Nel mestissimo giorno degli addii
mi piacque rivedere la tua villa.
La morte dell’estate era tranquilla
in quel mattino chiaro che salii
tra i vigneti già spogli, tra i pendii
già trapunti di bei colchici lilla.Guido Gozzano, La signorina Felicita, 1911
Stavo in pensiero.
Non ci dormivo la notte.
Mi chiedevo: ma quand’è che fanno la prossima mostra sugli Impressionisti.
Eccomi accontentata, finalmente.
A Bologna inaugura domani la mostra tanto attesa.
E io posso ricominciare a dormire sonni tranquilli.
È che non vi sopporto più, è che non siete più credibili, sempre e solo mostre sugli Impressionisti, piccolette, inutili, un po’ di provincia, niente a che vedere con quelle cose mozzafiato che fanno pure loro a Parigi quando hanno bisogno di soldi.
Tutti abbiamo bisogno di soldi, e ci mancherebbe.
Ma voi avete bisogno di soldi in modo patetico.
Dimenticavo.
È in calendario anche una mostra su van Gogh, inaugura il prossimo ottobre in una colta cittadina del Veneto e mette in scena i colori della vita dell’artista.
Un’idea geniale.
Ma fate bene. Ormai è difficile andare a Parigi a vedere gli Impressionisti.
Ormai è impossibile andare ad Amsterdam a vedere Vincent.
Così voi, generosamente, popolate il nostro, anzi, meglio, il vostro (io farò altro) autunno con queste proposte culturali sulle quali già mi struggo: per l’originalità, per i contenuti culturali, per quella sferzata che dà alla vita una mostra ben fatta.
Ma fatemi il piacere.
Ho messo il bonsai nel carrello del supermercato perché non volevo lasciarlo in macchina.
Un po’ temevo che prendesse troppo sole al parcheggio.
Un po’ che potessero rubarmelo.
Un po’, soprattutto, volevo stare con lui dopo poco meno di una settimana di lontananza.
A voi non capita, di volere stare con una pianta?
Sono tornata al supermercato, uno dei dieci di cui sono cliente, perché volevo restituire della merce.
Ho messo tutto sullo spazio ristretto del banco ascolto clienti, in uno sportello piccolo piccolo fra il piano troppo alto e la lastra di plexiglass.
Ho appoggiato sopra a tutto lo scontrino, con evidenziate due voci in giallo.
E ho elencato.
Il dvd non funziona. Non c’è l’inglese, come annunciato sulla confezione. Quindi ve l’ho riportato. Fra l’altro il film, di cui ho visto un pezzo in italiano, è pure brutto.
Che sia brutto non è colpa vostra, dunque non ve lo dico. Però ve lo riprendete perché io non so che farmene.
Inoltre.
Qual è la caratteristica principale dei grissini?
Capisco che a qualcuno io possa sembrare intimidente. Ma, visto che ero andata fino là, pure in macchina, per via del dvd, allora vi riporto pure quest’altro pezzo.
La signorina, che ho pensato fosse una responsabile perché stava lì e perché non era di pelo primissimo, mi ha guardata, sconcertata.
Andiamo su, che lo sai.
Pensaci un attimo, anche perché se non mi rispondi, il reso si blocca.
Lei ci ha pensato un po’, poi si è illuminata e ha dichiarato: «Sono croccanti».
Applausi.
Complimenti.
È per questo che ve li ho riportati, perché, sebbene la data di scadenza sia lontana, gennaio 2021, questi grissini sono teneri come paninetti al latte.
Lei è entrata in confusione e ha chiamato l’uomo di turno, un energumeno che ha preso la confezione, nella quale c’erano cinque pacchetti, aprendone uno con uno strappo violento.
Si è infilato un paio di grissini in bocca e mi ha detto: «Ma mica sono cattivi».
Come si fa con l’allievo un po’ tardo, ho ricominciato a spiegare, calma e professorale: «Ma il grissino deve essere croccante, questo è anche un vostro prodotto regionale, il grissino piemontese, per definizione, è il migliore al mondo. Lei è mai stato in Piemonte? Il grissino piemontese è stirato a mano, sottile, stortignaccolo. Croccante».
C’era un’aria condizionata polare, ero andata a prendere la mia rivista francese a via Veneto e a riprendermi il bonsai a via Lucrezio Caro.
Parcheggiando facilmente dappertutto.
E Irina/Irene, che ha ripreso servizio, stava a pulire la mia casa e me ne ero andata apposta, per non starle fra i piedi.
E perché lei non stesse fra i piedi miei.
Le avevo anche lasciato la seconda macchinetta del caffè pronta, con la tazzina sul tavolo, il cucchiaino, lo zucchero e i dolcetti.
Pure se lei non ama prendere il caffè da sola e allora è peggio del bonsai, per il quale elaboro sentimenti di assenza, una volta le ho detto senti, io devo uscire, prenditi l’orsacchiotto, quello ci sta sempre, con una bella ragazza, una volta in un albergo di Marsiglia la cameriera gli ha cambiato la camicina, lasciandomi un biglietto: «Pardonnez-moi» e il giorno dopo io ho lasciato a lei una confezione di cioccolatini con una risposta.
Il fatto che una giovane donna con un certo numero di stanze da sistemare si fosse messa a giocare con il mio orsacchiotto mi aveva divertita e intenerita: tutti abbiamo bisogno di gioco e di compagnia.
Quando sono rientrata, Irina/Irene non aveva preso il secondo caffè e allora gliel’ho preparato io, assistendo anche alla cerimonia della zolletta di zucchero nella tazzina.
Manco l’orso, basta.
Ma torniamo ai grissini.
Il fatto è che voi andate in vacanza a Santorini e che meglio fareste a farvi un giro a Torino, fanno dei grissini croccantissimi.
Così come quelli delle mostre, invece di andare in vacanza su un’altra isoletta greca, meglio farebbero a farsi un soggiorno di studio in una città che le mostre le organizza professionalmente.
Ricavando da esse un sacco di soldi.
Nelle intenzioni, avevo voglia di scrivere un post sul MaxiSorbetto dell’estate 2020, quattro porzioni monogusto, tutte dedicate a Diego Velázquez.
Ho fatto quattro collegamenti da quaranta minuti ciascuno, il tempo dedicato era perfetto, mi sono anche sfiziata, per scaldarmi, con la moda, il cinema, i francobolli.
Avevo esordito raccontando il mio stato d’animo, perfettamente duplice e diviso: metà timore reverenziale; metà esaltato.
Ho visto Ben-Hur, in questi giorni, e ormai so tutto sulla corsa delle bighe.
I cavalli sono come i sentimenti.
Uno, più meditativo, ti fa da àncora.
Un altro, più focoso, ti trascina.
Ecco, è andata un po’ così.
Il timore reverenziale mi ha dato la prudenza che serve ad affrontare un simile artista che, se lo prendi alla leggera, ti divora.
L’esaltazione mi ha dato le ali per volare.
E questo ho fatto: ho volato.
Me lo dico da sola, ma io sono un giudice implacabile e cattivo, soprattutto con me stessa.
E mi sono riascoltata più volte.
E ho fatto un buon lavoro.
E mi dichiaro soddisfatta.
E poi l’artista è uno compatto, che praticamente ha prodotto solo capolavori e le lezioni si sono sistemate da sole, come speravo che si sistemassero, con gli argomenti che mi si sono presentati davanti nelle ore quiete dello studio, insomma, è stato bellissimo, mettermi in relazione con lui, stare in ascolto e, a cose concluse e a conti fatti, mi pare di essere riuscita a raccontarlo, senza trascurare niente.
Il suo talento eccezionale, la sua precocità, la scioltezza delle sue pennellate, che hanno un paio di secoli di anticipo su tutto quello che sarebbe successo.
Il suo umanesimo, per il quale indaga, senza caricaturizzarli, i nani e i buffoni che stanno a corte.
La sua passione per l’Italia, soprattutto per Roma.
E ti credo e ti capisco.
Per la prima volta in vita mia, ho avuto un pubblico singolare che, ad agosto, ha voluto seguire lezioni di storia dell’arte on line.
E fatto, io, una cosa che non avevo mai fatto.
Tutti gli amici, almeno a quello che vedo, stanno in vacanza.
Fra bottiglie di vino, lo ammetto, invitanti; panorami alpini di una lontananza tale da dove sto io che generano in me solo la stanchezza del viaggio; appesi a un albero di una barca a vela che immagino scomodissima, io che dormo in un letto déco queen size fra lenzuola di lino ricamate a mano e che ogni giorno passo due ore e mezza nella mia stanza da bagno.
Inoltre, mi sembra di essere l’unica a preoccuparmi, professionalmente, della stagione che incombe.
Preoccuparmi al punto da non dormire la notte.
Ma forse è il caldo, che rovina il sonno.
Oltre ai pensieri.
Il lavoro.
I rapporti.
La realizzazione di sé.
Il denaro.
I progetti.
Che c’entra Gozzano.
C’entra.
Da ragazza, questo era il periodo in cui partivamo con la mia amica amatissima e andavamo in sopralluogo nelle zone che la Soprintendenza di Urbino ci affidava per la schedatura delle opere d’arte.
Avevamo appuntamento sul posto col fotografo, che veniva da Macerata.
Ed erano, quelli, i luoghi che sarebbero stati devastati dal terremoto recente.
Viaggi stranianti, difficili, montagne ostili, mi ricordo che cominciava il freddo, che le trote in trattoria erano ottime e che il lavoro era noiosissimo, in paesi dove c’era solo robetta, arredi liturgici, tele da strapazzo.
(Altro che Velázquez).
Ma quello passava il convento.
E, professionalmente, io ho sempre fatto di tutto.
Un anno ero entrata in combutta con Gozzano e mi risuonavano in mente i suoi versi, come un’ossessione.
Quelli che vi ho messo in apertura.
E di dov’era Gozzano.
Di Torino.
E dov’è che lui si innamora della signorina Felicita.
In Piemonte.
Vedi tu come tutto si tiene.
Mica l’avevo capito, stamattina, alle prese con i grissini.
E che dvd ho riportato al supermercato.
La bella addormentata nel bosco.
Che avevo comprato per via del fuso col quale lei si punge, cadendo in un sonno che sarà interrotto solo dal principe azzurro, perché mi stavo occupando, con Velázquez, di fili e di filatura.
Ma che faccio, vedo i cartoni animati.
Perché, pensavate che nell’espositore del secondo piano della Conad ci fossero Bergman e Fellini.
Vedo i cartoni animati perché per il cinema, come per il vino, sono onnivora.
Tutto bevo e tutto guardo.
Mi adeguo a tutte le bottiglie che incontro in felicità completa, bevo locale, regionale, estero, simbolico, evocativo, letterario, culturale.
E passo in disinvoltura dalle poco meno di sessanta ore di Heimat, rigorosamente in versione originale, a Walt Disney.
Vedendo benissimo che La bella addormentata nel bosco è la brutta copia di Cenerentola.
Il re padre è grasso uguale e il pretendente ha la medesima faccia da puppo.
Lo dico sempre, che se fossi nei confronti della vita disponibile come sono nei confronti del cinema e del vino, sarei una donna felice.
E invece.