Arte e cinema (page 7 of 9)

Insieme perché hanno entrambi a che fare con l’immagine. L’arte, semplicemente, il mio lavoro, la professione amatissima, ciò cui mi dedico in modo completo e totale. Vi racconto la mia arte, così come la vivo, la studio, la diffondo. Il cinema, ve lo dico subito, ciò che farò nella mia prossima vita, non appena mi sarà data la possibilità di scegliere: critico o sceneggiatore, poco importa, l’importante sarà stare in una sala buia, accomodata in una accogliente poltrona, con fuori il mondo con tutti i suoi fastidi. Oppure davanti a uno schermo o a una pagina bianca, inventando situazioni e vite alternative, per me e per gli altri.

QUESTO SENTIMENTO DELL’ESTATE, 2: VERSO MATISSE 4/4 LA FINESTRA APERTA

Henri Matisse, La finestra blu, 1913

 

 

 

 

 

 

 

 

La felicità di vivere.  Quattro incontri dedicati a Henri Matisse  3/4
lunedì 4 lunedì 11 lunedì 18 e lunedì 25 giugno 2018
ore 18:00 – 19:00
Saletta di via Gaspare Spontini 17 00198 Roma

A casa mia ci sono 5 finestre + 1. La finestra +1 potrebbe fare la sua figura nel film Medianeras, che parla, appunto, di piccole finestre, quelle aperte in maniera non del tutto regolare sul retro delle case, su quelle grandi superfici inutili che di solito servono per affiggere quegli enormi manifesti pubblicitari. Queste superfici inutili danno il titolo al film.
La mia finestra +1 misura 45 x 30 e per trovarle una maniglia di apertura proporzionata ho girato tutta Roma, impiegando circa un mese e disperandomi di frequente.
Sul suo davanzale, che è molto profondo, praticamente ha lo spessore del palazzo, c’è un cilindro di cristallo con dentro dei sassi e una candelina, che accendo tutte le sere quando comincia a fare notte.
È un rito e un orientamento nel buio. Le prime volte andavo anche a vedermela, praticamente facevo il giro del palazzo, come fanno quelli che portano a spasso il cane, solo per ammirarla luccicare nel tramonto.
Ora accendo la candelina in automatico.
La mia finestrella è del tutto regolare, almeno immagino, visto che ce l’ho trovata, anche se è diventata così bella solo da quando ho trasformato la piccola stanza (m 2 x 2) che la ospita nel mio guardaroba, con alle pareti la carta da parati inglese e il legno dipinto in gris photographique, colore che ho scelto anche per il nome.
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VERSO MATISSE 3/4: VOLEVO FARE L’ODALISCA

Henri Matisse, Odalisca allungata, 1926

La felicità di vivere.  Quattro incontri dedicati a Henri Matisse  3/4
lunedì 4 lunedì 11 lunedì 18 e lunedì 25 giugno 2018
ore 18:00 – 19:00
Saletta di via Gaspare Spontini 17 00198 Roma

Avessi sbagliato tutto.
Avessi fatto meglio a fare la mercenaria, l’avventuriera, la spia tipo Mata Hari.
L’odalisca.
Ma che fa esattamente un’odalisca? Nel mio immaginario, niente. E sta pure segregata nell’harem, cioè solo insieme ad altre donne, praticamente, non essendo io mai stata in un collegio, la vendetta della vita che poi ti infila in un pollaio.
La noia sconfinata e perenne, peggio delle vacanze in montagna, peggio dei pomeriggi interminabili di agosto ad aspettare che qualcosa succeda, fosse pure la riapertura della scuola, peggio di Napoleone a Sant’Elena, guardatevela su un atlante, 16 chilometri di lunghezza e 12 di larghezza, ci puoi fare il giro completo in bicicletta anche tre volte al giorno.
L’incubo del deserto e del nulla.
Per noi gente di azione, la punizione più grande.

Raffaello, La Fornarina, 1518

Pura fantasia maschile, che ha trasformato la schiava addetta al servizio in tavola e in camera in Turchia in un sogno di pigrizia e godimento, l’odalisca percorre a modo suo, voluttuosamente, tanta storia dell’arte.
Tutta colpa di Raffaello, che non so come ci sia arrivato, visto che stava fra Urbino e Roma, certo, posti esotici, ma bisogna vedere in che senso.
Ma lui ci è arrivato benissimo.
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VERSO MATISSE 2/4: AVERE LA STOFFA

Henri Matisse, L’atelier rose, 1911

La felicità di vivere.  Quattro incontri dedicati a Henri Matisse  2/4
lunedì 4 lunedì 11 lunedì 18 e lunedì 25 giugno 2018
ore 18:00 – 19:00
Saletta di via Gaspare Spontini 17 00198 Roma

Gli incontri sono importanti, lo sappiamo.
Quelli con una persona, con un animale, ma, direi, anche con un film o con un libro.
Qualche tempo fa, dunque, mi misi a leggere un romanzo, un’autobiografia di una giovane donna che raccontava, togliendosi la pelle, tutte le sue dipendenze: dalla cocaina in primo luogo; da un uomo più vecchio di lei di parecchi anni, un editore potente, coltivato, che l’avrebbe fatta soffrire molto, ma anche molto aiutata professionalmente; dalla moda e dal lusso.
Non ho mai avuto una relazione con un uomo molto potente e nei confronti della cocaina e della moda provavo, all’epoca, un sentimento di indifferenza che sconfinava nel fastidio.
Ma la narrazione era avvincente, la scrittura, magnifica e caddi come Alice nel buco (non so mai se per caso non fosse altro, per esempio la tana del coniglio) in quell’esistenza.
Decisi, così, di vedere se per caso non ci fosse qualcosa di interessante.
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VERSO MATISSE 1/4: LET’S DANCE

Henri Matisse, La Danza II, 1910

La felicità di vivere.  Quattro incontri dedicati a Henri Matisse  1/4
lunedì 4 lunedì 11 lunedì 18 e lunedì 25 giugno 2018
ore 18:00 – 19:00
Saletta di via Gaspare Spontini 17 00198 Roma

Allora una volta, in un momento naufrago e nomade della mia esistenza, decido di iscrivermi a un corso di salsa. Lo faccio perché ho trovato un volantino infilato sotto il tergicristallo della macchina e credo nei segni e perché voglio fare questa esperienza antropologica, un po’ come quelle giornaliste che, per capire le condizioni di lavoro delle imprese di pulizia, si fanno assumere in incognito, si svegliano tutte le mattine alle quattro e  impugnano sul campo scopettone e straccio.
È dall’interno che si capiscono le cose, mica a passare le giornate davanti allo schermo di un computer.
Così, il giorno dell’inizio del corso, mi presento puntuale nella palestra segnalata sul volantino e faccio la conoscenza dell’uomo più volgare che abbia incontrato in vita mia: il mio maestro di ballo.
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SAPORE DI FORMAGGINO = SAPORE DI MAMMA

I Sapori dell’arte, 10. Lunedì 28 maggio 2018:  Sapore di  formaggino = Sapore di Mamma

Un amico viene a una delle mie lezioni dei Sapori d’arte e quando io, scherzando, dico Sapore di mamma, lui ribatte Sapore di formaggino.
Praticamente, il titolo di quest’articolo è suo. Meglio, è della pubblicità del Formaggino Mio, ma va bene lo stesso. Lì per lì ho detto ma per carità, poi ci ho dormito sopra e il giorno dopo ho chiamato l’amico al telefono e gli ho detto d’accordo, stavolta mi occupo di questo.
Però tu sei il responsabile e te ne assumi la paternità.
Tuttavia, in un momento storico in cui la maternità è ostentata, rincorsa, sottoposta a pratiche inedite, talvolta bizzarre, altre, aberranti, partirei da alcuni chiarimenti.
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SAPORE DI MARE

Gustave Courbet, les Bords de mer à Palavas, 1854

I Sapori dell’arte, 9. Lunedì 21 maggio 2018:  Sapore di mare

«Dentro il tuo mare viaggiava la mia nave / dentro quel mare mi sono immersa e nacqui…» (Patrizia Cavalli)

Non mi piace il mare.
Sabbia, scogli, tutto quel sole a rovinare la pelle, vita senza orari, fumo, alcol, gente da tutte le parti, quando ritorni dalla vacanza sei più stranito di quanto eri stranito quando sei partito.
Ciò non toglie che, però, mi piaccia il mare d’inverno, e che io trovi nell’arte dei mari di fronte ai quali vorrei trovarmi, e che io possa affrontare il  Sapore di mare senza sentirmi fuori posto.
Fra l’altro, il tema me lo sono scelto, non fosse altro che per completare la strofa.
Dopo il Sapore di sale , ecco, dunque il Sapore di mare.

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SAPORE DI MASCHIO

Jacques-Louis David, Il giuramento degli Orazi, 1784

I Sapori dell’arte, 7. Lunedì 7 maggio 2018:  Sapore di maschio

Calzini.
Ogni volta che vedo questo dipinto, bellissimo, ogni volta che me lo guardo per conto mio, che lo illustro in una lezione o in una conferenza, penso a quella povera donna con quattro maschi in casa, quanti calzini deve lavare tutti i giorni.
Una volta una persona mi ha interrotta in una situazione pubblica e mi ha fatto notare che gli uomini del quadro avevano sandali ai piedi nudi.
Che dovevo fare?
Ho fatto finta di stupirmi, non ci avevo mai fatto caso.
(È incredibile quanta poca fantasia e quanta scarsa capacità di prendere il volo, fosse pure almeno attraverso l’arte, ha la gente).
Roma, anno 1784, autunno.
Jacques-Louis David è al suo secondo viaggio in Italia, è già stato a Roma per studio tra il 1775 e il 1780.
Ora vuole tornare a immergersi nell’antico per realizzare Il Giuramento degli Orazi. Vuole iniziare la sua carriera pubblica  «par un coup d’éclat», ovvero con una clamorosa, sbalorditiva, incontenibile botta di teatro.
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1° MAGGIO: IL SAPORE DEL LAVORO

Riso amaro, Giuseppe De Santis, 1949, con Silvana Mangano

I Sapori dell’arte, 6. Lunedì 30 aprile 2018:  Il Sapore del  lavoro

Una delle domande che faccio più spesso alla gente è: «Ti (le) piace il tuo (suo) lavoro?».
La risposta più cretina che spesso ottengo è: «È un lavoro come un altro».
Cambio di scena.
«Ti (le) piace tuo (suo) marito?»
«È un marito come un altro».
Rendiamoci conto.
Vale lo stesso per la moglie, per l’appartamento, per il figliolo, il cagnolino o il micetto e, diciamolo, pure per la macchina?
Non mi sembra.
Dunque, proviamo a riflettere sul lavoro e a dargli un sapore, che potrebbe essere dolce ma anche amarissimo.
E cominciamo con Baudelaire, che sull’argomento la sapeva lunga.
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LADIES FIRST

 

Fernand Khnopff, Des caresses, 1896

I Sapori dell’arte, 5. Lunedì 23 aprile 2018:  Sapore di donna

Una conoscente mi aveva dato il numero di telefono.
La donna, amica della madre, era una specie di sensitiva, che si esprimeva attraverso le carte. Aveva capacità medianiche, per esempio, prima che lui stesso lo sapesse, aveva fatto una brutta diagnosi al marito di Cecilia.
Il fatto era che lei sentiva una specie di fuoco che le divorava la parte del corpo corrispondente a quella affetta da una patologia della persona che le stava davanti.
Io mi ritengo figlia della Ragione e dei Lumi tutti, però quella volta ero veramente confusa e mi dissi o ci vado adesso, o non ci vado più.
Appena entrata, la cartomante mi fece sedere al tavolo davanti a lei, era una donna anziana e affabile.
Mi mise davanti il mazzo delle carte, appena lo toccai lei mi guardò dritto negli occhi.
E lo disse: «Lei fa un mestiere che ha a che fare con l’arte».
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FRA NOIA E SPLEEN

Georges Seurat, La Parata del Circo, 1888

I Sapori dell’arte, 4. Lunedì 16 aprile 2018: Il Sapore della maschera e del circo

Dopo l’avventura in campagna…si è fatta strada in lui, mezzo in sogno, l’idea che l’avventura sarebbe stata splendida se fosse stato mascherato. (Hugo von Hofmannsthal, Andrea o i ricongiunti,  1932)

Da un pezzo volevo cimentarmi con l’argomento e anche con questi sentimenti, che mi stanno a cuore.
Ho cercato di spiegare lo spleen ai miei studenti la settimana scorsa, volevo partire dalla milza e dall’umore che secerne, responsabile secondo gli antichi di uno stato d’animo turbato, malinconico, letterario.
Al posto della noia, poi, avrei preferito l’ennui, se non altro perché tante immagini vengono dalla Francia, però anche la nostra noia, così storicizzata e coltivata, funziona.
Metto, comunque, insieme la commedia dell’arte con le sue maschere e il circo perché nell’una e nell’altra di queste attività, che vorrebbero essere di intrattenimento gioioso, c’è, sotteso, questo sentire, ben visibile all’occhio dell’artista, che si identifica, illustra e si racconta.
Essendo l’uso della maschera, che è un finto volto fatto di cartapesta, legno o altro materiale, documentato fin dal Paleolitico superiore e diffuso ancora oggi in tutti i continenti (anche se non dappertutto), decido di buttarmi nel mezzo della battaglia, perché da qualche parte devo pure entrarci.
E di attaccare  con Venezia, che di maschere se ne intende.

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