L’Apprendista Stregone, Fantasia, Walt Disney 1940

Aspetto le nove.
«Sono quella cui lei ha cambiato le spazzole. Della lavatrice con due resistenze. Si ricorda di me?». Il tecnico si ricorda.
Io mi ricordo che lui fece quasi un salto quando illuminò con la torcia del telefono il motore in fondo.
Pensai che avesse visto un topo morto.
No, aveva  visto una cosa che non aveva mai visto in vita sua: due resistenze.
Ora, per me la mia lavatrice di resistenze può averne anche venti o nessuna (anche se capisco che nessuna è difficile), però il tecnico mi spiegò che quello era uno dei tanti segni della qualità dell’elettrodomestico.
«Lei ha capito perché non voglio cambiarla».
Gli faccio pure la diagnosi: «Secondo me è la pompa dell’acqua. Si accendono tutte le lucette, il motore è a posto, scarica, centrifuga. Ma non carica. Ieri sera pensavo che stesse impiegando troppo tempo a scaldare, ho aperto lo sportello, i panni erano asciutti».
Ora devo solo convincerlo a venire di corsa.
Gli dico le cose che ogni uomo vorrebbe sentirsi dire da una donna: che ho bisogno di lui, che sono in un guaio e che solo lui può aiutarmi.
Non dico che nessuna donna gli ha mai detto queste cose, dico che nessuna donna gliele ha mai dette come gliele sto dicendo io.
Ieri in garage uno mi ha detto che parlo forbito.
Ho lasciato cadere il discorso.
Strappo al tecnico un appuntamento rapidissimo.
«Guardi che c’è una donna che l’aspetta».

La telefonata finisce con un sovrapporsi di risate.

Quanto mi piacciono gli uomini sensibili.

A un certo punto questi hanno cominciato a scrivere come se avessero il singhiozzo.
«nos chef.fe.s, sommelier.e.s et mixologues préféré.e.s».
«A peine remis.e.s du premier, nous voilà reparti.e.s».
E vedrete che fra un po’ il singhiozzo arriva pure da noi.
Anzi, mi sono ricordata che in alcuni casi è già arrivato, infatti una collega particolarmente evoluta, una contemporaneista, scriveva mail impossibili da leggere che esordivano con «buongiorno a tutt.e.i».
Costellate di puntini.
Per ora si è diffuso l’uso di dire «bambine e bambini»; «studentesse e studenti»; «lettrici e lettori»; «ragazze e ragazzi»; «artiste e artisti» e tutto suona un po’ diverso dall’invece bellissimo «Ladies and Gentlemen».
Nel senso che suona come un pleonasmo e un appesantimento.
Segnalo: non mi sento esclusa dagli ascoltatori.
Né dai professori.
Né dai lettori.
Si tratta, da noi, di una faccenda grammaticale, per cui il genere maschile comprende anche il femminile.
Non mi sembra né una congiura, né un insulto.
E se voi ci mettete i puntini, faccio fatica a leggervi e mi sa che fra breve non vi leggo più, perché faccio fatica a capire che cosa dite.
Allora sì, che mi sento esclusa.
E la Crusca, che fa la Crusca? Annuisce, e che deve fare, mica si può mettere contro l’onda dell’affermazione della lingua al femminile.
Però vi aspetto al varco.
Voglio vedere il «vicedirettrice» maschio e la «segretaria» di partito.
E dove sono gli uomini?
Imboscati, come sempre. Quelli più attenti a dire «direttrice» sono quelli che in privato fanno le battute sulle donne così come le fanno sui carabinieri, più sono primitivi, più ci stanno attenti.
È un po’ come con gli asterischi, che interrompono la parola volgare e il vero e proprio turpiloquio, così il lettore (la lettrice) pudibondo (pudibonda) non si stranisce.
Sarò chiara: al primo puntino e al primo asterisco, smetto di leggervi.

Mi sono fatta il regalo di Natale: un calendario dell’avvento.
Geniale, stavolta più del solito.
È un vanity con dentro venticinque scatolette, su ciascuna delle quali c’è un numero.

Il mio regalo di Natale

Le scatolette stanno tutte belle sistemate nel vanity, che ha gli elastici laterali e una tasca con dentro una pochette.
C’è anche lo specchio.
E che cosa c’è dentro le scatolette.
Beh, visto che stanno in un vanity, ci stanno dei cosmetici.
Venticinque fra maschera per i capelli, bagno schiuma, crema da giorno, shampoo, deodorante, esfoliante, tonico, olio struccante, maschera per il viso, olio per il corpo, mascara, dentifricio, rossetto, balsamo da notte, siero, smalto.
Eccetera.
Praticamente l’equivalente di un mare di patatine fritte per un goloso.
Inoltre, tutte marche di qualità alta, non facili da trovare, scelte con cura, sapete quando si vuole fare un bel regalo e si pensa ai gusti della persona che lo riceve.
Inoltre, il vanity è in edizione limitata e già non è più disponibile.
Prima gli ho cercato un posto.
Nella mia stanza da bagno c’è un gradino in marmo sotto la finestra, che è poi il motivo per cui la casa fu comprata (oltre che perché stava a due minuti dalla metropolitana).
L’ho liberato, pulito con il Cif pure se l’avevo pulito il giorno prima.
Pulendo, sono arrivata fino alle mattonelle.
Ho aspettato che il marmo si asciugasse e ci ho deposto il vanity, come una pisside sull’altare.
Altre quarantotto ore sono trascorse guardandolo senza aprire niente.
Però avevo sfilato il libretto che è all’interno con tutto l’elenco dei prodotti e una descrizione per ciascuno e ci avevo scritto sopra la data con la penna stilografica.
Poi l’avevo rimesso dentro la tasca.
Dopo un altro po’ ho cercato la scatoletta numero 1, una meravigliosa maschera per i capelli che già conoscevo.
Ho deciso di farmi uno shampoo.
Poi ho deciso di aspettare per il resto.
Poi ci ho ripensato e mi sono detta qui siamo in zona allarme, se mi ammalo, sai che ci faccio con il vanity in ospedale.
Allora mi è venuto in mente di anticipare di un mese, cioè di aprire una scatoletta al giorno a novembre seguendo il calendario.
Ma mi sono resa conto che quella logica non aveva senso.
O aspetto dicembre, o apro tutto subito.
Opzione numero due.
E apro seguendo quale criterio.
Nessun criterio.
Pesco a caso nel vanity, provo tutto, se non è urgente, rimetto il blush nella sua scatoletta e poi nel vanity.

È un po’ come prendere dalla cantinetta la bottiglia migliore per cena pure se non c’è niente da festeggiare.
Cosa che faccio piuttosto spesso, tanto, qualcosa da festeggiare si trova sempre.
Fosse pure la bottiglia stessa.

Sto lavorando alla mia scrivania.
Irina viene dalla cucina con un’espressione tragica e mi dice: «È morto».
Mi viene in mente che sia morto un pesce rosso, strano, perché stavano entrambi in gran forma e di solito i pesci rossi non muoiono di botto, insomma, per esempio, smettono di mangiare.
Stamattina erano sani come un pesce e hanno mangiato come squali.
Capisco dopo una serie di domande che è morto Michael Jackson.
Le dico che è morto da più di un anno e mi viene in mente che abbia sentito la notizia alla radio, dove continuano a fare repliche.
Non mi stupirebbe che replicassero pure la rassegna stampa, così, tanto per cambiare argomento.
Il nodo è che lei non capisce come possa uno morto continuare a vendere dischi.
C’è chi li vende al posto suo.
Il candore di Irina mi commuove, è come se lei, che pure è civetta e piuttosto lucida con il denaro, si portasse dietro costantemente la sua infanzia.
Io con la mia infanzia non voglio avere niente da spartire, appena sento quei discorsi riconnettetevi al bambino che è in voi, mi defilo senza andare oltre.
Non sto a raccontare che cosa ha fatto Irina quando ha scoperto la valigetta con i vestiti dell’orso.
Le ho raccontato che erano di produzione di un’anziana signorina, che cuciva benissimo, lavorava a maglia e viveva con il fratello separato, che seguiva le mie lezioni e che comunicava con me attraverso l’orso, confezionandogli degli abitini: per l’estate, l’inverno, la scuola, la spiaggia, il Carnevale, le sere di festa.
Ma allora perché è sempre vestito uguale.
Perché quei tempi sono finiti e non ritornano.
Ho messo la valigetta in guardaroba e non l’ho più aperta.
Giusto, se fa freddo, gli metto il completo di maglia, con sciarpa a cappello.
Irina mi ha chiesto se poteva cambiare l’orso.

Certo che sì, a lui piacciono le belle ragazze.

L’ho lasciata alle prese con un bel mucchio di calzoncini, giacchette, gilet, cravattini a farfalla e sono tornata alla mia scrivania.
Ho trovato l’orso vestito in modo fantasioso, i pantaloni diversi dalla camicina, stava comunque bene ed era elegante.

Il tesoro di Irina: la valigetta con il guardaroba dell’orso

Ho detto a Irina che di solito lo lavo in lavatrice, ma che uno di questi giorni lo laviamo insieme nella vasca da bagno, con il detersivo per i delicati e l’asciugamano pronto ad accoglierlo.

In casa hanno acceso il riscaldamento e siamo sicuri che l’orso, così, non prende freddo e si asciuga presto.