Eric Lartigau, La Famille Bélier, 2014

A faire pâlir tous les Marquis de Sade
A faire rougir les putains de la rade
À faire flamber des enfers dans tes yeux

À faire dresser tes seins et tous les Saints…
Je vais t’aimer
Da far impallidire tutti i Marchesi de  Sade
Da far arrossire le puttane del porto
Da far divampare degli inferni nei tuoi occhi
Da far raddrizzare i tuoi seni e tutti i Santi
Ti amerò

Michel Sardou, Je vais t’aimer

La mia logopedista mi dà i compiti a casa.
L’unico che ho fatto volentieri però non è stato proprio un compito ma una risposta a quello che io le avevo detto quando ci siamo conosciute: che avevo cominciato a cercare il cinema che si era occupato della voce.
Lei è una che si emoziona, che si commuove, che ha paura a parlare in pubblico, che non distingue bene la destra dalla sinistra.
Mentre parlavamo, lei ha cominciato a commuoversi e mi ha chiesto se avevo visto La Famille Bélier, di cui lei non sapeva bene il titolo francese, che è questo e che è facile facile, molto vicino a quello italiano.
Anzi, viceversa.
Mi sono procurata il film subito, però me lo sono tenuto per l’anno nuovo, come la cerise sur le gâteau, che poi con me non funziona perché non mi interessano i dolci e tantomeno le ciliegine che ci stanno sopra.
Ma tant’è.
Però ho capito subito perché lei si era commossa e a metà film ho cominciato a commuovermi anch’io, ma sul serio, nel senso che prima sono andata a prendermi un fazzoletto dalla scatola, poi, tutta la scatola, poi non so nemmeno se ho capito del tutto quello che è successo perché le lacrime mi scendevano a fiotti e nemmeno vedevo più niente.
Mi sono asciugata gli occhi per i titoli di coda perché volevo sapere delle cose.
Io sono una con le lacrime in tasca, sono una piagnona autentica, che piange su tutto e per tutto, figuriamoci se non piango per un film così bello, delicato, divertente, inoltre un film, per me in questo momento della mia vita, così toccante.
Ora vi racconto.

In Francia fanno film bellissimi, pieni di idee.
In Italia facciamo (fanno) film inguardabili, senza nemmeno uno straccio di idea.
Insomma, sto dicendo che in Italia non sarebbe mai venuto in mente a nessuno di fare un film del genere.
In esso c’è una famiglia di quasi tutti sordi e abbiamo imparato che i sordi sono anche muti perché non hanno mai sentito parlare.
Padre burbero e orgoglioso; madre lievemente stonata e molto vivace; figlio piccolo intraprendente, diciamo che si affaccia all’adolescenza.
Tutti fanno un sacco di rumore, che tanto loro non sentono, sono caotici, si vogliono bene, comunicano con la lingua dei segni, hanno una casa molto colorata in un posto non del tutto identificato della provincia francese, diciamo un po’ a Nord.
Hanno una fattoria e allevano mucche.
Il film si apre con la nascita di un vitellino, che è tutto nero e che viene dunque battezzato Obama.
La vacca madre si chiama Loulou.
La famiglia si chiama Bélier, che in francese è l’ariete.
I Bélier producono formaggi, che vendono settimanalmente al mercato.
Di questa famiglia fa parte il quasi: che è una splendida ragazzona bionda, che non solo sente e parla, ma che, si scoprirà, ha anche una magnifica voce e un talento naturale per il canto.

Paula

La ragazza si chiama Paula, Paula Bélier, comme le mouton, dice lei quando si presenta, come la pecora.
(Anche se fra pecora e ariete, se permettete).
Lei, che è uno dei più bei personaggi che io abbia visto al cinema, fa da interprete a tutta la famiglia.
Anche con momenti esilaranti, come quando vanno tutti dal ginecologo, che ha già diagnosticato una micosi alla madre e dice che pure il padre deve mettersi la crema, altrimenti la micosi non passerà mai e il padre non è per niente d’accordo e la madre si mette a strillare a modo suo, dicendo che lei ha la vagina in fiamme e che lui non vuole mettersi la crema.
Troveranno una soluzione.
Oppure quando il padre decide di presentare la sua candidatura a sindaco del paese, senza nemmeno pensarci troppo su, perché la sordità non è un handicap ma una identità e sui manifesti, accanto alla sua fotografia, mette la scritta «Je vous écoute», «Vi ascolto».
E si preparano tutti per davvero, con lui che legge Changer de destin (Cambiare destino) di François Hollande e lei che si ripassa la vita della First Lady Jackie Kennedy.

Rodolphe & Gigi

Tutto il film procede su un filo sottile ma bello teso di finezza, passando incessantemente da uno stato all’altro, mostrando le cose dal punto di vista di chi le sente e di chi, invece, le sente diversamente.
Paula va al liceo e decide di provare a entrare nel coro perché esso è frequentato da un ragazzo carino, che viene da Parigi e ha una bella voce, quindi è uno parecchio interessante.

Gabriel

Sono tutti giovanissimi, quindi timidi e sfrontati a un tempo, pieni di timori, dicono poche parolacce e non si fanno canne dalla mattina alla sera, dunque sono vitali e vivaci, mica come i giovanissimi che conosco io.
E non sto parlando solo del turpiloquio.

Fabien

Un altro dei temi centrali nel film è quello del talento, che il maestro di canto, Monsieur Fabien Thomasson, è bravissimo a riconoscere.
Lui è un altro bellissimo personaggio, un artista sfinito dalla provincia, che non riesce mai ad arrivare a insegnare a Parigi, che dice ai suoi allievi che se non imparano con il canto a tirare fuori quello che hanno nell’anima, avranno tutti il cancro al colon.
E credo che sia vero, casomai in senso metaforico.
La scoperta della voce di Paula porta con sé scossoni e problemi, per tutti.
Per lei, che va all’esplorazione di quella che sta diventando, per la famiglia, per la quale lei è indispensabile, meno per il fratello piccolo che, saputo che lei andrà a Parigi per la selezione dei talenti a Radio France, chiede subito se può avere la sua camera.
Inoltre, il ragazzo si mette a insegnare la lingua dei segni all’amica del cuore di Paula, che è la più contenta di tutti del dono scoperto e che vuole rendersi utile alla famiglia.

Mathilde & Quentin

I due cominciano con euro e formaggio, poi, in un’altra sessione, passano a occhi, yeux,  seni, seins e capezzoli, tetons e al cambio di scena vediamo che lui è mezzo morto e lei terrorizzata e viene chiamato il medico, che è sempre il ginecologo, i paesi, si sa, hanno pochi specialisti e lui diagnostica uno shock anafilattico da lattice.
Evidentemente i due, come si dice da quelle parti, sono passati all’atto, prendendo, come si dice pure da noi, delle precauzioni.
Le esitazioni sono infinite e riguardano tutti.
Il ragazzo carino è in piena muta, quindi non potrà partecipare alla selezione dei talenti e dovrà limitarsi a interpretare con Paula il duetto di fine anno, alla presenza dei genitori e di tutta la scuola.
Ogni stato d’animo è dipinto con un pennello sottile, tutto è sfumato, suggerito, sdrammatizzato.
E la voce è al centro di tutto.
La voce come mancanza in quasi tutta la famiglia Bélier, che l’ha sostituita con una pienezza di vita che incanta; la voce di Paula, che annaspa, si blocca, non esce, esce prima contraltina, poi esplode da soprano, come tutto esplode e fiorisce in lei, che ha anche le sue prime mestruazioni mentre prova il duetto con Gabriel e non ce ne importa niente se la cosa è improbabile, visto che non si capisce come lei possa avere tutti quei seni, e quelle gambe, e non avere il suo ciclo mestruale, però noi capiamo che quello è un altro passaggio iniziatico.
E poi la voce è un carattere sessuale, differenza maschio femmina, muta del maschio, simbologia della vagina analoga a quella della gola, tutto in una donna è cavità e strumento musicale, nascosto allo sguardo, quindi difficile da indagare, dunque misterioso e oscuro.
Paula è intelligente, quasi adulta, generosa, coraggiosa, va in bicicletta pure sotto la pioggia battente, sente la musica in cuffia, non puoi non innamorartene.
Come non puoi non innamorarti di tutti gli ambienti, chiassosi, fioriti, pieni di formaggi.

Paula va a Parigi, accompagnata da tutta la famiglia, che si è convinta.
E l’arrivo nella Ville Lumière è memorabile, col furgone giallo Peugeot, con Gigi con aperta la mappa, tutti i Bélier confusi ma decisi, provinciali fino all’osso e orgogliosi di esserlo.

Il film si chiude con dei buoni presagi, ottimi per questo inizio di anno.
Paula fa la sua audizione a Radio France, presenti i genitori, per i quali lei traduce la canzone di Michel Sardou che sta interpretando.
E che cosa dice la canzone.
Che lei vola.

 
Mes chers parents, je pars.
Je vous aime, mais je pars.
Vous n’aurez plus d’enfant, ce soir.
Je n’m’enfuis pas. Je vole.
Comprenez bien, je vole.
Sans fumée, sans alcool,
Je vole. Je vole.

 (Miei cari genitori, me ne vado. Vi voglio bene, ma me ne vado. Stasera voi non avete più una bambina. Non scappo. Io volo. Capitemi bene. Io volo. Senza fumo, senza alcol, io volo. Io volo).

Un paio di cose importanti.

Paula & son Nounour

Paula che, facendo il bagaglio per andare incontro alla sua avventura, meglio, alla sua esistenza, prima esita a mettere l’orso nel bagaglio, poi cambia idea e se lo porta con sé.

La Madonnina di Lourdes sul cruscotto della macchina del maestro di canto, macchina presa in prestito dall’amante, l’insegnante di Spagnolo del liceo.

Fabien, Paula e, al centro, la Madonnina

Un mio studente indimenticato ne aveva una uguale, se la portava sempre dietro e la tirava fuori dallo zaino a ogni esame che faceva, mettendola sulla cattedra.
Con lui ha sempre funzionato, certamente funzionerà con loro.
Dai titoli di coda apprendiamo che Rodolphe diventerà sindaco.
Che Mathilde e Quentin andranno avanti nelle lezioni di lingua dei segni, e anche di altro.
Che pure Paula e Gabriel avranno altro da dirsi.
Dal film tutto apprendiamo che la vita è colorata e che è meglio se la vivi cantando, tirando fuori dalla pancia i sentimenti, che altrimenti marciscono dentro e ti fanno ammalare.
E abbiamo la conferma che la voce è importante.
Lo sanno bene gli arieti.
Come già detto qui, la mia logopedista è Ariete, di marzo.
E sono Ariete, di marzo, anche io.
Pure se a lei non piace parlare in pubblico e per me parlare in pubblico è sempre stata l’essenza della mia vita; pure se lei sta cominciando adesso a studiare il francese e, dunque, io che lo conosco un po’ più di lei, ho tenuto ad aggiungere dettagli sensibili al film che lei aveva aggiunto alla mia lista.
E, come proposito cardine del Nuovo Anno, prometto qui che con la logopedista farò di tutto per non prendermi a cornate, io non è che gli Arieti li sopporti più di tanto.
Conoscendoli.
Però stavolta farò uno sforzo.
Perché io credo nei segni e nei simboli e i segni e i simboli del film convergono tutti in un’unica direzione e sono molto chiari rispetto a un molto chiaro concetto: che si vola.
Cioè che si può cominciare a volare e che a volare si può ritornare.
E che la voce, se non te la tieni non si capisce perché al chiuso nella pancia e nella gola, ci sono buone probabilità che voli alto.
E che racconti storie e vicende e che restituisca immagini e che ti dia una mano, quella che conta, per stare non solo su un palcoscenico o su una cattedra, ma anche al mondo.