Rosa Gallica

Rosa gallica. Arbusto, a foglia caduca. Fioritura: VI-VIII. Altezza: m 1-1,85
Originaria dell’Europa centrale e meridionale. È una R. antichissima, capostipite di molti ibridi, che ha giocato un ruolo importante nella creazione delle R. moderne…
Ippolito Pizzetti, Enciclopedia dei Fiori e del Giardino, 1998

Rosa Gallica Officinalis. Peggio delle logopediste, chissà poi perché tutte donne, ci sono solo gli psicologici, questi, di genere misto.
Ma, almeno, dallo psicologo non ti ci manda nessuno, ci vai da solo in un momento di confusione, che lui, svelto, ti accentua.

Rosa Gallica Officinalis

Dalla logopedista, no, ti ci manda il foniatra, quando non sa più che pesci prendere e quando già ti ha dato il cortisone e l’integratore (da cui la rosa officinale, dunque, anch’essa farmaceutica).
Lui pensa proviamo pure questa ed eccoti infilato in un guaio.
Ed è stato così che un paio di giorni fa mi sono sentita dire che potevo pure continuare la mia vita sociale con gli aperitivi, a patto di berli non alcolici.
Lì ho dovuto chiarire che a. non faccio vita sociale; b. l’unica cosa interessante dell’aperitivo è l’alcol.
È evidente che dopo questa mia uscita il colloquio con la logopedista è stato tutto un capitombolo, con divieti, proibizioni, prospettive che più deprimenti non si può, voi non sapete quanto può essere noiosa questa categoria di gente, che torture può inventarsi, secondo me questi dovrebbero leggere più romanzi (ammesso che ne leggano qualcuno) e vedere qualche  bel film.
Capirebbero, almeno un po’, come si sta al mondo e come aiutare il paziente.
Che poi dovrebbe essere, questo, il motivo per cui stanno lì, si impancano e danno consigli.
Del resto, se una persona la prima volta che mi vede pensa che io sia una vita sociale e aperitivi, non è che sia un campione di intuizione, pure il parrucchiere, quando è bravo, capisce in dieci secondi fin dove arrivare con la nuova cliente, se rimanere conforme o uscire di testa.

E mi sono fatta pure, fra andare e venire, quattro ore di macchina per raggiungere una clinica che sta in una parte di Roma con la quale sono en delicatesse, nel senso che avevo giurato di non metterci mai più piede in vita mia.
Quando sono rientrata, mi sono servita un aperitivo e ho aperto una bottiglia fra le migliori della mia cantinetta.
Nel frattempo ho mandato un messaggio lungo tre messaggi lunghi al mio foniatra, nel quale diciamo che mi sfogavo.
Lui mi ha dato un appuntamento per domani per parlarne e ha aggiunto tre faccette del braccio con il muscolo.

La faccetta col muscolo

Ma che faccio, chiamo faccetta quello che è a tutti gli effetti un braccio, e perché no, gli uomini non chiamano forse pancia lo stomaco.
Io ho risposto con un cuore.
Mi sono resa conto che con i medici che mi seguono la relazione diventa subito intima e calda, nel senso che ci prendiamo e andiamo d’accordo.
È con le logopediste, che non mi prendo e che non vado d’accordo per niente.

Rosa Gallica Empresse Joséphine.  Come vi ho raccontato qui, c’è chi non ha nemmeno uno straccio di sepoltura e passa il suo tempo chiuso in un’urna in un armadio, insieme a cappotti e lenzuola (dipende dall’anta).
E c’è, invece, chi di sepolture ne ha due.

Rosa Gallica Empresse Joséphine

È stato così che abbiamo assistito all’ingresso di Joséphine Baker nel Panthéon, quello di Parigi.
La cerimonia, sempre molto francese, ovvero ben organizzata e piena di orgoglio, aveva in sé, si capisce facilmente, qualche cosa di macabro.
Da quelle parti capita di cercare una sepoltura e il sepolto non c’è più perché è andato a far compagnia ad altri uomini grandi come lui nel rituale che loro chiamano della, traduco, panteonizzazione.
Ma non sempre va così.
Perché, per esempio, le spoglie della famosa cantante e danzatrice, nella bara, non c’erano, sostituite da quattro manciate di terra provenienti da quattro parti del mondo a lei care: la città natale di Saint-Louis, USA; Parigi; la valle della Dordogna, ovest della Francia, dove lei ha vissuto in un castello; il cimitero marino di Monaco, dove è sepolta.
E dove è rimasta in santa pace, accumulando così due tombe, anzi, una tomba e un cenotafio.

Joséphine Baker entra nel Panthéon

Ho letto un articolo divertente e divertito in cui si raccontava che non è la prima volta che succede: Léon Gambetta, ministro del sec. XIX, è entrato nel Pantheon solo con il suo cuore, il resto è rimasto a Nizza. Quel poco che resta del resto, perché già testa, cervello e braccio destro erano stati estratti durante l’autopsia per farne delle reliquie.
Louis Braille, inventore del metodo eponimo di lettura per i non vedenti, è entrato nel Panthéon senza le mani, altamente simboliche della sua opera, rimaste a Coupvray, Ile-de-France.
La tomba di Nicolas de Condorcet, figura maggiore della Rivoluzione, panteonizzato per volere di Mitterand in occasione del Bicentenario, è anch’essa vuota, perché il corpo, sepolto in una fossa comune a Bourg-la-Reine, Hauts-de-Seine, non è stato mai trovato.
Insomma, come sempre nella vita, e anche nella morte, chi troppo, chi (quasi) niente.
Dovrò pure parlarvi della ragazza che fa le ore, che, abbiamo capito, nelle case in cui va spolvera regolarmente urne contenenti ceneri di defunti.
Prima, senza saperlo.
Adesso che lo sa, con raccapriccio.
E ha ragione lei.
I morti, se non si mettono nel Panthéon, vanno messi in una tomba normale, non sopra o dentro l’armadio.

Rosa Gallica Gloire de France. Su consiglio (d’accordo, sponsorizzazione, e c’è chi la chiama diversamente) dello Chef, mi sono comprata un po’ di attrezzatura professionale per la mia cucina.
Lo scopo è di dare un piccolo aiuto alle mie doti di cuoca, non sempre eccelse.

Rosa Gallica Gloire de France

Attrezzatura acquistata: il coltello forgiato lungo cm 18; le pinze in acciaio; la griglia per i fritti; lo skimmer, che poi sarebbe una schiumarola, ma mi piace chiamarla skimmer perché così mi do delle arie; il tagliere in materiale plastico, pieghevole, che va in lavastoviglie, così mi risparmio tutto lo strazio della manutenzione dei taglieri di legno (ne ho tre), che non puoi lavare con l’acqua calda e il detersivo, che devi solo passare sotto l’acqua corrente e, spesso, igienizzare con sale grosso e limone.
Ma il pezzo più importante che mi sono comprata è la cocotte in ghisa.
Tre chili e mezzo fra pentola e coperchio, da lavare rigorosamente a mano, un dispositivo di cottura che sto imparando a utilizzare e che mi ha già dato grandi soddisfazioni, soprattutto per i miei sughi pomodoro e basilico e per le verdure.
Fra queste, il più sorprendente è stato il finocchio.

La mia cocotte in ghisa, rossa come una Ferrari

Non ne avevo mai mangiati di così buoni come quelli che sto cucinando.
E non sapevo che il finocchio potesse essere così dolce.
Olio, g 10 di burro, sale, pepe e in dieci minuti è pronto.
Questa è la foto di una delle mie prime volte, quando la cocotte ancora mi intimidiva.
Adesso ci ho fatto amicizia.
Anche perché sta sempre in mezzo ai fornelli. Ma letteralmente.
Voi pensate che, quando è arrivata, ho detto adesso bisogna trovarle un posto nello sportello delle pentole.
Ma non ce n’è stato bisogno, perché sta sempre fuori, la uso anche due volte al giorno e la lavo e l’asciugo personalmente e guai a chi me la tocca.
Ovviamente, la cocotte è francese, dunque, la rosa Gloria di Francia le va comme un gant.

Rosa Gallica Aimable Amie. Sappiamo tutti che è entrato il Sagittario, il segno mezzo uomo e mezzo bestia, come dice Primo Levi, che fra poco ritorna.

Rosa Gallica Aimable Amie

E la molto dotata Margot Lecarpentier, che officia nel bar à cocktail parigino Combat, che è più o meno dove vorrei stare in questo momento perché l’ora è giusta e l’umore è giusto pure lui (ma non ditelo alla logopedista), per il Sagittario ha creato questa ricetta:

30 ml de shochu (distillato giapponese)
25 ml de jus de citron vert (succo di limone verde)
20 ml de sirop d’ananas (sciroppo d’ananas)
15 ml de manzanilla (vino secco da vitigno palomino)
20 ml d’apéritif 30&40 (ou 20 ml de pommeau) (siamo in Normandia)
1 feuille d’ananas

Il cocktail Sagittario di Margot

Versare tutti gli ingredienti nello shaker e  agitare vigorosamente.
Filtrare in un bicchiere riempito di ghiaccio e guarnire con una foglia di ananas.

Non riesco a immaginare il gusto, ma vedo perfettamente che la foglia di ananas sembra la pinna di uno squalo.
Non so se questa fosse l’intenzione della mia Amabile Amica, alla quale offro in omaggio la Rosa Gallica con questo nome (guardate quanto è bella, sembra una peonia), però questa è la mia impressione.
Che poi è quella che conta.

Margot

E a me il Sagittario, segno di fuoco finale dello zodiaco, fa un po’ paura.
Segno di fuoco iniziale io, penso sempre che loro hanno addosso tutti i pregi di tutto l’anno.
E anche tutti i difetti.

Rosa Gallica Complicata. Certe volte faccio fatica a semplificarmi la vita.

Rosa Gallica Complicata

Ovvio, è colpa mia.
Con tutto che ce la metto tutta.
Una virtù che invidio agli uomini è la loro perenne capacità di giocare, anche quando non sono più bambini da un pezzo.
Il gioco alleggerisce l’esistenza e mi dico sempre che dovrei giocare anch’io, nei miei limiti e come posso.
Ma forse sono troppo severa con me stessa, perché, a ben vedere, gioco anch’io, e nemmeno poco, con l’arte e con le parole.
Questo post, per esempio.
Come è uscito fuori.
E io che ne so, i post escono da soli.
E quando non ne hanno voglia, non c’è verso di farli uscire.
Comunque, stavolta volevo complicarmi la domenica.
E ci sono pure riuscita, perché è da stamattina che giro nel mio roseto, avendo incontrato da un po’ la mia rosa di elezione.
E come potrebbe essere diversamente: nome e cognome.
E allora mi sono messa a cercare tutte le ibridazioni, e ne ho trovate di eloquenti e fantastiche, insomma, ci sto giocando.

Rosa Gallica Splendens. C’è chi è mostruosamente dotato e scrive benissimo.
Mi avvilisce e mi mortifica?
No, per niente.
Anzi, mi stimola e mi esalta.
Per esempio, Primo Levi.

Primo

Asciutto come un Hemingway torinese, e come Hemingway morto suicida per liberare l’anima dal corpo, è uno dei nostri intellettuali più grandi.
Lui è capace di una scrittura limpidissima, poetica, che è tale solo quando è il caso, una scrittura, comunque, sempre assoluta, voi fateci caso, non c’è mai una sola parola superflua, ogni parola è necessaria.
Quando non lo avevano ancora letto, ho sempre dato da leggere ai miei studenti Se questo è un uomo, che non sarebbe il capolavoro che è se non fosse scritto come è scritto: pulito, geometrico, la ragione che, per quanto annientata, sfida l’orrore.
Sto leggendo di Primo Levi il suo Sistema periodico.

Tavola periodica degli elementi

Ma di che cosa si tratta: «Si chiama così un ordinamento dove gli elementi chimici sono disposti secondo l’ordine crescente dei pesi atomici, e dove a intervalli regolari ricompaiono quelli chimicamente simili, in modo che, con opportuna disposizione grafica, essi si trovano su una medesima colonna, risaltando così nel modo migliore le analogie e le dissimiglianze fra tutti gli elementi. Esso è dovuto al russo Dmitrij Mendeleev (1869)…».
Tutti a scuola abbiamo sentito parlare del sistema periodico, anche se a molti sarà capitato di avere, come me, un docente insulso, voi pensate che nemmeno mi ricordo come si chiamava la materia.
Io mi ricordo solo, e in modo dirompente, le mie esperienze scolastiche di Italiano, Latino e Greco.
E già è qualcosa.
C’è chi non si ricorda niente di niente.
Ma divago.
Stavamo dicendo.
Primo Levi è un chimico, ma è anche un linguista raffinato e uno scrittore eccelso.
Dunque, gli viene l’idea di abbinare a ogni elemento chimico, argon, zinco, ferro, potassio, nichel, fosforo, delle storie, con le persone, i fatti, le cose che hanno le medesime caratteristiche degli elementi.

Non si parla, forse, ossessivamente di carbonio.
Non si dice, forse, temperamento mercuriale.
Non si dice, forse, volontà di ferro.
La montatura dei miei occhiali più belli non è, forse, di titanio.

Il risultato è il matrimonio, riuscito, fra l’umanesimo della scrittura e il rigore della scienza.
Sto qui che mi dico ma questo è un genio, ma ti rendi conto che chiunque di noi, se solo ne fosse capace, potrebbe scrivere a modo suo qualcosa di simile: musica, vino, lavoro a maglia, cucina, matematica, economia domestica, panificazione, cura della pelle, lavanderia.
Nel senso che chiunque di noi ha il suo campo d’azione, dal quale potrebbe trarre delle narrazioni.
E io ci ho provato, almeno questo.
E in una domenica complicata, sistemata nella mia agenda fra l’incontro con la logopedista analcolica e il foniatra muscolare e caldo, gioco con la rosa che mi è destinata, nomen omen, e con i suoi ibridi.

E la mia impressione non è più quella dell’avvilimento di quattro mesi di tribolazioni.
Io, attraverso il gioco e la scrittura, stasera, come questa Rosa Gallica qua, sono splendente.
Stasera io splendo.

Rosa Gallica Splendens