Da un pezzo ho adottato l’aggettivo parasentimentale.
Non è mio, bensì di un, chiamiamolo, amico, un pilota professionista, che così definiva ogni sua uscita con una donna.
Un po’ disilluso, ma eloquente.
Il termine l’hanno capito perfino i miei studenti, oddio, mica tutti, comunque, una delle ragazze, sveglia anche se da sgrossare, che si illuminò mentre spiegavo e disse «Sì, sì, come la parafarmacia».
Nella parafarmacia, tutto è organizzato come con i farmaci, ordine alfabetico, scatole, colori, tutto è liscio, ordinato, comprensibile, ma con niente ricetta medica, effetti collaterali ridotti e bel pacchetto, certe volte pure a pois o con motivo decorativo analogo.
Nei parasentimenti, tutto è un riflesso dei sentimenti veri, non sto dicendo una parodia, però ciascuno di essi, ciascun sentimento, è sostituibile con uno simile, ma privo di intensità e di sostanza.
Per niente impegnativo, transeunte, caduco, il più delle volte ben confezionato.
Su, su, che vuoi di più.
In greco, la preposizione παρά significa «presso, accanto, oltre» e diventa il prefisso di molte parole composte, che indicano «somiglianza, affinità o anche relazione secondaria, deviazione, alterazione, contrapposizione».
Come siamo moderni, eh.
Come siamo parasentimentali.
Pieni di pretese ma tendenzialmente pagliacci, in fondo, che ce ne importa.
Vi propongo un video, abbiate pazienza con i pochi secondi di introduzione, poi: guardatevi allo specchio e ditemi come vi sembrate.
Oggi ho sentito un’altra locuzione.
L’ho sentita alla radio, in casa mia ci sono sempre almeno due radio accese, una non la spengo nemmeno quando esco, immagino che faccia compagnia ai pesci rossi, l’altra è accesa quando io sono in casa e la spengo prima di andare a dormire.
Le mie radio sono tutte sintonizzate sulla medesima frequenza, cioè su un’unica emittente, che io trovo mediocre, ma mi pare che non ci sia altro.
Oggi, nemmeno mi ricordo come è stato, forse sono andata a lavarmi le mani prima di uscire o forse a controllare lo scaldabagno, però ho sentito la voce di uno scrittore mezzo matto e visionario che parlava del «doppiofondo dei sentimenti».
E mentre mi lavavo le mani, o forse mi rimettevo il rossetto per uscire oppure controllavo lo scaldabagno perché, rientrando, avevo intenzione di farmi una toletta totale perché domattina presto devo essere in Accademia per le ammissioni, questa faccenda del doppiofondo dei sentimenti mi ha trafitto il cuore.
E mi sono immaginata proprio come un mago, sapete, di quelli che diventano leggenda impiegando la loro vita a imbrogliare il pubblico con i loro inganni, proponendo però un’alternativa alla noia, facendo apparire sul palcoscenico ombre riportate, scenari e promesse e usando il trucco del doppiofondo per tagliare a pezzi le donne, decapitare i malefici, scappare dallo spettacolo.
E il doppiofondo dei sentimenti mi è sembrato bellissimo, l’alternativa vera ai sentimenti paralitici, parafiliaci e pure a quelli parasentimentali.
Insomma una via di fuga, sottile, pure elegante, per cui quando ti cercano, e qualcuno ti cerca sempre, tu però ti sei già sfilato e stai altrove e vivi un’altra vita, quella che da sempre pensavi e desideravi e chissà quanta roba ci sta dentro.
E il pubblico, lì, inchiodato a teatro, a guardare la cassa vuota, la donna tagliata, il malefico decapitato e si domanda, non si sa se ammirato o deluso, tu dove stai.
E tu stai altrove. E da lontano senti gli applausi e l’eccitazione per la riuscita del tuo trucco.
Clap clap.
Quanto sei bravo.