sopra, un foglio scritto a mano, che diceva che avrebbero aperto nel pomeriggio.
Quando sono ripassata, lei mi ha detto che la mattina c’era stato il funerale della suocera.
Cominciamo a mettere sul nostro tavolo alcune carte.
La suocera della signora Anna è morta all’età di centodue anni, non si alzava dal letto da un pezzo e non ragionava più.
L’abnegazione della nuora, che l’ha assistita e organizzata in tutto e per tutto per anni, si è spinta fino ad andare ad abitare due mesi fa nel medesimo appartamento, che poi, per inciso, è di sua proprietà.
Di proprietà di Anna.
Questo trasloco, che io non ho capito fino in fondo sebbene me lo sia fatta spiegare, ha comportato la coabitazione con il corpo della defunta, durata tre giorni.
Io sarei andata a stare in albergo.
La signora Anna mi ha detto che ha aperto le finestre, ha chiuso la porta e che ogni tanto guardava la lama di luce che passava dalla soglia: la lampada del tavolino da notte era accesa perennemente.
Io mi sono già occupata qui dell’umanissimo tema della morte.
Oggi voglio andare oltre e provo a riflettere con voi su alcune pratiche nostre, contemporanee, che mi lasciano perplessa, come se la nostra società, stranita e in punto di svolta, non avesse affatto le idee chiare su parecchi argomenti.
Statemi a sentire.
Vi presento la signora Anna, una delle persone più importanti della mia esistenza.
Infatti, di lei vi parlo spesso.
Molisana, appartenente a una famiglia numerosissima, otto fratelli, al punto che quando lei dice mia nipote, io non capisco mai di chi sia figlia, quindi, di chi parla, torna al paese tutte le estati, godendosi la sua vacanza.
Ha cominciato a lavorare da ragazzina nella profumeria del padre, che faceva il rappresentante di cosmetici e che vendeva la brillantina nelle boccette, pesata su una bilancia di quelle con i pesetti, riuscita fuori di recente.
La signora Anna ha aperto la lavanderia a cinquant’anni passati, si alza tutti i giorni alle cinque del mattino, vive con un cagnolino che non mi ricordo mai come si chiama, ed è un personaggio sostanziale nel quartiere: sa di vita e di marketing, ha racconti inesausti, smista i detersivi per la casa che vende una sua cliente, prende le raccomandate, aiuta tutti e a tutti dà retta, è disponibile pure a ricoverare le orchidee che Marco l’Egiziano vende con il camioncino all’angolo con la Tuscolana e che non vuole riportarsi indietro, è una donna forte, simpatica, che assomiglia molto alla sua terra.
Ora, una persona così è ben strano che sia in una situazione del tutto particolare, che non appartiene alla sua cultura: la signora Anna ha le ceneri del marito nell’armadio della camera da letto.
E quando la suocera sarà cremata, ci metterà pure quelle altre.
Di fronte a questo racconto, sono saltata su dicendole che non era tenuta a farlo, che dovevamo ragionarci sopra un momento, che la regola, da sempre, storicamente e antropologicamente, è che i vivi stanno da una parte e i morti dall’altra.
Oggi secondo me si fa troppa confusione.
La confusione è tipica di una fase di passaggio.
Ma dove stiamo andando?
Mentre mi offrivo di accompagnarla io, lei non guida la macchina, in un posto tranquillo, mare, pineta, collina, montagna, dove lei pensava che potessero essere sparse le ceneri, atto ormai legale, seppure a certe condizioni, è entrata nel negozio una strana donna, che io ho ritenuto fosse una cliente e che mi ha fatto subito pensare a mademoiselle Dombreuil, la governante del Gattopardo, che Tomasi di Lampedusa definisce senza mezzi termini «infelice» e che si infetta e soccombe davanti alle frenesie, scatenate dalla nuova presenza di Angelica, dei due innamorati di fresco: «quando dopo una giornata di inseguimenti e agguati moralistici essa si stendeva sul suo letto solingo palpava i propri seni appassiti e mormorava indiscriminate invocazioni a Tancredi, a Carlo, a Fabrizio…».
La mademoiselle nostra era secca secca, un grande naso che sporgeva dalla mascherina, tirata su fino a uno sguardo parecchio fripé, aveva corti riccioli completamente candidi ed era abbigliata da pioggia.
Ieri a Roma era primavera.
Afferrato al volo l’argomento della conversazione, si è buttata nella mischia, come avrebbe fatto uno rissoso in un agguato da osteria.
E ha cominciato a raccontare, freneticamente.
Ma prima, il tono dei discorsi che stavamo facendo.
Che non era né triste, né macabro.
Anzi, ormai ci era presa a ridere.
Io avevo disegnato tre schizzi di situazioni diverse, sull’umore delle quali la signora Anna era del tutto d’accordo con me:
1. Trovai strano, andando al cimitero di Arlington, Virginia, USA, che accanto al Presidente JFK fosse sepolta la moglie Jackie.
Che si era poi risposata e che solo la ragion di stato e la fame di leggenda avevano riportato sotto il primo tetto coniugale
2. In un racconto piuttosto noir di Andrea Camilleri, un gruppetto di amici, che si incontra per raggiungere la scogliera dalla quale hanno deciso di spargere al vento le ceneri di uno di loro, è oggetto di uno scherzo del vento suddetto, che cambia direzione sul più bello e li investe, tutti quanti, con quel che resta del defunto. Insomma, li ricopre di ciò di cui loro volevano liberarsi
3. Nel post citato prima, avevo narrato la storietta riportata dalla mia rivista di filosofia della coppia che ritorna da un viaggio e che trova un biglietto della domestica. È mortificata, le è scivolata di mano la scatola che stava sul caminetto, si è rotta, era piena di una specie di sfarinatura della legna, lei ha preso l’aspirapolvere e ha pulito tutto. Come avrete capito, la scatola conteneva le ceneri della madre di lui. I due ci pensano un po’, poi decidono di seppellire l’aspirapolvere in giardino (ripeto e confermo che io avrei sepolto solo il sacchetto)
A noi ormai ci era preso una specie di fou rire.
La mademoiselle non ha fatto altro se non far salire la temperatura.
Racconto della donna: «Quando vado da mamma, saluto e poi vado da papà, che sta accanto alla Settimana Enigmistica, con la penna per la parole crociate, le sigarette e l’accendino, me lo prendo fra le braccia, lo stringo e lo bacio tutto».
Intuisco che il padre era sotto forma di ceneri e che l’urna faceva parte di un mausoleo, tipo quello della madre di Amélie, custodito dal nano, allestito sopra al tavolo da notte sul quale lui depositava per abitudine la rivista e il necéssaire da fumo.
Ora.
Figuriamoci se io non so che i cimiteri, certi cimiteri, accendono le passioni e le tombe, certe tombe, sono percorse dalle mani fameliche di contatto dei vivi.
Figuriamoci se io non so che ci sono immagini devozionali dipinte, anche da super artisti, per esempio nel Rinascimento, che il committente si stringe al petto pregando, inondandole di lacrime.
Però da qui a tenere sul proprio seno l’urna di papà, cullandola due volte a settimana, ce n’è, di differenza.
A parte che su certi padri uno (una) ci dovrebbe mettere una bella pietra, mica metaforica, sopra, tutte queste donne innamorate del genitore mi sconcertano.
Ma perché non vi fate un fidanzato più regolare.
Vivo, vegeto e più giovane di almeno trent’anni.
Una delle cose più sensate che sentii dire da uno psicologo, e gli psicologi non sempre sono così lucidi, fu che il primo passo per elaborare il lutto era portar via il cadavere.
Lui parlava del lutto di una separazione o di un divorzio e il cadavere, quello del coniuge, in quel caso era un’espressione figurata.
Ma tanto più se il cadavere è, stavo per dire, in carne e ossa.
Mentre la demoiselle parlava, io sentivo chiaramente che per l’incredulità gli occhi mi stavano schizzando fuori dalle orbite.
Non riuscivo a rimanere seria.
Ho però preso al volo l’occasione e le ho chiesto se lei aveva voglia di spiegarmi i motivi del suo sentimento.
Lei, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, mi ha risposto che stava cercando di staccarsi psicologicamente dal padre.
Da anni.
Ma quale psicologicamente, andiamo, su, qui siamo nella dimensione di Psyco, con lui che si tiene in casa il cadavere imbalsamato della madre, che, almeno questo, non fuma né fa le parole crociate.
Mi veniva in mente che si potesse fare così. Quando la demoiselle sarà trapassata anche lei, si potrà cremarla in compagnia delle amate ceneri.
Come con il fritto e la doppia impanatura, ancora più croccante.
Le doppie ceneri, almeno questo, fanno un po’ di spazio.
Da due, uno.
Come nelle più grandi storie d’amore.
Come era apparsa, la demoiselle, che non era una cliente ma una che voleva solo un’informazione, si è dileguata.
Io sono rimasta ancora un po’ con la signora Anna, alla quale venivano un’idea dopo l’altra.
Per prima cosa, quella di chiedere al figlio, il più grande, quello che lei chiama spesso con un lapsus che è tutto un programma «mio marito», di sistemarle un nuovo ripiano nell’armadio, perché un’urna ci può pure stare, ma due cominciano a essere ingombranti e a lei l’armadio serve per metterci la roba.
Poi che, a pensarci bene, le urne le poteva portare pure nella casa fuori, che ha un pezzetto di giardino davanti, nel quale, sotto una tettoia, già c’erano i contatori del gas.
Fare un po’ di spazio non sarebbe stato difficile, bastava togliere un po’ di erba e OP!, il gioco era fatto.
Urne con dentro i morti come macchine in seconda fila quando uno deve fare un salto in farmacia.
Adesso ditemi voi se non sono nel giusto e nel ragionevole quando dico che qui si è perso il centro, che il rapporto con la morte ha preso una brutta piega, che questo è un sintomo di una cultura che non sa che pesci prendere.
Quanto poi alla comunicazione giocherellona di certe agenzie di pompe funebri, che, dopo la prima che ha avuto l’idea, ormai imperversano, si copiano l’un l’altra, superando non solo i limiti del buon gusto ma anche quelli della decenza, ne parliamo in un altro post.
Meglio se in questa vita, perché chissà se poi, ridotti a cenere come saremo, avremo la possibilità di farlo.