Temevo peggio.
Temevo la melassa, i gorgheggi, le colombine bianche, temevo pure il Principe Azzurro con la faccia da puppo.
Nel film Biancaneve e i sette nani, prodotto e supervisionato da Walt Disney nel 1937, c’è tutto questo ma c’è anche altro.
Primo lungometraggio a disegni animati, me lo ero lasciato a conclusione delle feste, in un pacchetto che comprendeva un po’ di tutto, dal drammatico al patetico, passando per il thriller e il sentimentale.
Il cinema è bello perché è vario e io voglio gustarlo tutto.
Walt Disney è il più grande narratore del secolo XX, è uno che, seppure non ha inventato i cartoni animati, ha dato loro per primo le lettres de noblesse di cui avevano bisogno per essere considerati una forma d’arte, in un periodo in cui il cinema stesso faceva fatica a essere pensato in questi termini.
Inoltre le influenze reciproche, cinema/arte, sono state analizzate, quindi i due mondi si toccano da un pezzo ed è interessante verificare come le fonti disneyiane siano tutte europee, dal gotico al Surrealismo: pittura, incisione, letteratura, ancora cinema, architettura, paesaggio, insomma, vedere un cartone animato equivale a fare una cavalcata attraverso la storia dell’arte, come sanno bene coloro che praticano l’uno e l’altra.
Walt Disney non era un uomo colto, ma aveva la passione e la curiosità dell’autodidatta e ha saputo circondarsi dei migliori illustratori che dal Vecchio Continente erano emigrati in America e che avevano con sé, dunque, le proprie radici, ampiamente espresse, anche se americanizzate con disinvoltura da quel geniale direttore d’orchestra che lui è stato.
Biancaneve costituisce una sfida e una scommessa artistica e finanziaria.
Vinte, l’una e l’altra, al punto che il film è stato premiato da un Oscar speciale l’anno successivo alla sua uscita ed è stato un enorme successo commerciale.
Nasce qui un genere che è capace di rivaleggiare con il cinema hollywoodiano.
(Per ogni lungometraggio Disney ci vogliono un milione e mezzo di disegni. Ditelo a quelli che fanno clic col mouse e hanno risolto).
Lei è quello che è.
Ispirata a Shirley Temple e a Janet Gaynor è, mettiamola così, lievemente bamboletta.
Esordisce intonando al pozzo dei desideri la canzone nella quale dichiara che vuole l’amore.
E, guarda tu, l’amore appare.
Esso
ha preso l’aspetto di un Principe tarchiato, che ha il compito di aprire e chiudere la storia, perché i due si innamoreranno e lui la cercherà per tutta la durata del film senza che noi lo vediamo, apparendo proprio al momento giusto, quando lei giace morta, vegliata dai nani, per aver dato un morso a quella terribile mela.
Già la scena del balcone è un’aperta citazione di Giulietta e Romeo, diciamo che Shakespeare è un po’ più robusto come linguaggio: «Goodnight, goodnight! Parting is such a sweet sorrow, / That I shall say goodnight till it be morrow».
(Chissà perché gli uomini non frequentano di più la letteratura inglese, avrebbero argomenti di conversazione più suggestivi).
E mi pare che i suoi uccelli fossero l’allodola e l’usignolo e non le colombine, ma che ci volete fare, erano altri tempi.
Dunque Disney si ispira anche a George Cukor e al suo Romeo and Juliet del 1936, un modello più commestibile.
Biancaneve abbiamo detto che è un po’ bamboletta, però è anche simpatica, ogni tanto fa vedere la sottana, indossa scarpette con un po’ di tacco, è quasi sempre di buon umore e conquista tutti: il cuore del cacciatore, per primo, che le risparmia la vita e che le rivela l’odio della matrigna; poi gli animali del bosco; poi i nani.
Il Principe Azzurro se l’era già messo in tasca e la resa è solo una questione di tempo.
Il film insegna alle donne a comportarsi con dolcezza, come dicono Oltralpe, le mosche non le prendi con l’aceto.
Inoltre lei, per quanto principessa, è un’ottima casalinga.
Non a caso la regina la teneva come sguattera per risparmiare sulla domestica.
E, come diceva sempre mia madre, impara a fare le cose, a farti servire fai sempre in tempo.
La casa dei nani è una dolls house.
E i nani sono degli uomini vecchi rimasti bambini: nani, appunto, calvi, con la pancia, celibi per forza di cose, uno per tutti, tutti per uno, con pulsioni erotiche nei confronti di Biancaneve che si palesano in rossori che li invadono fin sopra i capelli (dove li hanno).
Quello che oppone resistenza, un autentico misogino, è il nostro Brontolo, Grumpy in originale, che lei, in ginocchio accanto ai lettucci la sera, prega Iddio che possa volerle bene e per il quale prepara una torta, cercando di prenderlo per la gola.
Il più sfrontato è Cucciolo, il loro Dopey (= stupido), che porge la bocca e non la testa.
Lei però lo gira verso il basso, riportandolo nei ranghi.
Cucciolo, fra l’altro, non parla.
Sembra che non ci abbia mai provato.
I nani sono autosufficienti, la sera organizzano un festino con un’orchestrina nella quale loro stessi suonano, si danno alla gioia più sfrenata ballando, la loro vita sembra quella di una comunità che non necessita dell’esterno, lavorano tutti in una miniera di diamanti e a fine giornata ricoverano il prezioso bottino in un locale ben protetto, la cui chiave, però, viene lasciati in bella vista all’esterno.
I nani sono l’incarnazione del maschio nella sua accezione più sciagurata: grassi, sporchi, codardi, disordinati, russano, buttano in giro i vestiti.
Però sono sempre contenti, magari i maschi più alti fossero come loro.
Un capitolo a parte sono, come sempre in Disney, gli animali.
Il maestro non si è inventato niente, ha semplicemente guardato chi c’era stato prima di lui, Esopo, Fedro, La Fontaine, Perrault, i Grimm, Carrol, il nostro Collodi e, come loro, li ha antropomorfizzati.
Siamo tutti segnati da questa visione e tutti siamo disposti a pensare che gli animali nutrano i nostri medesimi sentimenti.
E forse è vero.
Irresistibile è la scena in cui tutti gli abitanti del bosco, che l’hanno condotta dei nani, danno una mano a Biancaneve per rimettere a posto la casa.
Con dei momenti di un’inventiva straordinaria, come quando lo scoiattolo avvolge la ragnatela sulla coda come se fosse zucchero filato.
O nel bucato, che viene lasciato agli esperti del settore: i procioni, detti anche orsetti lavatori.
Come fai a non applaudire davanti a tante risorse.
Disney, poi, non ci andava giù leggero. Nel 1943 fa stabilire un elenco di tutti i capolavori della letteratura mondiale, dalla Bibbia alle Mille e una notte.
Vuole misurarsi con tutti.
Una volta andai da una cartomante.
Autentica.
L’anziana signora era amica di famiglia di una persona che me ne parlava spesso.
Io ero in uno stato di confusione e pensai che mi avrebbe fatto bene.
Rimasi raggelata quando costei, che non mi aveva mai vista in vita sua, mi disse per filo e per segno chi ero, dalla professione al resto, e che cosa mi stava succedendo.
La sera al telefono raccontai il fatto a un amico, lucido e razionale come sono io di solito.
Lui trovò una soluzione plausibile: la cartomante ha funzionato come uno specchio parlante.
Mi sembrò più che logico.
E la feci finita con le carte.
La Evil Queen, la Regina del male, ama intrattenersi davanti a quello che ritiene sia un suo alleato.
C’è un sacco di gente che si guarda continuamente allo specchio: i danzatori, i ragazzi del parrucchiere, le donne.
Poi, però, bisogna vedere che ti dice quello quando comincia a parlare.
Certe volte sarebbe meglio non interpellarlo.
La Regina è il prototipo della femme fatale.
Cattiva, è cattiva.
Come sono cattive le donne.
Gelosa, invidiosa, furiosa, vendicativa, mastica odio e sputa veleno.
Lei è un incrocio fra Joan Crawford e la statua di Uta, sposa del margravio di Meissen, opera del Maestro di Naumburg, che Disney ha visto durante il viaggio in Europa.
Uno non vorrebbe avercela contro.
Il re, ovvero il padre di Biancaneve, non compare mai, la favola annovera pochi uomini, ci credo che il Principe ha campo libero nella conquista della fanciulletta.
La trasformazione della bella regina in strega è presa in prestito dal Dr Jekyll and Mr Hyde, romanzo gotico di Robert Louis Stevenson, che lo ha scritto in meno di sei settimane sotto cocaina.
Si capisce da tutto che Disney ha usato un materiale alto in qualità culturale, fuori asse rispetto ai primi destinatari, i bambini, che qualunque adulto può godersi nei risvolti.
Una cosa che mi ha colpito nel film è che tanti personaggi assomigliano a gente che conosco.
(E viceversa).
Casomai per via di un naso, o di un particolare vezzo.
Ebbene la strega di Biancaneve è identica al titolare della ditta che ha fatto i lavori della caldaia nel mio condominio.
Un uomo orrendo, arrogante, con un solo dente nell’arcata inferiore, che parcheggiava il suo fuoristrada platealmente nel giardino di sotto, dove è vietato.
Mi ricordo che dissi all’amministratore che quell’individuo mai avrebbe messo piede in casa mia, per via della maleducazione e dell’unico dente come quella stregaccia.
Non credo che l’amministratore afferrasse la citazione, del resto non è che di solito afferri granché.
La Strega cattiva riesce nel suo intento, far mordere a Biancaneve la mela che lei ha stregato, perché lei è una babbea.
E poi perché è una favola.
La vediamo che giace a terra, anzi, di lei vediamo solo il braccio abbandonato.
La Strega cattiva è una babbea pure lei, visto che fa una brutta fine, inseguita dai buoni (il Bene e il Male in Disney sono sempre facilmente identificabili, belli netti, divisi alla grande, magari fosse così pure la vita), precipita in un burrone.
Non è stata capace di trasformarsi, diciamo che la sua metamorfosi le è sfuggita di mano.
Morta Biancaneve, dolore e strazio da parte dei nani.
Che la sistemano in un’urna tipo Santa Maria Goretti e la vegliano, essendosi tolti il berretto dalla testa.
Ma noi che abbiamo assistito alla lavorazione della mela fatale (un’altra mela, dopo quella originale) sappiamo che c’è un antidoto: il bacio dell’Amore.
Ed esso arriva, sul suo cavallo bianco, come sempre.
Del resto stamattina ho visto un post IG con una storia tale e quale.
Dunque, il mito continua a funzionare.
E non vi sto a dire quanto mi seccano quei commenti femminili che trovo dappertutto, basta col Principe Azzurro, basta con il vissero felici e contenti.
Ma perché non vi fate i fatti vostri.
E poi il Principe Azzurro esiste, eccome, io, per esempio, in vita mia ne ho incontrati a bizzeffe.
Laddove invece non ho mai incontrato un unicorno.
Voi capite che le vostre rimostranze sono fuori posto e che non vedete al di là del vostro naso.
Un po’ di fantasia, vi ci vorrebbe.
Morale della favola.
Lui se la porta via sul cavallo bianco, cedendole il posto.
I nani sono stati tutti sollevati a braccia e lei ha baciato le teste di tutti.
Pure quella di Cucciolo, che ci aveva provato di nuovo e le aveva porto la bocca.
Io non ci trovo niente da ridire.
E spero neanche voi.
Vivete, se ce la fate, se ce la facciamo, pure voi, pure noi, felici e contenti.
Non vedo che cosa ci sia di male.
Rita
8 gennaio 2022 — 8:25
Nel 2020 durante il lockdown, ho fatto un abbonamento a Disney + ed ho rivisto tutti i primi cartoni animati di Walt Disney (anni 30,40 e 50). Tutti erano ancora freschissimi, mai datati e meravigliosi.. Te li consiglio, Rosella, rasserenano l’anima sia per le loro storie sempre con happy end sia per la loro bellezza. E poi come ce li racconti tu è gustosissimo!
Rosella Gallo
8 gennaio 2022 — 8:33
Sono del tutto d’accordo, trovo molto interessante vedere i cartoni animati da adulti, i bambini perdono gran parte della bellezza del film perché ancora non arrivano a capirla e poi i disegnatori sono bravissimi, ironici, poetici, ritrovarli è una grande avventura.
Grazie della lettura, intanto