Lili Barbery, Pimp my Breakfast

Rieuse, m’apporta des tartines de beurre, / Du jambon tiède, dans un plat colorié / Du jambon rose et blanc parfumé d’une gousse  / d’ail, – et m’emplit la chope immense, avec sa mousse / Que dorait un rayon de soleil arriéré

Sorridente, mi portò delle tartine di burro, / Del prosciutto tiepido, in un piatto colorato / Del prosciutto rosa e bianco profumato di uno spicchio / d’aglio, – e mi riempì il boccale immenso, con la sua schiuma / Che  un raggio di sole tardivo indorava

Arthur Rimbaud, Au cabaret-vert, cinq heures du soir (Alla locanda verde, alle cinque della sera)

Il quiz.
Indovinate che cosa sono queste tre diete.

  1. Colazione: pudding di semi di chia (1 porzione)
    Pranzo: insalata di polpo + carciofi + 1 frutto
    Cena: pesce al forno + bieta all’agro, olio evo + 1 frutto
    Spuntini: noci, pistacchi e mandorle, parmigiano, rotolini di pancetta con formaggio
  2. Colazione: muesli + yogurt magro + frutta fresca
    Pranzo: zuppa di lenticchie con quinoa + 2 fette di pane + una
    porzione di verdura + 1 frutto
    Cena: calamari in umido + insalata
    Spuntini: 150 gr di yogurt greco senza grassi + frutta
  3. Colazione: tè con cinque fette biscottate + 1 frutto
    Pranzo: gr 70 di pasta con sugo di pomodoro e basilico + gr 100 di formaggio (parmigiano o emmenthal) + 1 frutto
    Cena: carne (manzo, pollo, maiale) ai ferri; oppure pesce; oppure uova, anche in omelette bella baveuse, in numero di tre, disfatte e non sbattute; verdura stufata; 1 frutto
    Oppure, a capriccio: pizza, patatine fritte, salumi
    Pane a piacere
    Sono consentiti olio e burro
    Mai cibi 0% grassi
    Niente dolci
    Niente spuntini
    Mai superalcolici (con l’eccezione di un cocktail quando la situazione è sufficientemente letteraria o cinematografica per consigliarlo)
    Vino solo dopo le 18:00

Bravi.
La dieta n° 1 è la chetogenica, basata sul principio che per sottrarre grasso all’organismo, quindi per dimagrire, devi indurlo a consumare i grassi che già hai in corpo. Quindi, niente carboiadrati, ovvero niente pane e niente pasta; pochissima frutta.
La dieta n° 2 è la Weight Watchers, che comporta l’attribuzione di punti a ogni alimento che ingerisci, riunioni settimanali peggio degli Alcolisti Anonimi, calcoli continui.
Anche se non ti affama.
In effetti, nessuna dieta dovrebbe affamarti.
«Il nome DIETA deriva da una parola greca che significava ‘modo di vivere’ e nella medicina antica indicava quello che oggi si chiama stile di vita, vale a dire l’insieme di alimentazione, attività fisica, riposo, adatto a mantenere lo stato di salute».

Ah. La dieta numero 3 è quella che seguo io.
Che non faccio nessuna dieta, ma non mangio mai fuori pasto perché altrimenti mi passa l’appetito, non mangio dolci perché i dolci non mi interessano.
Alcolici: chissà com’è che non compaiono nelle diete 1, 2, forse perché apportano calorie, forse perché sono proibiti, come in ospedale e se tu domandi il perché a quello che ti serve la cena non ti sa rispondere.
Secondo me perché siamo al mondo per soffrire e la vita è una valle di lacrime.
Resta che io mi scelgo sempre e solo medici non astemi, uno è pure sommelier, e tutti tendenzialmente edonisti e disposti a farsi, e a farmi, tutte le concessioni possibili.

Tre quadretti (quasi) edificanti.

  1. Supermercato, il mio amichetto, quello che gioca a calcetto il martedì sera e si fa sempre male, in cassa. Mi guarda, mi indica il suo stomaco e mi dice, mortificato: «Mi sta venendo la pancia».
    Io: «Dovresti stare più attento, se a trent’anni hai la pancia, a quaranta che fai».
    Lui salta su come il clown con la molla nella scatola e mi fa: «Ventotto».
    Mi profondo in scuse, in effetti è il massimo della sventatezza, dare del trentenne a un ventottenne.
    «Mangia di meno».
    «Mi piace».
    «Fai più sport» e attacco l’elogio dello Chef, che mangia divorando i cibi, infilando le dita nell’olio bollente per recuperare un pezzo di frittura, ficcandosi in bocca pancetta arrotolata, formaggio filante, pastasciutta presa dal piatto di portata ed è in ottima forma fisica, superati da un pezzo i trent’anni, grazie allo sport che pratica regolarmente.
    Lo Chef è un personaggio mediatico, quindi lo conoscono tutti.
    «Ma quello è un fissato».
    «E prova a fissarti anche tu. Vedi se casomai arrivi a trent’anni in forma come lui a cinquanta».
  2. La blogger, blogeuse di cui sto leggendo il libro e che è alla radice anche di quest’altro mio post, ha avuto un gatto che lei ha più volte proposto al suo pubblico, anche con una sua sezioncina Pinterest dal titolo My Fat Cat.
    Ora, secondo me un gatto grasso è la negazione di se stesso.
    Il gatto è un felino e si dice «con uno scatto felino». Come possa avere uno scatto felino un pachiderma, sto qui che me lo chiedo.
    In natura non ci sono animali grassi, quindi il gatto grasso alligna nella cultura cittadina, in case in cui, mi viene in mente, il gatto non ci dovrebbe stare.

    Il Gatto Obeso

    Perché viene castrato, né puoi fare diversamente, perché da quel momento passa il tempo a guardare il frigorifero e questo lo dice pure il veterinario, perché poi si ammala di tutte le malattie del vivere troppo civile.
    Quel gatto lì a un certo punto è morto.
    Secondo me è scoppiato (v. oltre, la rana).

  3. Interno, sera, ristorante elegante. Cubetti di ghiaccio galleggiano nel secchiello che fredda una bottiglia di vino francese ben scelto. Sono in viaggio di studio con la mia Associazione e partecipa la mia amica medico, ceniamo insieme. Lei è una donna asciutta, stressata, con delle allergie e molto intelligente.
    Una grande appassionata di arte.
    Le ho fatto la fotografia.
    Le chiedo, perché io non ci arrivo, come possa una persona rimpinzarsi così tanto di cibo.
    Una valigia, se la riempi troppo, a un certo punto o non si chiude, o si rompe; un bicchiere trabocca; un piatto tracima.
    Lo stomaco, no.
    Ma come è possibile.
    Lei mi spiega che esso è elastico e che si adegua, per cui, più mangi, più esso si allarga.

    Fedro, La rana e il bue

    Parimenti, funziona anche nel senso opposto. Se diminuisci il cibo, lo stomaco mano a mano si abitua e ritorna a posto.
    Insomma, non scoppia come la rana della favola di Fedro che vuole assomigliare al bue.
    (O come il gatto della blogger, blogeuse).
    Anche se nel film Seven io mi ricordo benissimo che c’è un primo episodio, con un primo peccato capitale, la Gola, con un uomo obeso che l’assassino costringe a mangiare fino alla morte.

    David Fincher, Seven, Gluttony, 1995

    Allora non sempre è vero che lo stomaco si allarga.
    Casomai, ha bisogno di un po’ di tempo per adeguarsi.

    Ecco, il tempo.

    Il libro della blogger, blogeuse, mi prende sempre di più.
    Lei a tratti arriva anche alla letteratura e, secondo me, se non ha mirato a essa è stato solo perché aveva tantissime cose da dire, ha scritto nell’urgenza, del resto lo dice più volte.
    Lei attacca a raccontare dal 2015 e pubblica nel 2019.
    Nell’arco di questi anni c’è il cambiamento, la trasformazione.
    Lili Barbery, giornalista esperta di cosmesi, con molti talenti a disposizione, primo fra tutto la freschezza della scrittura, a un certo momento si scoccia e vuole cambiare lavoro.
    La prima cosa che mi viene in mente è che c’è riuscita, certamente, perché è brava, ma anche perché non sta in Italia, dove non mi risulta che sia semplice cambiare carriera o che un giornale o una rivista ti vengano a cercare per la tua scrittura.
    Il giornale e la rivista vanno a cercare, diciamo così, un altro tipo di persona attiva sui social, un altro genere di influencer (per esempio, il mio parrucchiere, che si occupa, come è giusto che sia, di capelli).
    Il punto di svolta di Lili si colloca quando pubblica sul suo blog un articolo nel quale confessa i suoi profondi disturbi alimentari.
    Dopo gli attentati del 2015 la sua situazione è peggiorata, perché ogni giorno sarebbe potuto essere l’ultimo. A quel punto, tanto vale abbuffarsi.
    Questo meccanismo è in atto soprattutto presso le donne, che in tante alternano periodi di controllo a periodi di lachâge, ossia di caduta libera, nel corso dei quali il peso varia dai cinque ai dieci chili.
    Un esercito di genere femminile in lotta perenne con il proprio corpo.
    «E poi, finalmente, un giorno, si supera una soglia. La cifra sulla bilancia è insopportabile. Il bottone dei jeans è così stretto che anche una volta spogliate, le cuciture dei pantaloni restano stampate nella carne. E c’è quella famosa foto di voi che un amico vi invia come souvenir di una festa memorabile…il décalage fra l’immagine che sognate di voi stesse e la realtà è così brusco che decidete di tentare un nuovo metodo di dimagramento. Galvanizzate per l’energia e i risultati ottenuti, la vostra volontà aumenta ogni giorno… Et puis, bim bam boum, le cycle recommence».
    Il ciclo ricomincia.
    Le lettrici di Lili, tutte le donne che la seguono, cominciano a fermarla per la strada timidamente; le scrivono in centinaia messaggi privati; lettere bagnate di lacrime; le mandano loro fotografie; lei è sommersa da un «flot de souffrance», che si capisce essere un flusso di sofferenza, ininterrotto.
    La ringraziano di aver svelato il suo dolore.
    La cosa, diciamocelo, più stramba, è che le sue interlocutrici sono donne di tutte le taglie, «sottili, grasse, magre, rotonde, anoressiche, bulimiche».
    Lo dico sempre, io, che le donne sono matte.
    Se si detestano pure donne «con corpi da mannequin», se anch’esse odiano «ogni millimetro quadrato della loro carne», stiamo messi maluccio.
    Messe maluccio.

    Non ci vuole molto a capire che il problema sta altrove e che il cibo è solo un sintomo.
    Quello che faccio fatica a comprendere è come possa esso essere paragonato a una droga, o a qualcosa che ti dà dipendenza.
    Per esempio, fino a che io ho bevuto Coca-Cola, mi capitava di svegliarmi la notte con la voglia di Coca-Cola.
    Dunque, c’era qualcosa in essa, probabilmente la caffeina, che metteva in azione questo circolo vizioso.
    Lo stesso accade con le sigarette (sono un’ex fumatrice e quando ho smesso di fumare ho dovuto cambiare amicizie e abitudini).
    Accade con le benzodiazepine.
    E con le droghe più dure: ai primi due buchi di eroina, reagisci poco, al terzo, per te è finita perché è cominciata la dipendenza.
    Accade anche con lo zucchero, questo è provato e lo dicono sia le persone serie che la saggezza popolare. Ho già raccontato che la signora Anna della lavanderia qui vicino usa la locuzione «hanno assaggiato lo zucchero» per indicare i bambini viziati e anche gli italiani che, resi comodi dalle loro migliorate condizioni economiche,  il sabato non hanno più voglia di lavorare.
    Tutte queste dipendenze, zucchero, fumo, sostanze tossiche, le definirei chimiche. Insomma, c’è quasi la possibilità di tirare fuori la formula.
    E, poi, di neutralizzarla.
    Ma come la mettiamo con i tatuaggi?

    Fanny

    Certo conoscete Fanny Maurer, Make up Artist, che ha il corpo completamente tatuato, con l’esclusione del viso, e meno male, visto che è così bella.
    E sono anche tatuaggi molto ben fatti, questo è uno dei rari casi in cui essi diventano arte.
    Ma che cosa impedisce a una donna così di fermarsi, che cosa ha in circolo nel sangue che le provoca questa ossessione.

La mia impressione è che queste dipendenze molto somiglino a quella amorosa, per cui pensavi di esserti liberata di un assedio, mettiamo, lui, sposato, impegnato con un’altra donna, che a un certo punto ti toglie l’aria e ti impedisce di fare altre esperienze, visto che nessuna ha il sapore che ha quella con lui.
Poi, come va, come non va, c’è stata una pausa, una tregua e tu hai sentito, come scrive Buzzati, che «durante la notte il nemico aveva misteriosamente levato il campo».
(Il nemico, eh).
Poi, è sufficiente un messaggio e la guerra ricomincia.
Però qui c’è qualcosa che non mi torna.

Antonio Canova, Amore alato, 1797

Perché stiamo parlando di Eros, che è la più grande e travolgente forza che esiste in natura.

La più grande e se ho usato un superlativo assoluto, è perché Eros è tale.
È possibile che quel ciccione di Pantagruel sia pari a lui?

Non ci crederò mai, non so nemmeno che cosa penserebbe la blogger, blogeuse, in proposito.

Pantagruel

Marlene Dietrich è, si direbbe, una buona forchetta.
I livelli di scelta, fra l’altro, sono altissimi, parecchio grazie a un marito che lei tradisce con devozione, restandogli fedele in un senso tutto suo.
La figlia Maria, nella gran bella biografia della diva che cito spesso perché spesso ci torno sopra, racconta che anche alla Dietrich capita quello che capita alle altre donne: «Mia madre stava ingrassando!»

Marlene

Ma nei giorni successivi l’attrice non deve girare, quindi, niente digiuni e sale inglese, cui ricorreva in caso di.
Scopre la guaina: «Era l’ultima novità, confezionata con tessuto elastico color carne, e aveva l’odore di un (sic) pneumatico per bicicletta. Ne comprammo a dozzine».
Ma la Dietrich aveva anche un altro sistema per non ingrassare: «il dito in gola per provocare il vomito!».
Loro si abbandonano a degli autentici baccanali, quindi sembrava logico ricorrere al sistema già adottato dagli antichi romani per poter continuare a banchettare.
All’epoca non si parlava ancora di bulimia.
E Maria, ragazzina, capiva però che la madre poteva mettere in pratica questo sistema impunemente perché «nulla poteva toccarla: non era reale».

E qui sta il punto. Marlene nemmeno suda, visto che un giorno ha deciso di smettere di sudare.

Al contrario di tutte queste altre donne, fin troppo reali, che si sfiniscono, si odiano, si martirizzano, le provano tutte, la psicoanalisi, il kundalini, l’astrologia, che vuotano e riempiono il piatto come ossesse, che si iniettano nel corpo cibo che sentono come veleno, che stanno lì e indagano gli strani legami fra luna e ciclo mestruale.
Che sudano.

E che certe volte scrivono benissimo.