Le intenzioni. Ho lavorato a una versione spigliata, scapricciata e alleggerita, insomma: marzaiola, della Newsletter.
Solo biglietto e notizie.
(Io come zodiaco sono tutta marzaiola, segno e ascendente, quindi so di che parlo).
Ma, come dice la bella introduzione di un bel libro che sto leggendo, «Si è fatto tardi. Andiamo».
Dunque, seguitemi.
Ispirazione (page 3 of 10)
Il fatto è che hai perduto il gusto di vedere, di sentire, di accogliere, e ora ti mangi il cuore
Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, 2 febbraio 1944
È uno con delle idee, quello che ha inventato l’hamburger.
Non l’hamburger che si mangia, ma quello che abbiamo tutti sul nostro telefono o sul nostro computer, le tre lineette sovrapposte, proprio come gli strati del panino con la carne, che elencano il contenuto di un sito o di un’app.
Pure se i super specialisti di cui sono andata a vedere il parere dichiarano che è un autogol perché non si capisce che cosa significa e nasconde invece di rivelare.
Ma in informatica non si capisce quasi niente se non te lo spiegano, quindi, dissento.
E apprezzo l’hamburger.
È un’altra con delle idee, quella che si è messa a riprodurre il vintage.
Per me che trovo brutte le scarpe contemporanee, una manna e un divertimento, andare a curiosare fra le calzature da lei prodotte, che citano modelli che vanno dal 1900 al 1950.
Appena l’estate si accenna, mi compro i sandali.
Da questo paio di esempi, si è capito di che cosa ci occupiamo oggi.
Come diceva Rubens, che era un raffinato poliglotta, «chacun a sa grâce», che tradurrei qui con «ciascuno ha il suo talento».
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.
Vangelo secondo Giovanni, Prologo, 1, 1
In viale Eritrea, a un numero pari, c’è una piccola pizzeria a taglio.
Al banco, una ragazza con la testa completamente rasata, mi è sembrato più per motivi di salute che di stile.
Qualche giorno fa sono entrata lì, erano le tre del pomeriggio, avevo saltato il pranzo e avevo saltato anche un’altra pizzeria a taglio, che stava qualche numero pari prima.
Quando si dice, l’ispirazione.
Chiedo alla ragazza una porzione piccola di margherita.
Lei, sveltissima, mi domanda a raffica:
- La mangio lì o passeggiando (ha detto proprio passeggiando). Passeggiando.
- La voglio calda o a temperatura ambiente. Calda.
- La voglio aperta o piegata. Piegata.
Le ho fatto i complimenti per l’efficienza. Lei mi ha detto che aveva messo a punto quella tecnica per neutralizzare i bastian contrari.
Tutti i clienti sono tali, se lei fa per scaldare la pizza, le dicono che la mangiano così; se lei la piega, le dicono che la vogliono aperta; se lei pensa che la mangino per strada, quelli si piazzano lì e quando li sposti.
Ho pensato di chiedere alla ragazza se aveva anche un metodo per neutralizzare, nell’ordine: i guastafeste; i permalosi; coloro che ne fanno sempre una questione di principio; gli orgogliosi fino al punto di essere ottusi; i tenaci che alla lunga diventano muli.
Eccetera.
Un premio, le dovrebbero dare, con lei la vita scorre più facile.
Nerd
s.m. e f. inv.
Tipo umano, spec. giovane, poco portato per la mondanità, la socializzazione e lo sport, che trova soddisfazione e riscatto negli studi, soprattutto nell’informatica
Mi sono comprata uno smartphone nuovo.
È qui, vicino a me, nero come la notte, elegante, assoluto.
Buio.
L’ho scelto facendomi suggerire il modello dal tecnico della Vodafone di via Appia, un tizio che trovo terribile, rozzo e maleducato, però mi sono detta di telefoni se ne intende.
Sono entrata con una scusa, lui mi ha abbaiato subito che era meglio se cambiavo telefono, io gli ho chiesto quale modello fosse l’evoluzione del mio.
Lui ha sputato l’osso.
Ho guardato su Amazon.
Mi stava tutto bene, il prezzo e la consegna.
Sono passata dal mio tecnico del telefono di via Enea, uno degli angeli custodi della mia vita, gli ho chiesto se potevo contare su di lui per il trasferimento dei dati.
Certamente. Ma potevo anche comprare da lui il telefono, bastava ordinarlo.
Ed è stato così che, in anticipo sui tempi lunghi previsti, un giorno mi è arrivato un messaggio che diceva il telefono è qui, venga quando vuole.
Sono passata a guardarlo e a toccarlo, e mi è sembrato bellissimo, super chic, super sleek, sicuramente super performante.
Ma era tardi e abbiamo deciso di rimandare tutto, fra una cosa e l’altra, a un paio di giorni dopo.
E dire che la temperanza non so nemmeno dove sta di casa.
Quel paio di giorni dopo, ho portato il mio vecchio smartphone all’angelo custode, l’ho salutato, sto parlando del telefono, e, se avessi potuto, avrei anche organizzato una cerimonia d’addio.
Due ore dopo passavo a prendere i miei due telefoni.
Quello vecchio, ancora acceso e parzialmente funzionante.
Se vi state chiedendo se mi è scesa una lacrima, la risposta è: sì.
Questa è una Newsletter.
Questo è un atto di fede.
(Oggi attacco come Marie Robert).
La Stagione 2021-2022 inizierà giovedì 23 settembre, a ridosso dell’equinozio di autunno, alle 18:30 con il Sorbetto op. 65, dedicato, insieme all’op. 66, al tema della maschera, antico eppure così attuale.
I gusti del nostro Sorbetto sono come sempre variati e caleidoscopici, quindi percorreremo l’argomento dalle origini ai nostri giorni, quando assistiamo a un inatteso ritorno di quello che è sempre stato considerato un volto ulteriore, finto, indossato per motivi rituali, magici, legati allo spettacolo, per divertirsi o per conservare l’anonimato.
Vi propongo qui il famoso mosaico con le Maschere sceniche dei Musei Capitolini di Roma, datato al sec. II d. C., capace da solo di evocare tutto il mondo antico.
Le mascherine che portiamo oggi fino a poco tempo fa erano riservate ai sanitari. Eccoci dunque ammessi in ambiti professionali estranei a molti di noi, capaci però anch’essi di suggerire altre dimensioni narrative.
Parleremo poi di treni, l’essenza del viaggio nell’immaginario collettivo.
E poi di domestiche, con intrighi casalinghi di cui si sono occupati anche i grandissimi.
Voi pensate solo alle Nozze di Figaro e alla relazione così complessa fra la Contessa e Susanna, padrona e serva, che trova uno dei suoi momenti più alti nel duettino Sull’aria, sì, proprio quello delle Ali della libertà, quando il protagonista si chiude nell’ufficio del direttore ed è disposto a tutto pur di assaporare la voluttà del canto di quelle due donne, che lo trasportano per pochi minuti in un’altra dimensione.
Lasciatevi trasportare anche voi.
Le due interpreti sono quelle che ascoltiamo nel film, Elisabeth Schwarzkopt e Anna Moffo, lo dicono i titoli di coda.
Magia di Mozart.
Incanto delle voci.
E arriveremo così, trionfalmente, al MaxiSorbetto dell’autunno 2021, interamente dedicato a Edgar Degas, uno dei giganti del secolo XIX.
Aristocratico, dotatissimo di talenti diversi, nipote di René-Hilaire, un parigino fattosi napoletano che lo ospitò nella città partenopea in un palazzo che ancora oggi la dice lunga sull’importanza della famiglia, Edgar Degas sarà una scoperta totale per coloro che di lui conoscono solo le ballerine e un approfondimento destinato a lasciare il segno per coloro che lo hanno incontrato precedentemente.
Come sempre e come sapete, finirà che i Sorbetti saranno degustati anche con qualche proposta a sorpresa durante i periodi di festa.
Siamo stati fin troppo tempo senza questa storia dell’arte, fresca e diversa da tutte le altre.
Il corso del lunedì In volo sul XX secolo, che sarà inaugurato il 4 ottobre, proseguirà anche nella prossima Stagione con la formula che abbiamo messo a punto nell’anno appena trascorso. L’ispirazione è quella della serie televisiva, con Episodi vivaci, dotati di scatto e di dinamismo, capaci di incollarci al nostro schermo perché vogliamo sapere che cosa sta succedendo e come andrà a finire.
Ancora avanguardie storiche e poi la novità degli Episodi che si chiamano Su misura, nei quali andremo a occuparci degli artisti e dei movimenti che faticano a rientrare nei titoli che trovate elencati e che necessitano quindi di una particolare attenzione.
Proprio come un abito su misura, che è tagliato addosso a chi lo porta e che ha una qualità diversa dalla produzione di fabbrica.
Anche qui, e come sempre, una presenza accurata, pensata, studiata nella forma e nella sostanza, una guida appassionata alla storia dell’arte per chi la ama e la vuole frequentare.
Avremo modo di parlare di come si segue una lezione on line, perché pure qui non può mancare il rituale, non possono mancare le regole.
E, tanto per cominciare, i nostri dispositivi (computer, tablet, telefono, tutto è buono per collegarsi) devono essere controllati per vedere se funzionano a dovere, proprio come si fa con una macchina prima di intraprendere un viaggio.
Detto questo, avremo modo di parlare di concentrazione, puntualità, presenza.
Come sapete, tutte le lezioni sono registrate durante la diretta, quindi riascoltabili e riacciuffabili, però è molto bello incontrarci e sentire come sono gli umori, tale e quale a quello che si fa in aula, anzi, con meno distrazioni.
L’atto di fede.
È tutto lì. Metto a punto e pubblico tutti i programmi 2021-2022 con più di venti giorni di anticipo rispetto all’inizio, apro le iscrizioni, tutto è chiaramente spiegato sul sito e ho già avuto un primo scambio con il nostro grafico Lorenzo Rocco, sempre pieno di idee e sempre disponibile.
Qualunque variazione di data e di argomenti sarà comunicata tempestivamente, sperando che non ce ne sia bisogno.
E ora il titolo di questa Newsletter. Che si capisce al volo guardando il numero: 52.
Ovvero cinquantadue settimane, ovvero un intero anno.
Perché, se ho dovuto per cause di forza maggiore (si dice così) sospendere i Sorbetti, la Newsletter ha continuato il suo percorso, sempre un po’ in bilico fra il professionale e l’umorale.
Perché così io concepisco la professione e la storia dell’arte, perché non è (del tutto) vero quello che dicevano i professori all’università, per esempio che l’arte non è una ninfea di poesia in uno stagno di prosa (Argan).
A parte che anche la prosa ha il suo fascino, voi pensate a un romanzo, non vedo che cosa ci sia di male nel voler aggiungere poesia alla vita attraverso l’arte.
Ho impiegato anni a liberarmi di queste ingiunzioni, ad autorizzarmi a dire che bello, laddove la parola bello era praticamente proibita, e ciò a partire dalla scuola elementare, dove veniva considerata troppo generica per avere diritto di asilo.
E invece no.
Dunque, in occasione di un anno intero di Newsletter, celebro l’arte in tutte le sue forme, anche nel bello, che è interessante andarsi a cercare pure dove sembra non esserci; celebro la comunicazione, al centro della nostra epoca, che è moderna; celebro l’insegnamento, che per me consiste nel tramandare quello che ho studiato e che studio e che, se fa bene a me, immagino che possa fare bene anche agli altri; celebro il mese di settembre, che porta con sé, oltre al sapore della scuola, che a me piace così tanto, molte aspettative e svariati progetti; celebro tutti gli incontri possibili, soprattutto l’incontro con voi, che sboccia e fiorisce e si fa sempre più ricco.
State bene e datemi notizie.
E condividete con me la fede, ovvero la fiducia, nella prossima stagione.
È importante per tutti, perché solo in uno stato d’animo di affidamento e di speranza si possono mettere in cantiere, e realizzare, le tante cose belle che abbiamo in mente.
* L’illustrazione di apertura è di Lorenzo Rocco
** L’assistenza tecnica è di Virgilio Piccardi
*** Vi invito, come sempre, a dare un’occhiata al mio blog, che, conclusa la serie estiva Replica, si apre ad altre narrazioni e ad altre storie
Una volta un mio amico si ruppe entrambi i mignoli.
Uno, lo capisco.
Ma due.
Come avesse fatto, non me lo ricordo, oppure non l’ho mai saputo, pensai però che quella forma di perseveranza era diabolica.
Mi disse che si era accorto che i mignoli servivano ad allacciarsi le scarpe. Lo aveva capito perché non ci riusciva più.
Io amo molto le scarpe con i lacci, dunque feci subito la prova e vidi che c’è un passaggio in cui, per completare un’operazione quasi semplice (quasi perché un bambino impiega parecchio a impararla), c’è in effetti un momento in cui le dita ti servono tutte.
(Penso ai mignoli tutte le volte che mi allaccio le scarpe, praticamente tutti i giorni).
Stiamo parlando dell’uso delle mani, nel nostro corpo, una delle parti più specializzate. Voi, senza mettervi le mani nei capelli, ovvero, senza disperarvi, provate a riflettere su quanto complessa, simbolica e articolata sia la presenza della mani nella nostra vita.
Ci aiuta il filosofo Marie Robert, che già vi ho presentato e che di recente ha dedicato all’argomento uno dei suoi post, che sono il modo con cui io inizio invariabilmente ogni mia giornata.
Lei scrive all’alba e scrive tutti i giorni, compresi il sabato e la domenica e ha scritto pure a Ferragosto.
Se vi serve un esempio di attaccamento a qualcosa, ve l’ho offerto.
La mia mano prediletta è quella di Le Corbusier, pensata per Chandigarh, la città da lui progettata in India.
Ma la mano per il grandissimo intellettuale («Uomo di Lettere», si definì sul passaporto) è una presenza continua.
«A piene mani ho ricevuto, a piene mani ho dato», aveva scritto.
Alla sua morte, avvenuta il 27 agosto del 1965 mentre nuotava nel suo mare a Cap-Martin, quando il corpo fu trasportato all’obitorio di Roquebrune, Lúcio Costa, amico e architetto anch’egli, venuto dal Brasile per l’ultimo saluto, vedendo che solo il volto emergeva dai drappi bianchi, rettificò il lenzuolo perché si vedessero le sue mani, che erano molto belle.
Dunque, le mani. Anche con l’insospettata importanza dei mignoli, laddove siamo abituati a pensare che è il pollice opponibile a fare la nostra grandezza umana.
E infatti nel film Il paziente inglese, di cui non sono mai riuscita a spiegarmi il successo (l’amante indiano sembra Sandokan. E non gli sto facendo un complimento. Gli affreschi di Piero della Francesca sono rifatti in modo talmente offensivo che solo uno che non ha mai visto un affresco in vita sua li potrebbe apprezzare), nel film, dicevo, uno dei protagonisti, David Caravaggio, ladro canadese al servizio dell’intelligence britannica, è noto per le mani bendate, avendo lui subito l’amputazione dei pollici durante un interrogatorio da parte dei tedeschi.
Con le mani riesce ormai a fare poco o niente, tutto dalle mani gli cade, maledettamente.
Eppure, anche se sembra che nel corpo abbiamo parti di maggiore importanza, tutto serve a renderci completi.
Ho rivisto Figli di un Dio minore.
Non potevo perdermi l’occasione di guardare chi sta peggio di me, un po’ come quando sento Traviata o Bohème se ho l’influenza: la tisi di Violetta e di Mimì diciamo che allevia il malessere.
Il film, come è noto, racconta la vicenda di un professore anticonvenzionale che va a insegnare in una scuola per sordi e ha una relazione con una delle ragazze tirate su dall’istituto, che usa solo la lingua dei segni e si rifiuta di utilizzare la voce perché per lei, che comunque non può udirla, essa è quella di un freak.
Temevo peggio.
Il film me lo ricordavo bello, ma erano passati anni e poi lo avevo visto doppiato, che per un lavoro dedicato nella sostanza alle parole è un po’ un paradosso.
Comunque: sentimentale, sì, ma sopportabile; lui, molto gigione, è uno dei suoi talenti; lei, sordomuta anche nella vita, graziosissima. Però la cosa notevole è che mi è venuto in mente che l’udito abbia un’importanza superiore alla voce.
Nella sostanza: i ragazzi non parlano perché sono sordi.
Però uno che non parla, sente.
Ho passato in rassegna i cinque sensi: vista, tatto, gusto, udito e odorato.
Ho contato e ricontato: la voce non c’è. Pure se era una mia idea che avesse la medesima importanza di tutto il resto e che servisse anch’essa a costruire una relazione col mondo. Insomma, la percezione viaggia su una binario diverso dall’espressione. Inoltre, vista, gusto, udito e odorato stanno tutti nella testa.
Anche il tatto, che c’entra, però è diffuso in tutto il corpo.
E nella testa, anche se sistemata un pochino in basso, ci sta pure la voce.
(Come si sarà capito, vorrei fare qualcosa per darle il ruolo che merita).
Ma l’udito, senso importantissimo, è capace anche di andare oltre.
Evelyn Glennie, scozzese, fra i massimi percussionisti attualmente in carriera, è diventata sorda da ragazzina.
Non solo parla normalmente, ma suona pure e vince premi di continuo.
Sente diversamente e lo spiega lei stessa: le vibrazioni le attraversano il corpo e la sua autobiografia si intitola, giustamente, Good Vibrations.
Dunque, un’altra situazione rispetto a Beethoven, che più volte pensa al suicidio nel periodo della sua «maturità virile», attorno al 1800, quando ha trent’anni, che coincide con le prime avvisaglie della sua menomazione.
Ma «pur nello squallore sempre più tetro della vita, nella solitudine inesorabile cui la crescente sordità lo condannava» (Mila), il musicista grandissimo compone le opere altissime che sappiamo, anche acquisendo una popolarità immensa, perché non dobbiamo dimenticare che il maestro seppe mutare la condizione sociale della sua professione, rifiutando ogni dipendenza da una casa gentilizia e fondando «quell’appassionata comunione fra la musica e masse relativamente grandi di pubblico» che durò per tutta l’epoca romantica.
Il tutto, da sordo.
Meraviglie dell’essere umano. O, se volete, dell’arte.
A proposito di arte, fra me e me, visto che non ho ancora pubblicato niente sul sito, ho deciso i titoli del corso 2021-2022 del lunedì.
Ci saranno tre Stagioni anche quest’anno, ma in ciascuna lascerò uno spazio libero per quelle che si chiamano, in via provvisoria, schede tematiche, ovvero per raccogliere artisti e movimenti che non sono riconducibili ai denominatori comuni di cui ci occuperemo nei vari Episodi.
Perché l’arte del XX secolo scappa da tutte le parti e questo è anche il suo fascino.
Quanto ai Sorbetti, ho aggiunto una noticina che dice che i gusti potrebbero subire variazioni radicali, perché vorrei mantenere nei loro confronti una libertà assoluta di progettazione e seguire un po’ i loro umori, che scappano anch’essi da tutte le parti.
E questo è anche il loro fascino.
State bene e fate le cose gloriose della fine del mese di agosto, quando c’è un ritorno alla normalità in vista ma non si sa ancora quale saranno le cose normali.
E ci illumina, anche in questo, la nostra Marie Robert, con un post di lunedì scorso a risposta multipla, come sempre appassionato, dinamico, puntuale, ricevuto, e dato, a piene mani.
* L’illustrazione di apertura è di Lorenzo Rocco
** L’assistenza tecnica è di Virgilio Piccardi
*** Sul mio blog, la serie Replica, quest’anno, per forza di cose, contenuta, arriva alla sua ultima settimana. Poi, si vedrà che cosa uscirà fuori nell’incombente mese di settembre
Voi prendete, per esempio, la porta Asinaria.
Già il nome è simpatico, anche se non si sa se sia legato davvero agli asini che percorrevano la via dal medesimo nome o alla gente Asinia.
Poco male.
Intanto ve la mostro, e ditemi voi se non è bella.
Bella come sono belle tutte le porte di Roma, che si aprono nelle mura urbane, queste ultime una delle più autentiche cifre della Città Eterna, l’unica fra le capitali europee ad averle conservate e mantenute efficienti, grazie alla cura dei papi, per ben sedici secoli.
Se volete capire davvero il fascino di Roma, fate il giro, anche solo parziale, delle Mura Aureliane, la cui costruzione fu avviata nel 271 dall’imperatore da cui trassero il nome.
E guardate le porte. Quelle antiche, Tiburtina, Maggiore, la nostra Asinaria, Latina, San Sebastiano, San Paolo; e quelle moderne, a firma di artisti della portata di Michelangelo e Bernini.
A quel punto dimenticherete i disagi che la città causa a chi la abita.
E forse saprete perdonarli, visto che tanta bellezza deve pur avere un qualche prezzo da pagare per essere goduta.
Les adieux di Valentino Rossi arrivano alla medesima età di quelli di un’étoile dell’opéra: quarantadue anni.
Gigi Buffon, uno dei portieri di calcio più grandi di ogni tempo, a quarantatré anni ha lasciato la Juventus, la squadra più odiata d’Italia, ed è tornato fra i pali al Parma, da dove aveva cominciato.
Michael Schumacher, prima dell’incidente, ha continuato a correre in Formula 1 rimanendo sempre indietro, io nemmeno avevo capito che era lui, il doppiato.
Sto lì che aspetto che cosa farà Cristiano Ronaldo, trentasei anni, perché come esempio di creatura da laboratorio il calciatore portoghese è unico.
Come si è inventato un corpo, fra l’altro composto ed elegante, potrebbe scollinare il limite del tempo concesso a un atleta del suo livello.
E del livello degli altri citati.
Allora, ha ragione quell’altro Valentino, l’imperatore, quando dice che bisogna lasciare la festa quando c’è ancora molta gente oppure ci sono alternative, panorami, orizzonti, scenari diversi.
Dedico fra l’altro tutte queste considerazioni iniziali a coloro che sostengono che questa gente guadagna un sacco di soldi e che quindi.
Dal loro comportamento mi pare di poter dedurre che i soldi non sono tutto e ne esce confortata la mia teoria secondo la quale il denaro, soprattutto per i calciatori, è ciò che è il successo nel mestiere per i protestanti: la prova dell’approvazione di Dio.
Ma non basta.
L’immagine è quella di un pavimento spazzato da una persona frettolosa.
La stanza è quasi tutta pulita, ma negli angoli ci sono accumuli di sporco nero.
Fuor di metafora: non ho alcun timore dell’intervento chirurgico alle corde vocali che mi aspetta, ma si sono fissate due idee che non riesco a cacciare.
1. Il tampone sarà positivo, quindi tutto il piano salterà e dovrò ricominciare daccapo.
2. Mi romperanno un dente durante l’operazione.
Di fronte alla sala operatoria, chiunque ne tira fuori il lato magico.
«Dio, si potrebbe supporre, ha previsto l’omicidio, ma non la chirurgia. Non si immaginava che qualcuno avrebbe avuto il coraggio di infilare una mano dentro un meccanismo inventato da lui, imballato con cura nella pelle, sigillato e chiuso agli occhi dell’uomo». Questo è Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere.
«Che differenza c’è fra Dio e il professor Sainte-Rose?». «Che Dio non pensa di essere un chirurgo». E questo è La guerre est déclarée, film di Valerie Donzelli, autobiografico, in cui a un bambinetto che piange di continuo viene diagnosticato un tumore al cervello, per giunta maligno, che sarà rimosso da un noto neurochirurgo, sul conto del quale gira la battuta che vi ho riferito.
Ma gira da parte di gente dell’ospedale dove lui lavora, che lo stima e che lo reputa una specie di santo dei tempi moderni.
Infatti, il suo cognome della santità porta il segno.
Le mie due fissazioni si sono dissolte, il tampone era negativo e sono uscita dalla sala operatoria senza danni.
Anzi.
Ho visto La Bella Addormentata nel Bosco.
Penso di poter dire che l’ho rivisto, perché me lo ricordavo benissimo, probabilmente pure per via di un album di figurine.
La mia enciclopedia del cinema (Morandini) considera il film non del tutto riuscito rispetto ad altri prodotti della ditta, ma io non sono d’accordo.
L’enciclopedia ogni tanto ci prende, ogni tanto, no.
Il film, che è un cartone animato vecchia maniera, è uscito nel 1959, è costato sei milioni di dollari, che a occhio e croce mi sembrano parecchi, e sei anni di lavoro, che giudicare tanti non mi sembra un’approssimazione.
Credo che la valutazione che lo mette al di sotto degli altri sia però dovuta alla favola in sé, che ha meno motivi di suggestione, mettiamo, di Cenerentola.
Quanto a Biancaneve, devo rivederlo, poi ne riparliamo.
Ma procediamo con ordine.