Altro che fate buone.
Non c’è stato nemmeno bisogno di invitarle, è bastato decidere il menu e già qui c’era tutto l’augurio.
Si comincia con Les Bouchées à la Reine che, d’accordo, sono dei vol-au-vent con farcitura, ma il nome evoca anche altro: i morsi, o bocconcini, come se li avesse confezionati la regina.
Segue Le Pâté de Lapin Maison, che è un paté di coniglio fatto in casa.
Poi Le Colin Mayonnaise, il nasello alla maionese.
Queste prime portate sono servite con il Mâcon Viré, che è un vino di Borgogna che ha cambiato nome nel 1999 e che ora si chiama Viré-Clessé.
(Se c’è una cosa affatto semplice in Francia sono i vini. Ma i vini sono complessi dappertutto).
Seguono le carni: Le Gigot Haricots Verts e Le Poulet Rôti au Cresson, ovvero il coscio di agnello con contorno di fagiolini e il pollo arrosto al crescione.
Qui il vino è il Rochdale, di cui non trovo notizie.
Arriva La Salade du Jardin, che è un’insalata di contorno ma che però, come la presentano loro, sembra ben altro.
Les Fromages assortis sono accompagnati dalla Pelure d’Ognon, un vino rosé.
Segue il trionfo dei dolci.
Nell’ordine: Les Tartes aux Fraises et aux Cerises, ovvero le torte alle fragole e ciliegie; Le Quatre Quarts, che è un dolce che so fare anch’io, dunque, semplice, perfetto per una giornata in cui si dà il benvenuto nella vita a una bambinetta; La Mousse au Chocolat, che non credo di dover tradurre, perché di mousse e di chocolat siamo tutti esperti.
Questo primo carrello va con lo Château-Paillet, che è un rosso di Bordeaux.
Ma non finisce qui perché c’è La Bombe Glacée, che è un gelato declinabile in vari gusti; e ci sono Les Boudoirs, che sono dei biscotti che però hanno il nome di quella piccola stanza riservata a una signora dove, come sappiamo, può succedere di tutto.
(Quale migliore auspicio per una neonata: che della vita provi tutti i sapori, gli incanti e disinganni).
Qui è entrato in scena le Champagne.
E vorrei vedere.
Café et Liqueurs: Izarra, Paesi baschi francesi; Marc de l’Ardèche, un’acquavite che viene da una zona dove scorre il Rodano; Calvados du Père Magloire, un sidro di mele ancora in commercio.
Evelyne è venuta al mondo ed è stata battezzata il giorno 8 luglio del 1951.
Per una di quelle vie misteriose attraverso le quali ci si incontra, io oggi vi sto raccontando di lei.
È successo che per preparare il mio Sorbetto dell’ultimo dell’anno, mi è venuto in mente di cercare un menu un po’ vecchio, sapete, una di quelle cose da grande albergo in una città grande, con tutti che si presentano sotto la loro luce migliore e sicure garanzie di festa.
Dedicata a San Silvestro, ho trovato poca roba, comunque sufficiente.
Ma sono caduta come Alice nel buco (o era la tana del coniglio, non me lo ricordo mai e non ho alcuna intenzione di ricordarmelo) nei menu d’antan, che hanno in internet un loro piccolo e squisito spazio.
Ho acquistato da due diversi antiquari francesi due diversi lot, ovvero lotti, di menu, che mi sono arrivati al garage in questi giorni.
I primi sono degli anni ’20 del secolo scorso, con una piacevole intrusione di un menu del 1894.
Gli altri, che ho preso stamattina, sono degli anni ’50, ’60 e ’70.
Mi sono messa a fare una ricerca e ho scoperto che la Biblioteca municipale di Digione ha una delle più grandi collezioni francesi di menu, che è come dire la più grande del mondo.
16.000 pezzi che datano dal 1810 ai nostri giorni, testimonianza «della storia della gastronomia, della cucina e dell’art de vivre»
(Non traduco le ultime parole perché si capisce che significano, anzi, io darei più respiro al concetto e direi «capacità di stare al mondo»).
Di recente la collezione di Digione si è arricchita di più di mille menu presidenziali, che sono stati donati dallo Chef des cuisines dell’Eliseo, per intenderci, il Quirinale di Francia.
Un menu con la patina del tempo è considerato una «fonte per la storia, la storia dell’arte, la storia dell’illustrazione e il marketing».
(Ditelo, a quelli che di marketing si occupano).
Il menu è un «éphémère gourmand», talmente effimero che di solito, quando stai al ristorante, te lo sfilano di mano in fretta, per motivi che mi sono ignoti da sempre.
Siccome sono una che cerca di capire come vanno le cose, mi sono anche detta che forse c’è alla base di questa pratica, che io trovo molto irritante, una di quelle faccende organizzative dei ristoranti, che ne so, un po’ come funzionavano i piattini sotto il bicchiere di assenzio, che il cameriere ti lasciava sul tavolo, così poteva contare quanto, di assenzio, te ne eri messo in corpo.
Per esempio, guardate che cosa c’è sul tavolo di Paul Verlaine al Procope: un bicchiere pieno di assenzio su un vassoio, la caraffa dell’acqua e una pila di piattini, che ci dà la misura di quanto lui fosse triste.
Narra la leggenda che lui avesse l’abitudine di ordinare sempre un bicchiere di assenzio per sé e uno per Rimbaud, pure se quest’ultimo era morto da un pezzo.
E a me le leggende piacciono tanto, quindi ci credo.
E in questo momento, se c’è una cosa che mi dispiace, è non stare pure io al Procope, che è uno di quei posti che qui ti sogni, letterari, pieni di storia, perfettamente conservati ma ben vivi e vitali, a ordinare qualcosa di forte per tirare tardi, sapete, uno di quei paradossi, per cui io che amo andare a dormire presto, a meno che non ci sia qualcosa di davvero interessante da fare, sto qui ad avere voglia di fare tardi.
A Parigi.
Ma dicevamo: i menu.
Quelli che al ristorante ti sfilano rapidamente dalle mani, in modo che tu non abbia dubbi sull’ordinazione.
Quello del battesimo di Evelyne, tutto scritto a mano, immagino con quale emozione, messo con eleganza su un tavolo allestito a festa e arrivato fino a me, a noi, in seguito a una ricerca accesa alla fine dell’anno scorso.
Il menu del battesimo di Evelyne non è il più bello fra tutti quelli che sono entrati in mio possesso.
In tutto sono una ventina, sempre nell’aria del tempo, alcuni stampati e riferiti a cene in albergo che immagino sontuose, altri più fatti in casa, come per esempio il menu della Pasqua 1977, in cartoncino color carta da zucchero con delle decalcomanie di animali attaccate sopra agli asparagi, la trota, la faraona, i piselli e la pasticceria e un solo vino: Côte de Provence.
Scritto pure al singolare, di solito è Côtes, plurale.
Voi dovete darmi retta, perché io ci prendo.
Io ho un istinto che interrogo di continuo e che di continuo mi dà delle risposte, lascia perdere, aspetta, è successo qualcosa che poi passa.
Dunque, il menu bruttino joyeuse pâques si dichiara pieno non di delizie ma di buona volontà: lo dice tutto, dalla semplicità dell’offerta alla sua presentazione.
Comunque, un altro pezzo di vita che mi è piombato addosso.
Ma la cosa più bella è stata scoprire nei menu due pezzi che erano legati fra loro.
Sì, perché il 10 giugno del 1956 tale Serge Dalmas fa la Première Communion a Mériel, comune della Francia di 4.474 abitanti nel dipartimento della Val-d’Oise.
Controllo e vedo che la località dista 3,7 chilometri, ovvero otto minuti di macchina, da dove si è suicidato Vincent.
E da dove lui oggi riposa.
Ce n’è abbastanza da struggermi.
Non solo, il cartoncino del menu per la prima comunione di Serge ha un’intestazione, ovvero aveva anche la funzione di segnaposto.
E a chi è intestato.
Bravi: a Evelyne, meglio, a Mademoiselle Evelyne Dalmas.
Dunque, la bambinetta, che ha ora cinque anni, ha il suo posto a tavola nella festa del fratello.
E il menu, anche in questo caso, è una delizia, sempre scritto a mano, mi sembra con un po’ più di agio, ovvero con lettere più larghe.
Due portate mi toccano e vi riferisco: Les Delices de la Ferme couchés sur la paille e Les Beaux Produits des Verger de France.
Volendo provare a tradurre, stiamo parlando di frutta servita sulla paglia e proveniente dai bei frutteti di Francia.
Però, che inventiva.
Leggevo oggi sulla mia rivista, che sono andata a prendermi a via Veneto, un’intervista a una scrittrice che mi sta molto simpatica per via della sfrontatezza di vita e di pensiero.
Lei diceva che la letteratura è più bella della vita e che, della vita, è più intensa.
Mi veniva in mente che anche per i menu si può dire la medesima cosa: cartoncini effimeri, legati a una sola ricorrenza, che qualcuno ha messo da parte per ricordo e che arrivano a me per vie insondabili e traverse.
Portatori di messaggi, ancora non so bene quali perché ci sto pensando.
Comunque, capaci di raccontare storie, banali solo apparentemente e in grado, invece, di entrare nella nostra fantasia, attraverso un elenco, una narrazione e una scrittura.
Insomma, una di quelle cose che si chiamano: favole.
Ditemi voi se c’è qualcosa di più bello.
Andrea
21 gennaio 2021 — 8:38
Che meraviglia. Trentasette anni. 3,7 Km, magia, messaggio.
Rosella Gallo
21 gennaio 2021 — 8:51
Lo sapevo, che questa storia ti sarebbe piaciuta. Guarda, è proprio una storia tua. Ho cercato Evelyne, che adesso sarà una signora adulta, non sono sicura di averla trovata. Abbracci. Sempre.