Che Luchino Visconti sia uno snob, falso comunista, aristocratico fino all’osso, incapace di fare realismo e neorealismo, si vede da due cose:
1. I suoi proletari mettono le scarpe sul letto. Lo fa Spartaco, quando spoglia la bambina per metterla a dormire, la deposita in piedi, tutta vestita, dalla testa ai piedi e dopo che lei ha pestato ben bene le lenzuola, la scalza. Lo fa Maddalena, triste e sconvolta dopo l’incontro finale col regista Blasetti e lei le scarpe se le sapeva togliere, infatti l’abbiamo vista una volta lanciarne una alla suocera e un’altra volta sfilarsele entrambe per togliere la sabbia della discesa al fiume.
2. I suoi proletari mangiano come aristocratici, ovvero come probabilmente mangiava lui. E come mangiano i ricchi, ovvero come mangiava Agnelli. E io che ne so, come mangiava Agnelli. Lo so perché ho visto Alberto Sordi che lo raccontava: una foglia di lattuga, un «paté fois gras», un pezzetto di formaggio. Poi arrivano i caffè. E a quel punto lui si rende conto che la cena è finita. Visconti fa la medesima cosa. Il film per due volte si trasferisce al Biondo Tevere, nota trattoria romana dove ha fatto la sua ultima cena Pasolini, dove a me capita di andare ogni tanto e dove si mangia come amano mangiare i proletari, e non solo, a Roma: a quattro palmenti. Dei pasti della famiglia Cecconi, si vedono solo i caffè.