Dotata di denti, detti rebbi, spesso aguzzi, dunque, atti ad infilzare; indispensabile in cucina; di forme, volendo, accattivanti, la forchetta non può che essere femmina.
Ed è tale in tutte le lingue che hanno un genere e che pure ogni tanto sono strambe.
Stavolta non ci sono dubbi.
Storicamente la forchetta appare con calma, ben più tardi del coltello e del cucchiaio, cosa che non mi convince del tutto, essendo essa presente quotidianamente anche sotto altre forme. Ci sono infatti forchette, forcine, forcelle, siamo sempre lì, un po’ dappertutto: presso gli archibugieri, per appoggiare l’arma; negli orologi, in comunicazione con il bilanciere; in anatomia umana, sullo sterno e nella vulva; negli animali, uccelli e cavalli, per questi ultimi, nello zoccolo; in musica; nella dama e negli scacchi.
Insomma, un mondo biforcuto, triforcuto.
Quadriforcuto, quando parliamo della forchetta da tavola.
Economia domestica (page 3 of 3)
Non ho mai capito questa cosa del sesso degli angeli.
Da sempre mi sembrano maschi, casomai maschi belli come è difficile trovarne, almeno a quell’angelico livello, però sempre maschi sono.
Un angelo femmina mi sembra parecchio improbabile.
Ho provato a fare un ragionamento simile durante una lezione con le posate.
E vi dico subito che le cose non sono andate lisce.
D’accordo, è l’epoca della confusione di genere e per questo argomento sono entrati in gioco anche altri fattori, insomma, non so se in aula siamo riusciti a metterci d’accordo.
Poco male. Comunque, adesso vi racconto.
Tempo fa, ero ai miei primi anni in Accademia, una collega a fine carriera mi invitò da lei a conoscere la madre.
La signora, che aveva superato i novant’anni, era una toscana vivace e mordace, di cui conoscevo per sentito dire il carattere.
Le due donne formavano una di quelle coppie come ce ne sono tante, coppie per me, che ho un orizzonte limitato e quando penso coppia penso a una sola possibilità, un po’ inconsuete. Insomma, madre e figlia vivevano insieme costituendo una comunità e una situazione stabile, come accade fra padrone e cane; un fratello e una sorella; un padre e un figlio; un uomo e un uomo; una donna e una donna e via elencando le infinite possibilità di relazione che la vita offre.
Le coppie vivono insieme, certe volte dividono la medesima camera, se non il medesimo letto, litigano, si riappacificano, si telefonano venti volte al giorno, non sanno stare distanti, si detestano, passano le vacanze congiuntamente, dicono «noi», non prendono nemmeno in considerazione la possibilità di una vita autonoma.
In quella situazione là si capiva benissimo che i ruoli, poco alla volta, si erano invertiti, la madre era diventata la figlia e viceversa.
A parte questa considerazione iniziale, la signora mi dette subito la prova di quanto possono essere perfide le donne.
Ieri sera ne ho fatta una grossa.
Voi dovete sapere che io sono una persona metodica, precisa, puntuale, affidabile, per niente distratta, sempre presente a se stessa.
Sono anche un’abitudinaria, ma questo, in questo caso, non c’entra.
Tutto ciò è frutto poco del carattere, molto di più della disciplina.
Come diceva Flaubert «Siate regolari e ordinati nella vostra vita in modo da essere violenti e originali nel vostro lavoro». Io questa massima ce l’ho scritta a caratteri cubitali sul moodboard vicino alla mia scrivania, quindi non me la scordo.
Del resto, se io nella mia vita facessi e avessi fatto uscire l’altro mio lato, quello caotico e inquieto, non caverei e non avrei cavato un ragno dal buco.
Ieri sera, però, è successo.
I Sapori dell’arte, 8. Lunedì 14 maggio 2018: Sapore di sale
Come in ogni blog di successo, parliamo pure noi di cucina.
E in cucina il sale domina, senza sale si cucina da malati e malamente, l’importante è conoscere quel paio di regole indispensabili: 1. L’acqua della pasta, così vitale per noi italiani, deve essere salata come il Mediterraneo. 2. Il sale nei cibi non si deve sentire, nel senso alto e nel senso basso, ovvero il cibo non deve sapere di sale (che si mette nei cibi, cucinando, per esaltarne il sapore), né di sale deve mancare.
In quest’ultimo caso il cibo è sciapo, che è un sinonimo di sciocco, termine che si usa anche con le persone, a indicare quanto, mancando esse di sale, «simbolo del senno, della saggezza, dell’intelligenza», mancano di alcune delle virtù più importanti per stare al mondo, mettendo io al primo posto l’intelligenza, che apprezzo sempre molto, laddove, come è noto, il senno, per la precisione quello del poi, riempie le fosse e la saggezza va presa cum grano salis, cioè con un grano di sale, ovvero con discernimento.
Insomma, non esageriamo, a diventare saggi si fa sempre in tempo.
I Sapori dell’arte, 2. Lunedì 26 marzo 2018: Il Sapore della casa
Fosse per me, i locali pubblici se la passerebbero maluccio.
Bar, ristoranti, teatri, gallerie d’arte, sale da biliardo, parrocchie, hall di alberghi, tutto sarebbe vuoto.
Perché io sono la persona meno mondana che io frequenti (e si capisce che mi devo frequentare per forza).
Perché sono molto casanière, ovvero mi piace stare a casa mia e sono capace di starci come ficcata in una tana anche tre o quattro giorni filati, uscendo solo nottetempo per liberarmi di ciò che non mi serve, l’importante è che io abbia viveri, alcolici e film in quantità abbondante e poi che i miei due computer funzionino e che i servizi siano assicurati dall’esterno.
In casa posso fare tutto: dormire, mangiare, leggere, studiare, scrivere, ascoltare musica, parlare al telefono.
Al limite, anche ricevere ospiti.
In quanto femmina, da ragazza mi era interdetto viaggiare.
Non passava nemmeno per la mente, ai miei carcerieri, che uno spostamento avrebbe aperto i miei orizzonti. Anzi, a rifletterci sopra adesso, secondo me agli aguzzini questa cosa era chiarissima ed era proprio questo il principale motivo per cui dovevo languire fra casa a scuola: perché, insieme agli orizzonti aperti, loro sapevano benissimo che la mia testa si sarebbe riempita di grilli, ovvero di idee fantastiche, una più brillante dell’altra.
Facendola breve.
Quando finalmente e dopo anni riuscii a conquistare il permesso di stare qualche giorno fuori e mi fu offerta la possibilità di andare a Londra, pensavo che il mio cuore non avrebbe retto a tanta emozione.
Sopravvissi.
E ciò nonostante lo stupore violento che suscitò in me il primo impatto.
Se volete ridurre una donna in vostro potere, farle abbassare la cresta, ricondurla a più miti consigli, ora vi dico come fare: toglietele la lavatrice, anzi, sarò più precisa, toglietegliela per dieci giorni, uno di fila all’altro.
Parlo per esperienza.
Statemi a sentire.
Un martedì prima di Natale mi sono alzata e ho avviato il primo bucato della giornata.
A casa mia si lava molto, non so se perché la famiglia è numerosa o perché sono numerosa io (come diceva Jeanne Moreau, non ricordo in quale film, sono troppo numerosa per un uomo solo).
Ho continuato con i rituali del mattino e, al momento della prima colazione, una cosa lunga e complessa, praticamente un pasto vero e proprio, completo di formaggio e frutta, tavola apparecchiata, 30 minuti di orologio, pure quando devo uscire di casa presto, insomma, mentre ero lì che mi versavo il tè nella mia tazza prediletta, mi rendo conto che non mi arriva all’orecchio il rumore consueto del mio elettrodomestico.