ODE ALLA LAVATRICE RIPARATA

Manifesto DonnaSe volete ridurre una donna in vostro potere, farle abbassare la cresta, ricondurla a più miti consigli, ora vi dico come fare: toglietele la lavatrice, anzi, sarò più precisa, toglietegliela per dieci giorni, uno di fila all’altro.
Parlo per esperienza.
Statemi a sentire.
Un martedì prima di Natale mi sono alzata e ho avviato il primo bucato della giornata.
A casa mia si lava molto, non so se perché la famiglia è numerosa o perché sono numerosa io (come diceva Jeanne Moreau, non ricordo in quale film, sono troppo numerosa per un uomo solo).
Ho continuato con i rituali del mattino e, al momento della prima colazione, una cosa lunga e complessa, praticamente un pasto vero e proprio, completo di formaggio e frutta, tavola apparecchiata, 30 minuti di orologio, pure quando devo uscire di casa presto, insomma, mentre ero lì che mi versavo il tè nella mia tazza prediletta, mi rendo conto che non mi arriva all’orecchio il rumore consueto del mio elettrodomestico.


Qualcosa stonava, lei non aveva tirato le cuoia, le lucette si accendevano tutte, ma non andava più avanti.
‘No’, l’ho pregata, ‘non puoi farmi questo’.
Quello, me l’ha fatto.
Del resto aveva pure ragione: la mia lavatrice, una superba Novotronic W738, una Miele con pure i bulloni fabbricati in Germania, ha superato i 25 anni di età. Forse di più, ma non è il caso, al momento, di mettersi a fare i conti con il tempo.
Gode, come è noto, e se non è noto ve lo dico io, di un’assistenza specializzatissima, con tecnici che sono solo quelli, non è che uno cerca un tecnico qualunque e lo chiama, lì c’è tutta una procedura per cui il tecnico te lo manda l’azienda autorizzata, che è una sola e che è quella.
Inutile dire che i costi sono tali, chiamata, tempo di lavoro, pezzi di ricambio, che a ogni capriccio dell’elettrodomestico una grigissima nuvola di preoccupazione finanziaria si allarga sul soffitto della cucina (dove sta la lavatrice; io, la lavatrice, nella stanza da bagno, non voglio vederla, ci sta malissimo, quello è il luogo della sacrosanta toletta, il bucato attiene a un’altra ala della casa).
Interrompo la colazione, mi dico, no, forse è stato un momento superabile, scarico, riavvio, tento la centrifuga, stacco e riattacco la corrente.
Tutto si ripete, come in un copione già scritto: carica l’acqua, poi non si sposta.
Telefono all’Assistenza, che è diventata maiuscola, e comincio a pregare.
Uso tutte le mie armi, la mia voce delle grandi occasioni, per favore, per favore, siamo pure sotto Natale, come faccio, lo dica, al tecnico, che sono io, ci stiamo simpatici, mica mi tira il bidone proprio prima delle feste.
Per farmi riconoscere dico che sono quella che la lavatrice se la porta nella tomba, come possa entrarci, poco mi riguarda, però tutti coloro che si sono succeduti nelle riparazioni (ogni tanto, non so perché, decisioni dall’alto, cambiano) lo sanno, ci si sono fatti sopra un bel po’ di risate.
No, guardi, io dico sul serio, questa è stata un investimento, doveva durare tutta la vita, proprio come il matrimonio.
Fallito il matrimonio, che almeno la lavatrice mantenga le sue promesse.
Prego ancora e strappo un appuntamento per il venerdì mattina. Devo andare a Napoli in Accademia, mi accordo con la domestica, mi sveglio prima dell’alba, mi preparo, a un certo punto, conosco i miei polli, il tecnico mi telefona, mi dice sto qui sotto, io gli dico ma lei è in anticipo di un’ora e mezza, sa come sono le donne quando devono vestirsi, lui mi dice ma mica la disturbo, insomma, lui sale e io, ancora in vestaglia (lunga, elegante), mi appresto a riceverlo.
Qui comincia la delicata questione della diagnosi, intervento telefonico del mio tecnico prediletto, non presente per questioni di turno, scambio di fotografie dello schema elettrico via WhatsApp (finalmente un impiego utile), è seduta? stavo seduta sul mio sgabello, è probabile che sia il motore, no, per favore no, il motore ha un costo pazzesco, qui finisce che devo rinunciare al mio progetto finale e separarmi dalla mia lavatrice prima che a separarci sia la morte.
Oh, mammamia.
Smonta, guarda, un vero e proprio consulto.
Un respiro di sollievo: sono le spazzole.
Non ho idea di che cosa siano, ma quelle dei tergicristalli della macchina costano una cifra ragionevole, sarà lo stesso per l’elettrodomestico.
Bene, ordiniamo il pezzo, ora, bisogna vedere se a Bolzano, la sede centrale sta lì, sono aperti, chissà se fanno il ponte fino alla Befana.
Mormoro ma la Miele è come la Mercedes, mica può lasciare per strada i clienti solo perché è Natale.
Sulla manica il tecnico ha cucita un’etichetta con la scritta ‘Forniamo soluzioni’.
Glielo faccio notare.
Lui, sveltissimo, mi dice sì, però mica c’è scritto miracoli.
Touchée.
Un uomo che è riuscito ad azzittarmi (mica succede spesso).
Con il cuore strizzato come uno straccio, vado a Napoli e la sera, rientrando, dico ora mi organizzo.
Sto a quattro giorni senza lavaggi.
Il sabato mattina, è il 24 dicembre, faccio su tutto il bianco della casa, lenzuola, asciugamani, canovacci, carico tutto in macchina e vado alla lavanderia a gettone a via delle Cave.

‘Negri’, ‘negrigure’, avrebbe detto il terribile padre di Lessico famigliare, Giuseppe Levi, fisico, per inciso maestro di tre premi Nobel.
(Non me ne importa niente del politicamente corretto).
Sono indiani o pakistani?
Poco importa.

Provano a dirmi torna alle tre e io scatto su come una molla, ma tu sei matto, ma tu davvero pensi che io davvero ti lascio il mio bucato e che tu lo tocchi, il mio corredo, le spugne finissime, gli asciugamani di lino, i canovacci, con quelle tue manacce sporche?
Quello si guarda le mani e mi dice ma perché, che cos’hanno?
Anche in terra è sporco, mi lamento.
E che fa.
E che fa un cavolo.
Mi sono portata il mio detersivo, carico la gigantesca bocca della gigantesca macchina personalmente, chiedo quanto impiega a lavare, 40 minuti, bene, io sto qui davanti, così controllo.
Esco in strada, faccio un paio di telefonate, mentre telefono un altro indiano (o pakistano) della camiceria attigua esce pure lui e sputa in terra.
Poi, tranquillo, rientra.
Quindici minuti prima che finisca il lavaggio, mi avvicino al mio bucato, che gira, pure lui, tranquillo.
Così come girano i bucati degli altri: tutto insieme. Nel senso che nel medesimo lavaggio, euro 11,00 con asciugatura, ci mettono tutto, asciugamani, blue jeans, scarpe da palestra, il piumino, i pedalini e le mutande, le camicie dell’ufficio e quelle del sabato, le maglie, la roba sporca della cucina.
Tutto insieme, allegramente, viva il servizio a gettone, quanto è moderno.

Completato il lavaggio, bisogna spostare i panni nell’asciugatrice.
Mi tendono un cesto con le ruote, con strisce di nero ai bordi e mezzo sfondato.
Quello apre lo sportello e prova a farmi vedere come si estrae il bucato.
Sveltissima, lo difendo, guai a te se lo tocchi, siccome capisce male l’italiano, gli do una bella botta sulla mano, ma una botta vera, no uno schiaffetto da femmina, giù le mani da uno dei possedimenti più sacri della mia casa.

Faccio io.
Anzi, decido di portare via tutto bagnato, solo le lenzuola le infilo nell’asciugatrice, schifando il carrellino sfondato, usando una busta intatta che mi ero portata, interrompendo a metà perché non ne posso più, ho pagato tutto in anticipo, saluto e dico dovreste essere più attenti all’igiene, quelli lavorano dalle 8 alle 22, tutti i giorni, pure i festivi, sai a quelli, dell’igiene, che gliene importa.

Cena della Vigilia. Famiglia. Chiedo se posso fare un lavaggio dei tappetini della stanza da bagno, chiarisco che io mi rifiuterei, la lavatrice mia guai a chi me la tocca.
Ho il permesso.
Tralascio l’increscioso episodio della centrifuga a 1000 per errore, non mio, io non mando mai niente a più di 600, a 400 i delicati, che, da persona lungimirante qual sono, ho lasciato a casa, in attesa di tempi migliori.
Tiro fuori tutto strapazzatissimo, pure un magnifico Mastro Raphael di ‘finissima lavorazione artigianale’, come dicono loro.

Scollino Santo Stefano.
All’ottavo giorno senza lavatrice, la mattina presto chiamo l’Assistenza (maiuscolo) e dico adesso la prego, mi ascolti.
E impiego tutte le mie arti: seducente come sa esserlo solo una donna seriamente intenzionata a ottenere quello che vuole, illustro in modo colorato la situazione, dico che devo potermi organizzare, posso resistere ancora per poco, posso dare fondo a tutte le riserve del mio guardaroba, ne ho abbastanza per sopravvivere un altro paio di giorni.
Poi decido di chiedere un prestito in banca e di portare tutto alla mia lavanderia artigianale, dal signor Michele, che mi vuole bene e che mi restituisce le mie cose come nuove, le sciarpe perfettamente stirate ciascuna nel suo cellophane, le giacche con le tasche imbastite, le maglie piegate meglio di quando stavano al negozio.

Chiedo un prestito e mi salvo dallo scempio che il mondo sta facendo dei miei panni.

Sono mansueta, attenta a non essere lagnosa, faccio anche ridere un po’ il mio interlocutore, la prego, divento di velluto, per favore, per favore, chiami su a Bolzano e chieda quando ci mandano le spazzole e quando ce le hanno mandate mi fissi in appuntamento, ma presto, presto.
Mi richiami, la prego, sono qui che aspetto, sto attaccata al telefono.
(Difficile che un uomo resista a una donna che vuole indietro, funzionante, la sua lavatrice).

Venti minuti d’orologio, dall’Assistenza mi richiamano, tutto sistemato, venerdì mattina arrivano i ricambi, le ho trovato uno slot subito dopo le 14:00.
Uno slot? Deve essere, tradotto, il tecnico che viene a trovarmi fra un appuntamento e l’altro, quello che a Napoli chiamano ‘spacco’.
Scopro che posso cambiarmi meno, che posso indossare due volte di seguito la stessa maglia, asciugarmi due giorni con il medesimo asciugamano, ripassare i bicchieri con il canovaccio usato quando escono dalla lavastoviglie (per inciso, la guardo e le dico guai a te se mi fai scherzi).

Arriva il venerdì, come arriva il Natale pure se il Natale è già passato, arriva festoso, non mi pare vero, montagne di roba stanno sistemate dappertutto a seconda del colore e della robustezza, non sono mai arrivata a questi livelli, fuori ci deve essere un assedio e non me l’hanno detto.
Intorno alle 13:30 mi telefona il mio tecnico prediletto, esulto, amo quest’uomo di amore autentico, non sto nella pelle, suona, apro, mi dice pure mi dia un bacetto, auguri di Buon Anno, vorrei scodinzolare per manifestargli pienamente la mia devozione, si fa una risata su questo termine, mi pare il minimo, sottolineo.

In circa un’ora, smonta tutto, le spazzole stanno infilate dietro al motore, le estrae, me le mostra con l’eleganza del chirurgo che sa il fatto suo e elimina il cuore malato per trapiantare quello nuovo, assomigliano a delle chiavette USB, quelle arrivate al loro termine completamente consumate, quelle nuove, gagliarde, scintillanti.
Lavora, lavora e chiacchieriamo, accidenti, scopre che la lavatrice ha anche due resistenze invece di una come i nuovi modelli, io, tutta contenta, non so niente del funzionamento del mio elettrodomestico ma lo so, lo so nel mio intimo, che è il migliore al mondo.
(Infatti me la porto nella tomba).
Con grande perizia, con sapienza, con la conoscenza di ogni minimo pezzo della mia meravigliosa macchina, criticando con leggerezza le lavatrici ultima generazione, mentre io raggiungo il settimo cielo, rimettendo tutto al suo posto, facendo tutte le prove, discutendo con una placchetta che era stata fino a quel momento ubbidiente e che di botto non ne voleva più sapere di tornare nel suo alloggio, con l’apparente facilità con cui il grande calciatore fa un passaggio di palla di quelli che passano alla storia, il mio tecnico del cuore prova a chiudere lo sportello.
Non ci riesce.
Perché bisogna fare una piccolissima pressione sulla levetta, inciampo che è sopravvenuto dopo il cambio della guarnizione e manovra che solo io riesco a fare, gli mostro per l’ennesima volta come, è una storia vecchia, mi guarda con ammirazione, la medesima con cui lo guardo io: sconfinata, gioiosa, divertita, totale.
Sotto la mano del padrone (io), lo sportello, docile, fa clic e si chiude.
Si riapre con il pulsante regolare.

È fatta.

Abbiamo giocato la partita insieme e entrambi l’abbiamo vinta.

Pago una cifra francamente irrisoria, almeno a confronto delle mie nerissime previsioni, guardo con commozione la foto del bambino del tecnico, che non c’era ancora all’ultimo guasto, e che è bellissimo, biondo biondo e tutto morbido.

Un altro bacetto, Buon Anno.

Alle ore 15:30 precise chiamo in Assistenza per ringraziare di tutto e anche per formulare gli auguri, i migliori, i più sinceri e riconoscenti.

Che cosa ho fatto in questi giorni?
Ma che razza di domanda: ho lavato, tutto, anche quello che avevo lavato fuori casa, ho lavato tonnellate di biancheria, poi i delicati, poi pure le tende, già che c’ero ho lavato anche il mio orso  e la sua salopetta (due lavaggi distinti), ho lavato con il piacere di sentire il rumore impareggiabile dell’acqua che scroscia, della centrifuga che gira, della fine del ciclo, che termina con un sospiro, ho accarezzato la mia lavatrice come si fa con un animale, brava, brava, è così che si fa, mi sono deliziata alla vista dei fili fuori stracolmi, della casa con il bucato dappertutto, il profumo dei detersivi, normali e delicati, che mi riempiva i polmoni, mi sono anche seduta in contemplazione dell’elettrodomestico riparato.

Ho detto adesso faccio come Foscolo che scrive l’Ode All’amica risanata, oddio, è solo un’idea, mica mi metto a competere, ho detto adesso scrivo per il mio blog un’ode alla mia lavatrice.

Il nuovo anno, l’Anno Nuovo, è cominciato tutto pulito, dopo dieci giorni di astinenza, di austerità, di dolorosa mancanza, finalmente la dovizia, l’intemperanza, la scorpacciata, la felicità selvaggia, le grida di giubilo, l’inno alla gioia della lavatrice che ha ripreso il suo servizio, nei secoli fedele, anzi, fedele fino alla tomba.

4 Comments

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  1. Una donna, una lavatrice : è nata una stella che brillerá alts nel mondo dei blog.

    • Lucia cara, grazie della lettura, grazie del commento e, soprattutto, grazie del calore della tua amicizia, ricambiato a fondo

  2. DANIELA MARSILI

    5 febbraio 2018 — 11:42

    ODE AI TECNICI……DI QUALSIASI TIPO! I NOSTRI ELETTRODOMESTICI SONO COSI IMPORTANTI CHE,SENZA, ANDIAMO NEL PALLONE!!!!MA C’E UN SANTO PROTETTORE DI QUESTI APPARECCHI? SAN…………?

    • Daniela, io so che c’è la protettrice delle casalinghe, che è Santa Marta, che ho visto ritratta con lo sgommarello in mano. Per quanto riguarda gli elettrodomestici, bisognerà pensarci, essi sono un’invenzione recente rispetto ai santi, quindi bisognerà cercare altrove, c’è un artista, Jeff Koons, che ha esposto a inizio carriera degli aspirapolvere, messi in teche come sculture, facciamo che ne parliamo presto e che guardiamo con occhio benevolo tutte le macchine di casa, un caro saluto e grazie di esserci

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