J’ai tant rêvé de toi que tu perds ta réalité…
(Ho sognato talmente di te che tu perdi la tua realtà)
Robert Desnos, Corps et Biens, 1922-1930
(Il caso del ginnasta intellettuale). Non so se sia più brutta Villa Lazzaroni o Villa Lais.
Nell’altra casa avevo vicino Villa Torlonia, tutta un’altra musica.
Anche se a me francamente di andare a passeggiare in villa.
Mi capita di attraversare le prime due perché ci passo in mezzo quando ho una destinazione.
Passo da Villa Lais in bicicletta, quando vado al Mandrione.
Passo da Villa Lazzaroni quando vado dal mio parrucchiere, che sta esattamente dall’altra parte. Prima aveva il negozio nella mia medesima strada, adesso è un po’ più lontano.
Inutile dire che lo raggiungerei in capo al mondo.
Nella villa c’è una pista di pattinaggio, dove capita di vedere una lezione di ginnastica all’aperto in cui l’istruttore insegna agli istruendi a toccare con la punta delle dita della mano la punta del piede.
Che, se non ci riesci, conviene che cambi istruttore.
Stamattina c’era una signora anziana con il carrello della spesa che stava fuori dalla pista e che poi se ne è andata, passandomi accanto.
E borbottando: «Redivivo ci sarai tu».
A me è venuto da ridere, perché evidentemente lui l’aveva apostrofata in questo modo e lei si era offesa, anche se secondo me redivivo è meglio di zombi, che poi ha il medesimo senso.
Allora ho detto alla signora: «Casomai non sa che significa», ma lei ha continuato a borbottare e ha detto che come non sapeva che significava: «Lui è uno molto colto».
Per la prima volta in vita mia avevo intravisto un istruttore di palestra che era pure un intellettuale.
(Il caso della Voce in Riabilitazione). Nella sala d’aspetto della logopedia, dove peraltro non incontro praticamente mai nessuno perché vado negli orari buoni per la terapia della pizza a taglio, che è quella che funziona, la prima cosa che ho imparato è che è meglio, quando c’è qualcuno, se non lo interpelli.
Perché tutti sono afoni, sfonati, impediti e perché se non lo fossero, non starebbero lì.
Dunque e comunque, ti rispondono a fatica pure se solo li saluti.
Stanno tutti male e secondo me male rimarranno.
Sono giovani, vecchi, ieri, uscendo, ho visto anche un bambino.
Il bambino cresce, quelli che mi stringono il cuore sono i ragazzi, io almeno nella vita con la voce ho fatto qualcosa, loro, se tanto mi dà tanto, con la voce ci faranno poco o niente.
I vecchi hanno fatto.
Ormai mi dopo con il Fluimucil. Lo assumo in grani sciolti in un po’ d’acqua (contiene un colorante che si chiama Giallo Tramonto, mi basta per ricordarmi di prenderlo due volte al giorno); lo inalo come Paganini faceva con le sue sostanze; il mio medico di riferimento se lo inietta in vena per accelerare le funzioni del cervello.
Il principio attivo è l’Acetilcisteina, un potente antiossidante.
Ormai penso che se pure non scendo dalla croce della voce, almeno ringiovanisco.
O divento più intelligente.
(Il caso Camillo). Continuo a leggere Langone e i casi che introducono i paragrafi di questo articolo sono un omaggio al suo capitolo Romagna, dove lui utilizza questa scansione.
Certo è che lui è uno che scrive benissimo.
E che è uno vanitosissimo, che continuamente elenca le donne con cui si accompagna.
Stavo pensando che se una donna che scrive benissimo, e ce ne sono, facesse quello che fa lui, ossia lardellasse le sue narrazioni con tutti i fatti accaduti e con tutti i desideri di quelli che vorrebbe accadessero, si farebbe una fama incerta e farebbe pure un po’ di fatica a uscire di casa la mattina senza essere guardata in tralice.
Lungi da me l’idea di perorare identica libertà di movimento sessuale per maschi e femmine, sai che me ne importa, la libertà mica devi chiederla, te la prendi, però qui il nodo sta nel resoconto, che mi pare sia appesantito da questa abitudine.
Non so, mi continua a venire in mente Mario Monicelli che dice a Nanni Moretti spostati e fammi vedere il film.
Come cantava quello: che fatica essere uomini.
E doverlo continuamente dimostrare.
(Il caso dell’Antologia trovata). Sono cliente di almeno una decina di supermercati, la mia infedeltà è dovuta al fatto che nessuno di essi ha tutto quello che mi serve.
Quello che ha il pane che è di mio gusto non è esattamente sotto casa mia, il che implica una digressione o una passeggiata, cioè uno spostamento che chiamo così o colà a seconda di come sto di umore.
Per andare a questo supermercato del pane croccante, in cui la ragazza del banco si chiama Orsola e non conosce Carpaccio, però mi ha presentato il fornaio, al quale ho fatto i miei complimenti, passo di solito davanti a un negozio che non ho capito che cosa venda, forse dispositivi ecologici, e che ha fuori un carrello per i libri che uno non vuole più in casa, offerti gratuitamente.
Smettete subito di immaginare qualcosa di suggestivo, lo squallore, anche intellettuale, è inenarrabile, l’interesse maggiore è verificare, se mai ce ne fosse bisogno, qual è la situazione culturale dell’Italia, che si libera di ciò di cui non ha più bisogno, ma che se l’era prima messo nella libreria.
Però ultimamente e inaspettatamente ho trovato in due uscite per il pane, che mi piace con molta crosta e poca mollica, quindi, croccante, due tomi di una Antologia della Letteratura italiana edita da Paravia, casa editrice di fama insigne.
Se state pensando a una cosa che vi gira in testa, vi dico io che pensate a un famoso vocabolario di latino (pure se io ne ho un altro).
Credo di essere abbastanza aggiornata, per forza di cose, sui manuali di storia dell’arte, che sono molto migliorati, visto che quelli che ho usato io all’università erano praticamente incomprensibili.
Anche oggi, figuriamoci allora.
Però uso ancora letteratura e antologia italiane del liceo, con l’immissione di alcuni regali che mi sono stati fatti da conoscenti che hanno fatto carriera nelle Lettere moderne e l’Eden dei miei quaderni di appunti.
Il mio professore di Italiano e Latino, del quale, forsennatamente, annotavo ogni parola, è stato uno dei miei migliori docenti e quello che dice lui di alcuni autori rimane per me insuperato.
I due tomi dell’Antologia della Letteratura italiana che ho preso dal carrello datano al 1961, ossia furono usati avant le déluge.
Usati, poi, è da vedere.
Gli unici interventi che ho trovato consistono in sintetiche crocette x messe a penna su pochi testi, per esempio All’amica risanata di Foscolo.
Insomma, i volumi, sebbene non intonsi, sembra che non siano mai stati sfogliati.
E come sono.
E come volete che siano: una meraviglia, pagine e pagine di introduzione, di note, di riassunti, non quella robaccia di Obiettivi, Analisi interattive, Mappe concettuali, Verifiche, Contenuti, Competenze che popolano i manuali di oggi, e sto parlando di quelli che conosco.
Oh, come sono vieux jeu.
Lo ammetto.
Voi pensate che una volta dissi pure a un’amica che aveva un figlio che davanti a me disse che il liceo classico era una scuola da operetta che doveva smettere di far soffrire il rampollo, iscrivendolo di corsa all’alberghiero, che quella sì, che è una scuola nell’aria del tempo.
Ogni tanto sfoglio una vecchia letteratura tedesca che ho nella mia libreria, quella importante sulla quale lavoro, che è capace di mettere insieme quaranta pagine senza nemmeno un paragrafo.
Ovvero, i paragrafi te li dovevi fare da solo, così come ti facevi le scalette e ti attaccavi i foglietti con le date col nastro adesivo dappertutto.
All’Accademia di Napoli per anni ho fatto foderare i libri agli studenti con lo scopo non di ripararli dalla polvere, ma di toccarli.
Se foderi un libro, i ragazzi di Fashion Design erano invitati a utilizzare la carta per modelli, tanto per rimanere in argomento, se foderi un libro, dicevo, te lo devi rigirare fra le mani.
E forse capisci dove sta l’indice.
Del corsivo, e di tutto il resto, libri, metodo, neretto e pure e ancora di Langone, parliamo un’altra volta.