Arte e cinema (page 8 of 9)

Insieme perché hanno entrambi a che fare con l’immagine. L’arte, semplicemente, il mio lavoro, la professione amatissima, ciò cui mi dedico in modo completo e totale. Vi racconto la mia arte, così come la vivo, la studio, la diffondo. Il cinema, ve lo dico subito, ciò che farò nella mia prossima vita, non appena mi sarà data la possibilità di scegliere: critico o sceneggiatore, poco importa, l’importante sarà stare in una sala buia, accomodata in una accogliente poltrona, con fuori il mondo con tutti i suoi fastidi. Oppure davanti a uno schermo o a una pagina bianca, inventando situazioni e vite alternative, per me e per gli altri.

IL PARADOSSO DEL SAPORE DELL’ACQUA

Francisco Zurbarán, Una tazza d’acqua e una rosa, 1630

I Sapori dell’arte, 3. Lunedì 9 aprile 2018: Il Sapore dell’acqua

(La più bella rappresentazione dell’acqua che abbia mai visto è quella che vi metto in apertura, la natura morta di Francisco Zurbarán che ha probabilmente un significato mistico, acqua come purezza della Vergine, ma che si regge anche senza interpretazione alcuna, solo per la rigorosa e assoluta bellezza di una tazza e di una rosa messe l’una accanto all’altra).

«Nelle normali condizioni di temperatura e pressione l’a. si presenta sotto forma di un liquido limpido, inodore, insapore, incolore».
Eccomi sistemata ancora una volta.
A rimettermi al mio posto ci ha pensato la Treccani, che va avanti per pagine e pagine spiegando che cosa è l’acqua.
Che io voglia, poi, fare una lezione sul sapore di un liquido per definizione insapore, mi sembra, a occhio e croce, un’altra di quelle cose che si trasformano o in un vicolo cieco dal quale non si esce o in un muro contro il quale si va sonoramente a sbattere.
Comunque, ci provo, a orientarmi.
Con questi risultati. Continua a leggere

CON SPAVENTO E GRANDE GIOIA

Duccio, Le Tre Donne al Sepolcro

Il Lunedì dell’Angelo. Ritorno alla casella di partenza, ma avendo fatto un viaggio bellissimo.
Duccio ci accoglie nuovamente nel grande abbraccio della sua Maestà, dalla quale siamo partiti per ricordare la Domenica delle Palme e ci conduce per mano al sepolcro di Cristo, dove non c’è più un corpo ma ci sono, invece, i segni di un prodigio.
E questi segni sono tutti  interpretati da una presenza non del tutto terrena, anzi e più probabilmente, celeste.
Così celeste da avere due bellissime ali ben visibili, che gli servono per percorrere i cieli e per tornarvi dopo qualche sporadica discesa dalle nostre parti.
Eppure, nonostante l’apparente fragilità di questa creatura angelica, fatta più di luce che di carne, essa è stata capace di rotolare la pietra del sepolcro.
E ci si è seduta sopra.

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LE FASCE PER TERRA, IL SUDARIO PIEGATO IN UN LUOGO A PARTE

Giovanni Bellini, Resurrezione, 1475-79, part.

La Resurrezione. L’hanno chiamato quel seduttore.
Ora, sedurre non significa del tutto quello che pensiamo noi. Significa, a essere precisi, ‘Distogliere dal bene con lusinghe e allettamenti, traviare sviare, indurre in errore, in colpa‘.
Questa è la Treccani, saprà quello che dice.
La pensano così i capi dei sacerdoti e i farisei: «…ci siamo ricordati che quel seduttore, mentre viveva ancora, disse: ‘Dopo tre giorni risusciterò’».
Allora Pilato ordina che il sepolcro sia custodito «fino al terzo giorno», perché i discepoli non vengano a imbrogliare e a portarsi via il corpo, «così l’ultimo inganno sarebbe peggiore del primo».
Ci saranno delle guardie, ci sarà sorveglianza.
Dunque, erano andati  «ad assicurare il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia».
Ma non servirà a niente.
Perché, come si dice, ‘Non c’è porta che resista a gatto o a amante’.
Figuriamoci se una pietra, per quanto grossa, può resistere alla furia di riscatto trionfale del Figlio di Dio.
Infatti.

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PERCHÉ NON SANNO QUELLO CHE FANNO

Antonello, Ecce Homo, 1475

Il Venerdì Santo. La delusione.
La paura, le botte, gli sputi, gli insulti, i capelli tirati, lo scherno, il sudore, il sangue, il dolore. Il tradimento, il rinnegamento.
Ce ne sono di motivi, per stare male.

Giovanni Bellini, Pietà, 1455

A poco serve che Giuda si penta e restituisca i trenta denari. I capi dei sacerdoti e gli anziani li prendono, sì, però non li mettono nel tesoro delle offerte (sono sporchi di sangue), bensì ci comprano un campo per seppellirci gli stranieri.
Giuda va a impiccarsi.
(Se c’è una qualità dei Vangeli, quella è la secchezza della narrazione, nessuno sbrodolamento, le parole sono sempre limpidissime).
Giuda si toglie di mezzo e Cristo compare davanti a Pilato.

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L’ANIMA MIA È OPPRESSA DA TRISTEZZA MORTALE

Ghirlandaio, Cenacolo di San Marco, 1486, part.

Il Giovedì Santo. Il ritmo del tempo si fa serrato e gli avvenimenti si succedono, come è giusto che sia nel momento in cui è in vista la fine.
Tutto è concitato, c’è ancora tanto da fare, presto, perfino le parabole, quel modo diretto e sintetico di insegnamento, diventano  più suggestive.
Voi pensate solo a quella dei talenti: ‘Poiché a chiunque ha, sarà dato ed egli sovrabbonderà’.
(Non diciamo pure noi che piove sul bagnato?)
E allora sono accolti dal padrone, quando torna, i servi che avevano fatto fruttare il denaro che avevano ricevuto. Quello che aveva avuto prima della partenza un solo talento e lo aveva sotterrato viene gettato fuori nelle tenebre e chiamato malvagio e inutile.

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UN’ASINA LEGATA E UN PULEDRO CON ESSA

La Domenica della palme

Duccio, Ingresso di Cristo in Gerusalemme, 1311, part.

Ce n’è una, fra tutte le rappresentazioni dell’Ingresso di Cristo a Gerusalemme, più bella delle altre. Oppure, forse, che sembra più bella a me perché mi sta più a cuore.
Parlo di quella di mano di Duccio, che sta sul postergale della Maestà che l’artista dipinse su tavola per l’altare maggiore del Duomo di Siena e che consegnò nel 1311, dopo tre anni di lavoro.
Fu un avvenimento di portata eccezionale, la città voleva, certamente, onorare la Vergine, che ancora oggi la protegge, ma anche affermare la sua ricchezza e la sua potenza, il tutto con una destinataria non difficile da individuare, visto che l’acerrima nemica era Firenze.
Erano, quelli, anni in cui il sogno di superare in grandezza l’avversaria cullava ancora i senesi, prima che la peste del 1348, quella raccontata da Boccaccio, spazzasse Siena via dalla storia.

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UNITED COLORS, 4: GRIGIO, GRISETTE, GRISAILLE

Picasso, Guernica, 1937

‘Solo gli idioti parlano male del grigio’.
Come Arthur Rimbaud ha immaginato il colore delle vocali (A, nera; E, bianca; I, rossa; O, blu; U, verde), così è possibile immaginare il colore di un paese. Lo sostiene in un film (Robert Guédiguian, Le promeneur du Champ de Mars, 2005) il Presidente Mitterrand, più o meno l’ultimo monarca di Francia.
E aggiunge che il colore della Francia è il grigio, che è bellissimo, fatto com’è di mille sfumature: ‘il grigio profondo dei tetti, il grigio gioioso della lavanda di Provenza, il grigio verde della Champagne, il color cadavere della Grande Guerra’.
Incalza Michel Pastoureau: ‘il grigio è il colore che preferisco. Come è il colore preferito di parecchie decine di migliaia di persone nel mondo’.
D’un colpo, ecco spazzato via, e autorevolmente, il luogo comune secondo il quale il grigio sarebbe un colore non amato.
Personalmente lo amo moltissimo, nella mia graduatoria privata lo metto dopo il nero e il rosa e prima del blu e dico subito che potrei vivere senza cinema a colori e solo di fotografia in bianco e nero.
Considerando che i colori sono di rado (diciamolo, quasi mai) sinceri (ogni riproduzione di un’opera di pittura è falsa e solo la visione diretta dell’originale può dar conto di quelli che sono i suoi veri colori), potrebbe essere un’idea quella di tornare, per esempio, ai vecchi sistemi di studio della storia dell’arte, quando le immagini a colori erano rare e quando la riproduzione in bianco e nero apriva la strada all’attesa dell’incontro, che, non appena ci fosse stato, sarebbe stato, esso sì, una rivelazione e un incanto.
Ma cominciamo dal cinema.
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AMATE LA STORIA DELL’ARTE

Henri Matisse, Le bonheur de vivre, 1906

Si studia poca storia dell’arte, oppure non la si studia affatto, visto che, invece di metterne di più, è stata anche eliminata, per esempio, in quelle scuole (grafica, moda) in cui sarebbe indispensabile.
Sogno sempre di trovarmi a cena seduta accanto a colui che ha fatto questa bella pensata, avrei un paio di cose da chiedergli.
Senza storia dell’arte la città è muta, i viaggi sono spostamenti insopportabili, i musei dei luoghi di punizione, non parliamo nemmeno delle chiese, che pure sono posti dove, per forza di cose,  la spiritualità è intensa; esse diventano libri scritti in una lingua incomprensibile.
Amate la storia dell’arte, frequentatela, fate in modo che entri nella vostra vita, certo, l’arte è intimidente, però la storia dell’arte serve proprio a raccontarla, voi pensate, la dimensione in cui l’immagine incontra le parole, ditemi se c’è qualcosa di più bello.
Nella storia dell’arte c’è tutto il resto, la letteratura, la poesia, la musica, la matematica, la filosofia, il cinema e via elencando, amate la storia dell’arte e avrete in cambio le chiavi per capire (un po’ di più) il mondo.
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UNITED COLORS, 3: CON IL NASTRO ROSA

L’hors-d’oeuvre: Diego Velázquez, Venere Rockeby, 1650, part.

Con il rosa, la prima cosa da fare è togliere di mezzo Barbara Cartland, Barbie e l’industria tossica che hanno messo su, l’una e l’altra.
Fatto.
E ora possiamo occuparci seriamente di uno dei colori più belli della nostra tavolozza.
Fra l’altro, io, il rosa, ce l’ho nel nome, dunque ci ho fatto amicizia.
Mi piacciono pure i profumi che hanno sentore di vaniglia, quindi, mi pare di aver capito che nella vita qualcosa di dolce si può pure esprimere, e tutto senza cadere nella melassa.

È sempre una questione di equilibrio e l’equilibrio del rosa, audace quanto niente altro per ciò che abbiamo detto, ce lo suggeriscono ancora una volta gli artisti.
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UN ANGELO ALLA MIA TAVOLA

Vi racconto chi avrebbe potuto bere nei miei bicchieri

London Bridge e il Tamigi, Londra, 1840

L’antefatto: dopo un incidente domestico, la rottura di un bicchiere dei primi del ‘900, ho pensato bene di consolarmi. Ho cercato in internet e ho trovato quello che faceva per me: ‘A harlequin set of antique Champagne Flutes’. Il set è arlecchino perché non è un vero servizio, ogni bicchiere sta per suo conto, tutti, però, si capisce che fanno parte della medesima famiglia.
Meglio cugini che gemelli, c’è più assortimento.
L’harlequin set è datato al 1840 ed è arrivato ieri confezionato in un pacco molto professionale, carta velina e plastica con le pallette dappertutto, biglietto da visita, piccola nota di expertise scritta a mano su un foglio.
Mentre aspettavo i miei bicchieri e preparavo loro la culla, cioè un posto nell’armadio, mi è venuto in mente che avrei potuto tentare di ricostruire per ciascuno di loro una storia, raccontando a voi e a me stessa chi avrebbe potuto berci prima che arrivassero a destinazione, ovvero alla mia tavola.

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