
Enrico VIII e Anna Bolena
Ieri è stata giustiziata Anna Bolena.
Io lo sapevo, che sarebbe finita così, conosco un po’ la storia inglese, però ho sperato fino alla fine, e ho sperato fortemente, che ci fosse una deviazione, che la sceneggiatura contemplasse un’altra possibilità, che so, non dico che lei rimanesse sul trono d’Inghilterra (Enrico VIII ha avuto sei mogli e lei è solo la seconda, quindi, ce n’è ancora, di strada), ma che almeno le fosse risparmiata quella fine così cruenta.
Mandiamola in convento, no?
Ci sperava pure lei.
E, invece, niente.
Accusata di stregoneria per aver fatto innamorare pazzamente il re (bravi, dopo, ve ne accorgete); sospettata di aver giaciuto con cento uomini, che per una donna del Cinquecento, per quanto esperta di cose e cosette e con nel curriculum un soggiorno da adolescente alla corte di Francia, sono, diciamolo, un bel numero; più che altro e in sostanza perché al re serve un erede maschio e lei non è stata in grado di darglielo; insomma, con questa brutta serie di capi di imputazione, Anna Bolena viene incarcerata nella Torre di Londra e condannata al rogo.
Il re sarà magnanimo con lei e deciderà di farla decapitare.
Ma tutto questo itinerario è stato terribile.
Lei è passata dalla più irresistibile capacità di seduzione (tutta le serie de I Tudor è pervasa da un’ondata potente di erotismo, che proprio grazie a lei raggiunge il suo culmine) a un destino buio e amaro, per cui il re non la va nemmeno più a trovare nelle sue stanze e si prende delle amanti.
Una cosa tristissima, che può succedere a chiunque.
La serie de I Tudor è parecchio educativa. Una donna, se non è tonta completa, impara come comportarsi con gli uomini. Nella spietatezza di quelle relazioni, che a noi oggi appare così moderna, sono disseminati suggerimenti e consigli, che vanno ben al di là del portamento, sempre altero, sempre a testa alta, e della cortesia, Your Grace, His Grace, Her Grace.
Se non lo sapevamo, apprendiamo che ci sono uomini capricciosi e volubili; che altri uomini sono devoti e fedeli ma che, vedi tu, sono meno interessanti; che certe cose sono cose da uomini e che gli uomini è difficile che cambino idea al riguardo.
Che fanno le donne? Cuciono, vivono fra loro, tramano.
Con tutte le donne che conosco che si sono messe a fare la calza, il quilting o il punto a croce, mi sembra che in più di cinquecento anni non sia accaduto quasi niente.
(Intorno, guerre di religione; insurrezioni; congiure. La Storia, insomma).
E ho dovuto cominciare a portarmi i fazzoletti davanti alla televisione.
Arrivati alla seconda stagione, ventesimo dei trentotto episodi, ormai si piange.
Si piange per partecipazione, dolore, rabbia, si piange perché non è giusto.
Lei è bellissima e di una bellezza non in stile Miss Italia, ragazze tutte uguali che si distinguono una dall’altra per via del numeretto, lei è bella di una bellezza tutta sua, fatta di arguzia e di grazia, di un volto che esprime una amplissima gamma di emozioni, lei è bella di intelligenza e di malizia, parecchio anche di ambizione.
Nelle stanze da letto sempre rischiarate da enormi camini crepitanti, abbiamo visto scene d’amore suggestive, violente (il re è un uomo famelico e pure la regina, la seconda, non scherza), lacci che venivano sciolti rivelando corpi di un candore abbagliante, seni tutti nel medesimo stile, o è l’epoca o è il gusto del regista, piccoli, messi in evidenza durante il giorno da corsetti che li sollevano facendoli apparire come mele e liberati a sera in un trionfo di stoffe che cadono una dopo l’altra.
Gli uomini della corte sono tutti giovani, belli e ardenti, il re in testa e più di tutti gli altri.
Elegantissimi, con il farsetto spesso ricamato, quello del re in filo d’argento e d’oro e con perle cucite, quando hanno il cappello, si vedono piume di struzzo che si muovono leggerissime e, quando stanno in prigione, ci appaiono in meravigliose camicie bianche con maniche amplissime.
Grosse catene d’oro sono portate con una disinvoltura che dai dipinti, sempre di apparato, non traspare.
Praticamente un manuale di storia dell’arte del Rinascimento prende vita davanti ai nostri occhi.
In questo universo crudele eppure galante, si consuma la breve esistenza di Anna Bolena.
E la fine è una pagina a sé.
Le viene concesso il boia di Calais, particolarmente capace, ma il boia ritarda di ventiquattr’ore e lei, che era pronta, trascorre ancora una notte di malinconica attesa, raccontando alle sue dame di quella volta che al ballo era vestita da amazzone, e ci arriva addosso tutta la nostalgia di quella vita che ha avuto un capovolgimento così totale.
Il boia parla un inglese faticoso; ha una splendida spada e parecchia conoscenza dello stato d’animo del condannato; dice che non le farà male; dice che la distrarrà nel momento fatale.
E questo accade, con lei portata al patibolo fra gli insulti del popolo, che però si commuove quando lei dichiara ancora una volta la sua innocenza e la sua fedeltà al re (va’ a sapere).
Le tolgono il mantello.
Lei si toglie gli orecchini.
La dame piangono.
Il boia le mette una cuffia bianca sui capelli e le aggiusta una ciocca che non era a posto. Lei ringrazia. Lei prega. Vediamo la spada che si innalza nell’aria, che si abbassa e poi solo un volo di uccelli. E un primo piano del volto di lei, invaso dallo stupore.
Nella scena finale il re, che intanto ha già disposto nuove nozze, che si è immerso in uno stagno dichiarando che quella era la fonte della giovinezza, che, se possibile, è diventato ancora più disumano e che a più riprese ha guardato una coppia di cigni che nuotavano lenti e maestosi nel laghetto del suo giardino, è seduto da solo a tavola.
Una tavola lunghissima, addobbata.
Arrivano i cuochi con una strana portantina coperta di veli.
Ci viene da pensare che sta per essergli servita la testa di Anna, è già successo con quella del Battista al banchetto di Erode, mica ci stupiremmo.
E invece tutto è più sottile.
Il re dice anche la preghiera. Poi dà l’ordine di aprire le cortine.
E appare, fra gli applausi, un cigno.
Noi lo sappiamo, che è filologico, quelli mangiavano i cigni come noi mangiamo il pollo.
Ma.
Lui strappa un’ala all’uccello e scopre un pasticcio di carne nel quale affonda le dita, come se fosse il cuore di lei.
Si riempie la bocca della pietanza, mangia con le mani come si mangiava all’epoca, è sporco di quel cibo che ci fa orrore, lo sguardo è quello di un vampiro alle prese con un pasto cruento al punto giusto, pensa di essere stato tradito, no?, inoltre non ha avuto il suo fondamentale erede maschio, dobbiamo pure capirlo.
Mentre la narrazione trionfa e ci terrà inchiodati alla poltrona per altri diciotto episodi, ci chiediamo come sarà la vita di corte senza Anna, senza il suo fascino, la sua malia, i suoi incanti.
E il motto della giovane donna (dobbiamo trovarci tutti un motto), a questo punto, è ciò che ci strazia più dell’attesa del carnefice e della condanna a morte.
Qual era?
The Most Happy, La Più Felice.
A vedere come è andata, non si direbbe.