Del turismo. «Quanto a vedere la città, non ci pensava per niente, essendo di quella rara razza di inglesi che fanno visitare dai loro domestici i paesi che attraversano».
Questo è Jules Verne nel suo Il giro del mondo in 80 giorni e l’inglese che fa turismo per procura è il protagonista, Phileas Fogg.
E qui prende in mano la narrazione George Perec, che nel suo Espèces d’Espaces (Specie di spazi) del 1974 parte alla conquista dello spazio, non quello là, bensì questo qua, la pagina, il letto, la camera, l’appartamento, il palazzo, la strada, il quartiere, la città, il paese, il mondo, tutti posti che sono qua che personalmente trovo ben più suggestivi dei posti che sono là.
Nel capitolo che si intitola come questo paragrafo della Newsletter, e viceversa, lo scrittore dà queste istruzioni: «Piuttosto che visitare Londra, rimanere chez soi, all’angolo del camino e leggere le insostituibili indicazioni che fornisce il Baedecker (edizione del 1907)».
Da qualche parte vi ho già detto che amo le vecchie guide, quelle senza nemmeno una foto, con qualche pianta e qualche mappa, scritte come un romanzo.
Con esse viaggio, di solito senza muovermi da dove sto.
Cosa che vi propongo di fare oggi con me, per visitare uno dei musei più importanti del mondo e andare a vedere il dipinto protagonista di questo biglietto.
Un momento di piacere. Le cifre sono da capogiro. Un documento datato 5 gennaio 2023 sul sito del Louvre comunica che il museo nel 2022 ha avuto 7,8 milioni di visitatori; che è stato stabilito un tetto giornaliero di accessi: 30.000; che il 30% di visitatori sono francesi e che il rimanente 70% è formato da residenti USA, poi europei con un aumento sensibile di tedeschi, italiani, inglesi, spagnoli, e pochi asiatici; che il sito ha avuto 12 milioni di visite, con un incremento del 32% rispetto al 2021; che ci sono 10 milioni di abbonati sulle piattaforme (solo su Instagram l’account Musée du Louvre ha 4,9 milioni di Follower, che sono oggi arrivati a 5).
Quello che stupisce è che, nonostante questi numeri e le file che ci sono fuori dappertutto (è caldamente consigliata la prenotazione), se riesci, come suggeriva un amico mio archeologo a proposito degli orrori architettonici e non che ci sono accanto ai grandi siti archeologici del Vesuvio, se riesci, dicevo, a fare astrazione, poi una visita al Louvre diventa «un momento di piacere», come auspica il Direttore di questo luogo d’eccezione, Laurence des Cars.
Prima donna in 230 anni di vita dell’istituzione a occupare questo posto, già alla guida del Musée d’Orsay e dell’Orangerie, esperta di arte del XIX secolo, la signora è riuscita a infondere un’aria di modernità a un museo da sempre considerato classico.
Proprio quello che piace a noi e che oggi ci serve per acquisire il giusto stato d’animo per entrarci.
Suivez-moi. Raggiungiamo insieme il Département des Peintures, il Dipartimento dei dipinti, Aile (Ala) Denon, Niveau (Livello) 1, Salle (Sala) 700. Chiamata Salle Mollien in omaggio a Nicolas François Mollien, banchiere, la sala ospita i dipinti di più grandi dimensioni del museo.
Essa fa parte delle cosiddette Salles Rouges, che prendono il nome dal colore delle pareti.
E siccome noi siamo persone ben organizzate, non facciamo come fanno quasi tutti i turisti che, trasformati rapidamente in zombi dopo qualche ora di permanenza al Louvre, dove le distanze sono considerevoli, le scale monumentali e gli ascensori rari, si aggirano cercando disperatamente l’uscita, mancando alcuni dei capolavori di quelli che ti cambiano la vita.
Se piove, apri l’ombrello.
Dunque, se decidi di visitare il Louvre, seguimi.
Vi presento Eugène Delacroix (1798-1863). Il più grande dei romantici francesi, in teoria figlio di un politico ma più probabilmente di Talleyrand, principe, diplomatico consigliere di Napoleone, vescovo, amico di famiglia, Eugène Delacroix, oltre a essere un immenso pittore è anche un grande e sensibile scrittore, autore di un diario, il suo Journal, che ha dato il nome a tutti i taccuini privati e personali, grossi e piccoli, di cui io auspico sempre la cura e l’avvento, perché così sei sicuro di poterti fidare, in questo caso della carta, e di mettere, appunto, nero su bianco, quello che ti succede e che ti passa per la testa, depositando su altre spalle oltre che sulle tue il fardello dell’esistenza.
Facondo, dunque, ma anche straordinariamente fecondo, nel suo atelier alla morte furono trovati circa 9.000 fra dipinti, pastelli e disegni, e in sessantacinque anni di vita un po’ di tempo lo avrà pure passato a crescere, mangiare e bere, dormire e andare a donne, Delacroix è un colorista senza pari, amatissimo da Baudelaire e campione della generazione che è arrivata dopo di lui, che gli rende qui un doveroso Hommage a firma di Henri Fantin-Latour.
L’autore, il cui cavallo di battaglia sono le nature morte, infatti c’è un magnifico mazzo di fiori sotto l’effige del grande artista, morto l’anno prima dell’esecuzione del dipinto, 1864, si ritrae in buona compagnia: Whistler è in piedi e ci guarda, Manet, con la mano in tasca, lui può, è alla destra del ritratto, Baudelaire è seduto nell’angolo in basso.
Se vi ho già detto queste cose, poco importa.
Come sappiamo, il lavoro dell’insegnante consiste nel ripetere.
E già che ci sono, vi ripeto pure che l’atelier di Delacroix è l’unica casa di artista da me visitata che mi abbia dato il senso della vita, laddove questi posti di solito mi danno quello della morte.
Piena di luce e di forza, a letteralmente pochi metri di distanza dalla Parigi affollata, snob, impegnata a perpetuare se stessa e i suoi luoghi letterari del boulevard Saint-Germain, oasi di meditazione, di studio e di pace, essa ha contato nel 2022 82.000 visitatori.
La cifra arriva ancora una volta dal Louvre, che ha un legame amministrativo con il Musée Delacroix e che lo sostiene.
E vorrei pure vedere.
Biglietto n° 82: Donne di Algeri di Eugène Delacroix, 1834. Nelle sale tristi del Salon annuale il dipinto brilla di una luce nuova.
Il soggetto trattato non è convenzionale, la rappresentazione è audace, il colore ha una qualità espressiva singolare.
Ma c’è ben altro.
Esso è «la rivelazione autentica di un’anima e della sue emozioni»: se cercavate una formula per definire il Romanticismo, eccovela.
Inoltre, «tutta la pittura di Delacroix si situa in quel rapporto difficile fra l’immaginario e il reale, fra l’osservazione del vero e l’impulso visionario» e, aggiungo io, nutre così la nostra immaginazione e la nostra realtà, aiutandoci a osservarla e a non temere la nostra visionarietà.
Nello spazio chiuso di un harem (= cosa sacra, riservata) algerino, tre donne sono sedute su tappeti sontuosi.
Esse indossano tuniche di seta ricamate e vaporose e sarouel, ampi pantaloni che si fermano sotto il ginocchio e che lasciano poi la gamba nuda.
Esse portano gioielli e hanno acconciature elaborate.
La donna a sinistra ci guarda ed è negligentemente appoggiata su una pila di cuscini.
Le altre due donne sembrano impegnate in una conversazione leggera.
Quella con la rosa fra i capelli tiene in mano il lungo tubo di un narghilé.
A terra ci sono delle babbucce.
Una domestica nera esce dalla scena sulla destra.
I muri sono ricoperti da mattonelle di ceramica delicatamente decorate, vediamo anche gli sportelli semiaperti di un armadio e una nicchia con del vasellame prezioso.
A sinistra è appeso uno specchio con una ricca cornice.
Specchio associato da sempre alla bellezza femminile, al rituale della toletta, ma anche oggetto che esprime «metaforicamente un punto di vista sulle donne».
Nel 1832 Eugène Delacroix fa un viaggio in Marocco e in Algeria al seguito del conte di Mornay, inviato speciale di Luigi Filippo presso il sultano Moulay Abd el-Rahman.
Ad Algeri è autorizzato a visitare l’harem di un corsaro turco: una rivelazione.
I carnet dell’artista, autentico invito al viaggio e al sogno, sono ricchi di disegni realizzati a mina di piombo e colorati ad acquerello, cui si accompagnano note a inchiostro.
Guardate la vivacità di questi Cavalieri arabi e note manoscritte e provate a pensare a qualcosa di simile per il prossimo viaggio che farete, di persona o per delega.
L’Africa del Nord offre a Delacroix una profusione di soggetti e l’artista preferirà ormai sfruttare i nuovi motivi orientali, che si sostituiscono per lui ai temi mitologici e a quelli eruditi.
Dipinto, a sentire Baudelaire, che è «un poemetto d’interno, pieno di riposo e di silenzio, ingombro di ricche stoffe e di ninnoli da toletta», Le donne di Algeri alludono a un universo esotico, straniante, al serraglio che nel secolo XVIII aveva dato il nome ai luoghi di dissolutezza parigini, come ci mostra qui Claude-Louis Desrais nella stampa intitolata Le sérail en boutique.
Siamo davanti a una delle vetrine di Palais-Royal, luogo farcito di caffè, ristoranti, librerie e teatri, dove si fa commercio e consumo di amore a pagamento, proprio come si fa commercio e consumo di tutto il resto.
Delacroix, uomo del suo tempo, dunque, moderno, racconta un serraglio autentico, non la sua versione fantasiosa e metropolitana.
Al 1704 data la prima traduzione del manoscritto arabo delle Mille e una notte, che da lì in poi avrebbe nutrito tutti gli immaginari legati all’oriente, spesso senza troppa preoccupazione per il testo.
I misteri mai del tutto chiariti del gineceo, dalla Grecia Antica in poi, scatenano tutti i possibili fantasmi maschili.
Che donne vi sono rinchiuse e che cosa fanno tutto il giorno: leggono, scrivono, ricamano.
Che rapporti intrattengono fra loro queste donne.
Il potere del principe, ovvero del sultano, è un accesso libero che mai incontra resistenza, è utilizzo senza limiti, porta da forzare senza fatica, erotismo mai sazio, finestra che, quando c’è, si apre sempre sul cortile e mai sulla strada.
Il restauro da poco completato ha restituito al dipinto tutta la potenza del colore. L’opera risente di Goya nell’uso delle ombre sui volti.
Apre la strada al realismo di Courbet e all’Impressionismo.
Fu considerata da Renoir il più bel dipinto del mondo.
Addirittura l’arcigno Cézanne avrebbe scritto: «quei rosa pallidi e quei cuscini ricamati, quella babbuccia, tutta questa limpidezza…entrano nell’occhio come un bicchiere di vino in gola, e si è immediatamente ubriachi».
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