Guardate che vi hanno ingannato.
Vi hanno raccontato cose che non esistevano.
Vi hanno dato spiegazioni insensate.
Vi hanno consolato inutilmente.
Un’intuizione, del resto, io ce l’avevo avuta. Tempo fa, davanti a uno che non capivo che mestiere facesse.
Ora, se uno si presenta e ti dice faccio l’avvocato e sono penalista, tu capisci che quello lavora con gente che sta al gabbio e che ha cose di sapore forte da raccontarti.
Capisci che quello porta le casse al mercato all’alba; che quell’altro gira i barattoli di pomodoro dalla parte dell’etichetta al supermercato; che quello vende telefoni; che quell’altro insegna, cioè spiega le cose che sa, e certe volte pure quelle che non sa, a ragazzini di età diverse.
Eccetera.
Ma quello che si presenta come marketer, nella sostanza, che fa.
E quello che organizza eventi.
E quell’altro che sta nella comunicazione.
E lo psicologo, al quale la gente dà dei soldi per parlare e quello di solito non è che capisca del tutto quello che gli stai dicendo.
Tutte menzogne.
Non è vero niente.
Ma non è come pensate voi.
O come vi hanno fatto credere che fosse.
Mica ci voleva tanto a capirlo.
Forse la cosa, addirittura, vi consola, anche se non è che vi risolva la situazione.
Insomma.
Quelli (e quelle) che sembrano tenere in piedi dieci relazioni in contemporanea (la sola idea mi fa fatica) o il piede in tutte le scarpe della scarpiera; quelli (e quelle) che vanno e vengono, scompaiono, ritornano ammaccati come fanno i gatti dopo che sono stati fuori tutta la notte, come fanno gli zombi che sembrano arrivare dall’aldilà (e dove volete che fosse uno zombi), come fanno i mariti che tradiscono le mogli e stanno in libertà vigilata, insomma, tutta questa gente così moderna, che modernamente viene male a patti con i sentimenti, che ti vuole, non ti vuole più, sente la tua mancanza, poi sta benissimo se non ti vede per anni, ti cerca, smette di cercarti, ricompare tastando il terreno con un educato «Buongiorno» in forma di WhatsApp, e certe volte manco si capisce chi è perché il numero non sta più in memoria, insomma, tutti coloro con i quali abbiamo relazioni sfilacciate, slabbrate, indecifrabili, non possono fare diversamente.
Credetemi.
Non lo fanno per cattiveria, perché sono immaturi, perché cercano sempre altro, perché hanno una relazione fissa con uno (una) che controlla a fasi alterne.
Niente di tutto questo.
Non è vero che il barometro dei sentimenti è al fluido slentato, quello lo dicono i sociologi.
(E pure i sociologi, nella sostanza, non si capisce che cosa facciano).
Tutti costoro sono infiltrati che vivono sotto copertura, gente con più identità, di professione trasformisti, scompaiono per anni perché stavano in Siria a fare il professore di lingua e letteratura sotto falso nome, con documenti falsi, false carte di credito, un numero incalcolabile di telefoni portatili e una missione da compiere.
Poi, però, ritornano a casa.
E vi cercano perché hanno sentito la vostra mancanza e con dispiacere non possono raccontarvi niente.
Quindi, voi niente dovete chiedere.
Come ho fatto a capire tutto questo, io che già avevo dei sospetti.
Perché sto vedendo una serie.
Una serie bellissima.
E finalmente mi sono affrancata dagli americani, ma come è potuto non venirmi in mente prima, come posso, io che considero gli americani dei selvaggi, non essermi staccata in tempo da loro.
È andata che ho digitato in francese sulla barra di Google le serie tv più belle e che non ho avuto dubbi e mi sono fatta arrivare Le bureau des légendes.
Le bureau è l’ufficio, e grazie tante.
Le légendes sono le false identità.
Vi presento i protagonisti.
Se vi è capitato di incontrarne uno, adesso sapete perché ogni tanto spariva.
E se vi sembra di aver già visto da qualche parte quello in primo piano, è perché siete come me amanti di Amélie e lui era Nino.
Un po’ invecchiato, d’accordo. Ma quanti uomini invecchiando prendono sapore.
Che cosa c’è di bello in questa serie.
Tutto.
Meglio di una americana?
Qui, fate voi.
Vi dico solo che, al di là della trama, intricatissima, nella quale devi stare attento a calarti perché queste non sono cose di cui si parla in fila al supermercato, insomma, questi sono agenti segreti, al di là della trama, nella quale mi comincio a orientare, dicevo, c’è lo stile francese.
Ovvero, per esempio: la cultura del vino.
Perenne.
Con bottiglie formidabili che sono offerte in dono come benvenuto e altre che compaiono qui è là.
Poi c’è la galanteria.
Poi c’è l’appartamento che viene assegnato al protagonista, quello che è stato sei anni in Siria come professore di francese con il nome di Paul Lefebvre, che è la casa perfetta, non solo per un infiltrato: un vecchio atelier d’artista, con la vetrata sulla strada che vi ho messo in apertura, e poi un décor che più bello non potrebbe essere, tutto è accurato, tutto è più vero del vero.
Almeno questo.
E poi c’è Parigi, quella senza un museo e senza un solo turista, ma con gli alberghi, destinati a incontri clandestini, i parcheggi sotterranei, i bistrot, la metropolitana, i pedinamenti, il GPS, doppio, così quando il sorvegliato si accorge del primo e pensa di essere stato furbo eliminandolo, entra in funzione il secondo.
E poi tanto c’è il telefono, che serve pure quello anche a localizzarti, basta che tu lo tenga acceso.
(E chi è che oggi come oggi spegne il telefono).
Insomma, la Parigi nella quale è bello vivere, soprattutto se fai l’infiltrato, visto che è una città nella quale infiltrarsi vuol dire starci dentro fino al collo.
Adesso che vi ho chiarito di che tipo sono le vostre infiltrazioni sentimentali, cospargendo di balsamo le vostre ferite, sappiate che, se non mi trovate, non è solo perché sto vedendo una serie bellissima, ma anche perché mi sono anch’io convinta a infiltrarmi, cambiando di identità ogni volta che ce n’è bisogno, confondendo le piste, imbrogliando le carte, inquinando le acque, coprendo le tracce.
Vivendo l’avventura a rotta di collo e fino in fondo.