Queste città, io ce le avevo dentro.
Non so che cosa ci facessero, dentro di me, forse stavano lì in attesa che io le tirassi fuori, forse, alimentate così come continuavo ad alimentarle, mi davano continuamente qualcosa di cui non avevo del tutto nozione.
Forse marcivano.
Forse non vedevano l’ora che io facessi qualcosa di loro.
Se volete diventarmi antipatici, portatemi in montagna, fatemi fare una bella arrampicata e poi ditemi «guarda che bello. Adesso ci sediamo e contempliamo questo spettacolo».
Dopo tre minuti mi scoccio.
Potete anche portarmi a guardare le stelle sull’altopiano.
È umido.
Oppure propormi una bella cavalcata in macchina fino al mare per scendere in spiaggia al tramonto.
Mi si rovinano le scarpe, soprattutto in estate, quando le indosso leggere e delicate.
Se poi volete, come si dice, farmi contenta, mettetemi davanti a un panorama urbano e lì vi faccio vedere io come sono anche io capace di contemplazione.
Se devo scusarmene, me ne scuso. La mia relazione con la natura è quasi inesistente, sono una persona fortemente urbana, anzi, metropolitana: ho pianto davanti al Seagram Building di Mies van der Rohe, ho pianto proprio a dirotto, era proprio come l’avevo immaginato, come l’avevo studiato (come fai a capire l’architettura dalle fotografie), l’idea astratta e neoplatonica del grattacielo, la bellezza fatta forma, il concetto di eleganza diventato concreto e reale. Il Sublime ancorato sulla Park Avenue.
Ho danzato a place de la Madeleine di notte, la primavera era incipiente ma si moriva di freddo, ero stata male tutto l’inverno e avevo seriamente pensato che non avrei più rivisto la chiesa, quelle dimensioni eccelse e geometriche, quel cielo, il mio albergo.
Mi sono messa esattamente a metà del Millennium Bridge e, come l’uomo vitruviano di Leonardo, mi sono congiunta con il cielo mentre sotto di me il Tamigi sgroppava con una violenza che faceva paura.
Prima di entrare in sala operatoria, una volta sono andata a passeggio qui a Roma ai Fori Imperiali, conoscendo perfettamente i limiti scientifici degli scavi e la letteratura che li mortifica, ma non sapevo se li avrei mai più ritrovati.
E mi sono sembrati di una bellezza straziante.
Ma forse non è grave, essere più in connessione con la città che con il resto, sono nata cittadina, sono piena di limiti.
E da sempre desideravo lavorare a una guida turistica. Come uno dei protagonisti del film di Almodóvar Parla con lei; come quelli, bravissimi, che hanno dato vita alle guide storiche, la nostra rossa del Touring Club, la blu francese di Hachette, la Baedeker tedesca.
Come gli ispettori della Michelin, che vanno in incognito a mangiare nei ristoranti, e i segreti del mestiere sono stati rivelati di recente da un manga bellissimo che ho letto cento volte, Le goût d’Emma, di Emmanuelle Maisonneuve, l’ispettrice e Kan Takahama, la mangaka.
Come tutti quelli che si mettono davanti a qualcosa, un piatto, una città, un itinerario, e lo raccontano in modo da trasformarlo in esperienza.
Quando è arrivato l’invito a entrare nella squadra dell’app di audioguide dei centri storici e dei siti archeologici più importanti d’Italia (il mio ruolo sarebbe stato il mio lavoro: produrre contenuti, Word e audio), mi sono detta ecco, ci siamo, finalmente, è una vita che l’aspetto.
Non è importante raccontare le difficoltà iniziali, capirsi, mettere a fuoco il progetto, trovare il linguaggio, spogliarsi di tutto e ricominciare per arrivare alla freschezza, i momenti nerissimi del qui finisce che non se ne fa niente. A distanza di mesi tutto questo mi sembra fisiologico, stavamo dando vita a qualcosa che non esisteva, stavamo inventando una forma e uno stile, a saperlo, che saremmo usciti dalle pastoie della lingua, troppo letteraria, troppo complicata, semplificare, semplificare, soggetto, verbo, complemento; della durata, la sintesi, la sintesi, la sintesi; del tono di voce, via l’accademia, via la professoralità, via l’amido e il sussiego, insomma, a saperlo, che avremmo trovato la via dell’immediatezza e della semplicità (che, lo ricordo, sta sempre alla fine e mai all’inizio di un processo), sarebbe stato tutto più facile.
Ma non lo sapevamo.
Poi, è successo.
Fra l’altro, nei tempi giusti, quelli che sono serviti a pensarci, a maturare le cose, ad affrontarle conoscendole.
La fatica. Una fatica di cui non riuscivo a spiegarmi i motivi, io sono una gran lavoratrice, sono pure una svelta, sono capace di tagliare e di chiudere, da dove, da dove mi veniva quello sfinimento che mi prendeva a sera dopo che avevo lavorato tutto il giorno, uno sfinimento diverso da quello consueto, che, pure, c’è, però di rado mi toglie la voglia, a un certo punto, di fare altro, che so, vedere una persona, leggere qualche pagina, mettere un dischetto di un film.
Me lo sono chiesta e mi sono data alcune risposte: la concentrazione, certamente, non è un gioco facile, per produrre 200 parole su, mettiamo, il Colosseo, ti devi ristudiare tutto. La portata dell’impresa, enorme. Ma io lo so, perché sono baudelairiana fino all’osso: «L’unica opera lunga è quella che non osiamo iniziare. Diventa incubo».
Io sono una scaltra, esperta, abile a fare ricerca, studio da quando avevo sei anni, ho fatto due tesi, concorsi.
Da dove, da dove mi veniva lo sfinimento?
L’ho capito una sera, di botto, proprio come di solito capisco: il drenaggio.
Dalla mia mente, dalla mia memoria, dalle cose che sapevo, dalla mia esperienza, addirittura dal mio corpo, le mie città, le città che affrontavo una dopo l’altra e in ogni punto delle quali mi infilavo come fa lo speleologo nella grotta, quelle città che avevano composto la mia esistenza, in una ero nata e vissuta, in altre avevo lavorato, dappertutto c’entravano uomini di cui ero stata innamorata, dovunque c’erano libri, romanzi, poesie, testi di studio, e ristoranti e alberghi e momenti e visioni notturne e viaggi e desiderio e sentimenti diversi, tutti complessi, stratificati, spesso violenti come spesso sono i sentimenti, queste città mi uscivano fuori a fatica, scorrendo fuori di me come scorrono i liquidi, come dice la Treccani, fisiologici o patologici, che in chirurgia vengono portati fuori dal corpo con vari sistemi, garze, tubi, lamine.
(Non mi sembra un caso, fra l’altro, che io in questi mesi abbia scritto pochissimo sul mio diario, le Journal, come lo chiamiamo con i miei studenti, proprio come lo chiamano gli artisti. Perché anche il diario è un drenaggio, ti consente di liberarti dei liquidi, fisiologici o patologici, che hai dentro. Traduco: degli umori, che, per tradizione, sono liquidi anch’essi e che ti circolano nel corpo. Più di così non avrei potuto disseccarmi, praticamente in me c’è stata una canalizzazione, ed essa si è convogliata verso le guide).
Roma: la mia città d’elezione, a Roma nata e a San Pietro battezzata. Vita, studio, professione, affetti, se qualcuno mi definisce «romana de Roma», a me sta benissimo.
Napoli: dove ho passato un paio di decenni per lavoro e con la quale ho avuto una relazione che è stata uguale a quella che avrei potuto avere con una persona, anzi, probabilmente, qualcosa di ancora più appassionato, ardente, impetuoso, mi viene in mente che ho avuto con Partenope una relazione animale, e parlo del senso doppio, uno stato d’animo per niente razionale e il rapporto intimo, profondissimo, che non conosce confronti, che si ha con una bestia.
Firenze e Venezia: i totem dello storico dell’arte, i luoghi della Cultura e della Bellezza. Le città che devi conoscere a memoria, frequentare a più riprese, quelle di cui devi impregnarti se vuoi essere in grado di dire qualcosa in una situazione professionale (lezione, conferenza, saggio. Guida) che sia minimamente all’altezza della loro più che meritata fama.
Questo per farvi sapere che, producendo i contenuti a me assegnati dell’app di audioguide dei centri storici e dei siti archeologici più importanti d’Italia, io ci ho messo dentro cose importanti: tutto quello che so e che faccio.
Tutto quello che sono: anima, corpo, mente.
caterina
20 settembre 2018 — 23:00
Aspettavo con ansia di conoscere la tua nuova impresa!
Inutile dire che sarò appassionatamente con te anche in questo caso.
Attendo ulteriori dettagli sul dove e il come.
Con tutti i sentimenti ti abbraccio
Rosella Gallo
21 settembre 2018 — 8:40
Grazie, Caterina cara, siamo in grado di chiudere questa prima parte a ottobre. Poi ci sarà il lancio. Darò notizie, un affettuoso e riconoscente saluto