Il Lunedì dell’Angelo. Ritorno alla casella di partenza, ma avendo fatto un viaggio bellissimo.
Duccio ci accoglie nuovamente nel grande abbraccio della sua Maestà, dalla quale siamo partiti per ricordare la Domenica delle Palme e ci conduce per mano al sepolcro di Cristo, dove non c’è più un corpo ma ci sono, invece, i segni di un prodigio.
E questi segni sono tutti interpretati da una presenza non del tutto terrena, anzi e più probabilmente, celeste.
Così celeste da avere due bellissime ali ben visibili, che gli servono per percorrere i cieli e per tornarvi dopo qualche sporadica discesa dalle nostre parti.
Eppure, nonostante l’apparente fragilità di questa creatura angelica, fatta più di luce che di carne, essa è stata capace di rotolare la pietra del sepolcro.
E ci si è seduta sopra.
Donnette. Donnette davanti a una cosa più grande di loro, che non capiscono e che le spaventa. Donnette di quelle che si muovono sempre tutte insieme, così si fanno forza una con l’altra e possono pure chiacchierare.
Comunque, pie.
Il tema delle Pie donne al sepolcro, o Tre Marie, compare in tutti e quattro gli Evangelisti che, però, non concordano sulla loro identità. Tutti dicono invece che esse si sono recate alla sepoltura di Cristo con dei vasi di mirra, che sarebbe servita per imbalsamarlo.
Come abbiamo visto, questo soggetto ha sostituito per secoli quello della Resurrezione, non presente nelle Scritture, finendo poi per essere inglobato nella narrazione.
Qui siamo davanti al capolavoro di Duccio, d’accordo, a uno dei suoi capolavori, però qui la tensione è talmente alta che ci viene voglia di escludere tutto il resto.
Siamo sul verso della grande pala dipinta per il Duomo di Siena e consegnata nel 1311 e siamo alle prese con una tavoletta doppia, ovvero con due scene inglobate nella medesima sezione. Sotto, Cristo discende al Limbo, sopra ci sono loro.
Lo stupore riempie la visuale e condiziona ogni movimento. A sinistra, come un corpo solo, le tre donne arretrano istintivamente, chiuse nei loro mantelli dai colori splendidi, con le aureole che si urtano, la mano di due di loro che accenna un gesto convenzionale di protezione, una distanza mentale che più volte è stata messa in evidenza da chi di storia dell’arte se ne intende.
Di questo si tratta, infatti.
Le scena è ristretta, è ovvio che si sta l’uno di fronte alle altre, però fra l’angelo il cui «aspetto era come di folgore» e la cui veste era «bianca come la neve» e le pie donne è come se ci fosse un abisso.
Cominciano a dircelo i colori, che abbiamo già citato, vivaci e concreti quelli femminili, ridotti a un bianco assoluto impregnato di luce quello unico dell’angelo.
(Però lui ha le calze rosse e le ali bicrome, insomma, uno sforzo per completare lo splendore della veste lo ha fatto).
Ma ce lo dice anche la struttura dello spazio e in un artista che abbiamo già definito bizantineggiante e aulico, quindi che si occupa di tutt’altro. Eppure Duccio mette in scena un paesaggio roccioso, con il pendio obliquo della montagnola ripreso dall’obliquo dell’andamento del coperchio del sarcofago.
E su di esso è seduto l’angelo, lui, a suo agio, e indica pure con il dito il vuoto che ha lasciato Cristo: «Egli non è qui perché è risuscitato come aveva detto».
Lo aveva detto, d’accordo, però lo spavento sta tutto lì, come si fa a dominarlo. Ma è mescolato a una grande gioia, al punto che, prese da fretta, sentimento sempre molto femminile, le tre donne corrono a dare l’annuncio.
I capi dei sacerdoti, cui le guardie avevano raccontato l’accaduto, decidono di diffondere la versione che siano stati i discepoli, di notte, a portarsi via il corpo e danno anche «una forte somma di denaro ai soldati» perché tacciano.
Buon per loro.
Però ci hanno pensato i nostri artisti a raccontare come sono andate veramente le cose, come il prodigioso Figlio di Dio abbia fatto su di sé il prodigio più grande, tornare in vita dopo che tutti l’avevano visto morto e cominciare da lì una storia che a ogni primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera si rinnova, rinnovando anche in noi ogni possibilità di tutti i desideri e di tutte le speranze.