GIOVEDÌ: SORBETTI

Siate regolari e ordinati nella vostra vita, in modo da essere violenti e originali nel vostro lavoro

Gustave Flaubert

Indicativo presente. Mi sfiniscono, quelli che a tavola devono cambiare continuamente.
Una volta sono incappata in una vecchia pubblicità delle minestre in busta, con lui che diceva a lei «È così che mi piace mangiare, cambiare ogni sera menu».
È questo che ti meriti di mangiare, la minestra Arlecchino dal delicato sapore tradizionale nella quale non si capisce bene che cosa ci trovi.
La medesima punizione dei vegetariani che non vogliono cucinare le verdure e si mettono nel piatto la zuppa cosiddetta fresca, cosiddetta buona come fatta in casa, cosiddetta preparata secondo tradizione, che è poi immangiabile, pure se la addizioni con l’olio buono e se copri il sapore di mensa scolastica con una macinata di pepe.
Mi sfinisce Irina/Irene.
Dopo la cerimonia del caffè quando arriva, le prendo qualcosa da mangiare a metà mattina, però si annoia, per cui mi devo ricordare che la volta passata le ho dato la merendina ripiena di marmellata di ciliegia e che stavolta preferisce quella con il cioccolato a pezzi.
Poi i dolcetti incartati individualmente.
E le patatine in busta, quelle piccole da 25 g.
E oggi pure il bocconcino di formaggio fun con la pelle sopra che cambia di colore a seconda del sapore, sapore, poi, tu valli a distinguere, il cheddar dall’emmental e dall’edam.
Ce n’è anche uno alla mozzarella.

Io sarò anche una abitudinaria che mangia sempre le medesime cose, ma non può essere che mettersi ai fornelli o andare al reparto snack del supermercato sia un rompicapo ogni volta.
Ma perché ti preoccupi tanto.
Perché lei si occupa della mia casa.
E la mia casa mi preoccupa.
Perché una casa già è talmente complicata, che ci manca che la persona che se ne occupa si annoi mentre lo fa.
Meglio che lo faccia allegra, col pensiero di fare a metà mattina una pausa fun.

Indicativo imperfetto. Il mio edicolante di via Veneto è sempre più amaro. Tutti gli alberghi sono chiusi; dice che ogni azienda ha pronte lettere di licenziamento per il 40% dei dipendenti; dice che in tanti si sono accorti che si può far lavorare la gente da casa risparmiando costi altissimi di affitto dell’ufficio.
In effetti, se lavoro bene da casa io, che in ufficio manco devo andarci, è probabile che possano farlo anche quelli che in un ufficio ci dovrebbero stare.
La sola idea che possano venire a mancare le relazioni umane mi riempie di gioia.
Sto pensando seriamente io di non fare mai più niente in presenza. Non era vero, il bello dello scambio.
Era quello distratto e quello che ti dormiva davanti.
Era che ognuno voleva il posto dell’altro, laddove, secondo me, sarebbe stato bene avere ciascuno il proprio posto.
Era che, con i posti, accadevano cose incresciose e inenarrabili.
Era che la temperatura, come la merenda, non poteva mai essere stabile perché nessuno era mai contento.
Era che c’era il filo del proiettore che disturbava e che io da qualche parte dovevo pur metterlo.
Era che erano indecenti i ritardi alle visite guidate, con quelli che telefonavano dieci volte sentendosi rispondere sto cercando parcheggio e quelli che dicevano è l’ultima volta che vengo.
Era che era ora di finirla, ma che era difficile ammetterlo perfino con se stessi.

Indicativo passato prossimo. Sette giorni fa mi sono comprata una luccicante televisione.
Da tre mesi di calendario stavo senza.
In passato sono stata anche anni senza televisione.
Che cosa è cambiato adesso.
Niente.
Quante ore di televisione ho visto questa settimana.
Zero, come mia abitudine.
E allora che te la sei comprata a fare.
Per avere la televisione nuova luccicante e per vedere i miei film. A giudicare dai primi tre che ho rivisto questa settimana, a giudicare da come mi sono sembrati più belli e da come mi sono sembrati tutti nuovi, avrò un gran daffare per i prossimi mesi.
Forse avrò un gran daffare per i prossimi anni.

Congiuntivo presente. Questa settimana il mio Uomo-marketing ha inviato la sua Newsletter del venerdì a 5.331 persone. Aveva minacciato una modalità estiva e invece è arrivata una delle sue cose migliori, sontuosa, complessa, complicata, divertita.
Divertente.
Lui ha scritto un libro che mi sono comprata subito e che ho finito di leggere ieri. Come faccio sempre con una serie che mi piace, arrivata alla fine, ho deciso di ricominciare daccapo.
Ovvio che gli ho scritto che la deve fare finita con il marketing e abbracciare la letteratura.
Visto che scrive benissimo.
E che di spunti ne escono fuori da tutte le parti, nonostante siamo di fronte a un manuale.
Per esempio, l’amore.
Lui dice che nelle storie esiste una parte debole e una parte forte. Dice che la parte forte dispone o, almeno, crede di disporre, di succedanei, che io interpreto come sostitutivi dell’amore, che soddisfino il bisogno sentimentale.
(Se lui lo scrive in corsivo, lo scrivo in corsivo pure io).
La parte debole è schiava per propria convinzione di un monopolista (di cui è perdutamente innamorata).
(Se lui lo mette fra parentesi, lo metto fra parentesi pure io).
Dice che la parte debole non intravede alternative possibili.
Da un pezzo non leggevo cose così precise sull’amore, argomento al quale, andiamo, su, non è che si possano applicare le leggi dell’economia.
E nemmeno quelle della chimica, nonostante gli sforzi che fanno tutti coloro che sostengono che sia tutto lì.
Ma fatemi il piacere.
Ma quale chimica, ma rileggete Platone.
Ma innamoratevi.
Comunque ho scritto all’Uomo-marketing che alcune sue dichiarazioni hanno il sapore universale della grande letteratura.
E che mentre gli scrivevo stavo bevendo un rosso delle Dolomiti leggero, che avevo messo anche in frigo e che, dunque, andava giù che era una meraviglia.
E che mi piaceva molto scrivere a lui con quella bottiglia che piano piano finiva e che mi sarebbe piaciuto berla con lui.
Lui mi ha risposto dopo il consueto numero di giorni sempre a modo suo, ma un po’ più caldo.
E ha chiuso scrivendo che quella bottiglia, spera di venirsela a bere a Roma, con me.

Gerundio presente. Oggi sono andata a comprare un pesciolino nuovo.
Uno mi è morto, sono uscita che stava bene, sono rientrata tardi, sono passata un momento ad augurare la buonanotte e ho trovato quello più bello, rossissimo e con la coda a cometa, che galleggiava miseramente sull’acqua.
Per fortuna al negozio ho trovato Francesco. Che è bravo, simpatico, che ha scelto con me tutti i miei pesci rossi, che mi dice stavolta c’è un gran bell’assortimento, guardateli bene, poi mi dici quello che ti piace e io te lo prendo.
Gli ho detto che volevo un pesciolino rossissimo e che mi sarebbe piaciuto con la coda a cometa come quell’altro ma quelli con la coda a cometa erano solo piccoli di dimensioni e una cosa alla quale bisogna badare è che i pesci siano grossi più o meno uguali, è una questione di equilibrio di forze, oltre che di armonia.
Ho guardato un po’.
Ho detto «Quello».

Sorbetto Prop

Francesco l’ha pescato con il retino, l’ha messo nel boccale, lo ha controllato bene, che non avesse macchie che col caldo facilmente escono fuori nei pesci d’acqua fredda e che non sono mai un buon segno.
Me lo ha confezionato nella busta, mi ha detto che poteva stare così fino al pomeriggio.
Mi ha detto di stare attenta all’ambientamento.
Ero in macchina e ho appeso la busta al bracciolo.
Dovevo andare al supermercato a prendere un paio di cose e non volevo lasciare il pesciolino al sole.
Quindi me lo sono portato.
E l’ho presentato al banco del pesce, dove ha riscosso molto successo, con Mirella che diceva quanto è bello e Claudio che chiosava questo è sicuramente fresco.
Non ero mai stata al supermercato con un pesce vivo in busta e mi sono resa conto che era molto socializzante.
Ho incontrato anche il Direttore e gli ho detto le presento un amico.
Lui è un uomo capace di delicatezza, di questo mi ero già accorta più di una volta e allora si è messo a guardarlo con attenzione e mi ha fatto due domande.
Due domande su un pesciolino rosso di nessuna importanza.
La prima domanda era se avevo un acquario.
No, ho una semplice vasca.
La seconda era come si chiamava.
(E lui come fa a saperlo, che io do sempre un nome ai miei pesci rossi).
I miei pesci rossi si chiamano tutti Qualcosa-Prop e insieme sono i Props e i props sono gli attrezzi di scena, ma anche i complimenti e gli applausi.
Quello morto giovedì scorso era Hot Summer Prop.
Questo nuovo, rossissimo, scintillante, che oggi ha riscosso tutto questo successo, era inevitabile che si chiamasse come ho deciso di chiamarlo.
L’ho fatta corta e ho detto al Direttore: «Si chiama Sorbetto».
«Un nome bellissimo», mi ha sorriso lui da sotto la mascherina.
Con delicatezza.

Imperativo presente. La consegna era: superare se stessi. Mi ci sono messa.
Mi ci sono messa sopra pensandoci e poi decidendo di non pensarci più di tanto, tanto mi sono resa conto che ci penso continuamente.
Come fai a superare te stesso.
Me lo hanno detto poche sere fa due persone che avevano avuto un inizio di carriera sportiva nel nuoto, io dicevo ma che lagna, avanti e indietro per quelle vasche in allenamento e la cosa che mi pare di aver capito è che fare avanti e indietro in una piscina non è noioso perché stai lì e devi superare te stesso.
È capitato più di una volta anche a me di fare con i miei studenti exempla sportivi per invogliarli, di dire loro che Mennea correva pure a Natale e che quelli che fanno i cento metri e stanno chini sui blocchi di partenza è probabile che abbiano fatto i conti con l’ansia, anche perché se i conti non li hai fatti, quella ti paralizza proprio quando dovresti scattare.
Adesso ho scoperto che mi sono scocciata pure di proporre exempla sportivi agli studenti.
Anzi, mi sono scocciata degli studenti punto e basta.
E gli exempla me li tengo per me.
Dunque, mi occupo dei fatti miei e li perfeziono, li aggiusto di sapore, li curo nei dettagli.
Ho servito il mio Sorbetto più recente, l’op. 9, il 9 luglio scorso.
Ho detto vedete voi, finalmente un conto che torna: 9 e 9.
Ho preparato i gusti fino all’op. 23, che mi sono dedicata perché è la mia data di nascita: Se son rose, pungeranno.
Se non mi controllo, faccio l’elenco dei gusti fino alla prossima primavera, quando dovrebbero riaprire gli alberghi di via Veneto.
Ho già deciso che servirò un Sorbetto il 24 dicembre, che viene di giovedì e anche il 31 dicembre, che cade anch’esso il medesimo giorno.
Farò un’eccezione per il Ferragosto, che quest’anno viene di sabato. Offrirò un Sorbetto fuori catalogo che ho già chiamato Arte Party, voglio vedere se qualcuno, alla metà dell’estate, ha voglia di fare una cosa meno cretina del Pizza Party abituale.
Troverò qualcuno che abbia voglia, in date così inconsuete, di degustare i miei Sorbetti?
E che ne so.
Anche se ho già avuto alcune adesioni che fanno ben sperare, anche se la regola è che se fai le cose per bene e fai cose belle, qualcuno che di quelle cose abbia voglia, lo trovi.
Io sono un’abitudinaria e figuriamoci se mi metto contro le tradizioni e il calendario.
Ma una scommessa fra me e me l’ho fatta: scommettiamo che fino a ora è stato giovedì gnocchi.
E che fra poco sarà: giovedì Sorbetti.
Contro tutte le tradizioni e pure contro tutto il calendario.

2 Comments

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  1. Rosella, un piccolo commento solo per farti sapere che leggo sempre quello che scrivi e che spero tu non smetta mai.
    Ora che hai di nuovo un televisore, se ne avrai voglia, ti consiglio di guardare una serie girata a Gerusalemme che si intitola Shtisel e che, come fai tu, sto per vedere per la seconda volta perché non sono ancora pronta a separarmi dai personaggi.
    Ti abbraccio con l’affetto e la gratitudine di sempre

    • Rosella Gallo

      13 luglio 2020 — 22:31

      Caterina cara, ti ringrazio, della presenza, del commento e del resto. Dovrò cercare di capire come funziona la Smart TV per arrivare alla tua serie, prometto di mettermici di impegno, mica posso stare con questo dispositivo luccicante e poi vedere solo dvd, i miei, mi sembra sacrosanto aprirsi al resto del mondo. Con affetto grande e riconoscenza. Rosella

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