Nel film di François Truffaut Domicile conjugale (di cui non do il titolo italiano perché non se ne capisce il senso), uno dei personaggi maschili dice che se avesse dei seni, li accarezzerebbe tutto il giorno.
Non dico che cosa accarezzerei io tutto il giorno se lo avessi, perché ritengo questa comunicazione troppo confidenziale.
Del resto stiamo parlando di cose che si gonfiano e si sgonfiano continuamente, un po’ come il naso di Pinocchio.
E così siamo entrati nell’argomento.
Siccome l’elogio dei seni che attraversa i secoli è fatto dagli uomini (a loro sia resa gloria), mi metto un po’ in pari e aggiungo il mio punto di vista.
La vita di una donna, gratta gratta, ruota tutta intorno ai suoi seni.
Scoperti, nascenti, crescenti, graditi, apprezzati, sopportati, odiati, strizzati dentro il push up, murati dentro guaine che sembrano uscite dalla mente di un torturatore, stanno comunque lì.
Voi domandate a una donna che cosa pensa dei suoi seni e lei vi aprirà il suo cuore.
Perché tutto sta da quelle parti, come da quelle parti stanno i sentimenti.
Ma, per prima cosa, la storietta di Carolina.
Quell’anno, come avevo fatto per anni, prima della sessione di esami del mese di luglio in Accademia, istruisco i miei studenti e dico loro di presentarsi, quel giorno, decenti.
Non faccio entrare i maschi in calzoni corti in aula e nemmeno li saluto se li incontro così conciati nei corridoi. Tanto più per gli esami, va bene un abbigliamento normale, che non sia né da discoteca, né da spiaggia.

Secondo il medesimo criterio, prego le ragazze di non venire troppo scollate.

Arriva la mattina degli esami.
Treno. Strada per l’Accademia. Arrivo pure io. Mi sistemo. Apro e organizzo il materiale della mia cartella.
È allora che vedo Carolina: piccoletta, bionda, molto procace, la ricordavo sempre con scollature esuberanti.
Quella volta si era incartata in una maglia dolcevita bianca, pure con le maniche lunghe, che non solo metteva ancora più in risalto i suoi seni, che scoppiavano da tutte le parti, ma che, inoltre, la mortificava, perché si capiva benissimo che quella non era lei e che quello non era il suo stile.
In più, l’avevano malamente apostrofata sulla Circumvesuviana.
E ti credo.
Cercai di riderci su e la ringraziai per la disciplina.
Fece un bell’esame e la mandai a cambiarsi.
Personalmente, mi sarei accontentata di una scollatura solo un po’ meno abissale.
Quando si dice: un eccesso di zelo.

Femministe bruciano il reggiseno

La prima cosa da comunicare a chi lamenta l’esorbitanza dell’erotizzazione dei seni rispetto alla loro funzione di nutrizione è che la femmina dell’uomo è, fra tutte le femmine dei mammiferi, l’unica ad avere, anche quando non allatta, dei seni.
Dunque, la loro funzione erotica è evidente.
Nel 1968 ci furono femministe che bruciarono in piazza il loro reggiseno. Trattandosi di uno degli indumenti più suggestivi del guardaroba di una donna, probabilmente fu una momentanea uscita di senno.
Un conto è la riconquista del proprio corpo da parte femminile; un altro è il rifiuto di considerarlo oggetto di desiderio.
Comunque, contente loro.

L’arte ha sempre esaltato e divinizzato il seno.
Se noi guardiamo i magnifici marmi del Partenone, opera di Fidia e momento apicale della scultura di ogni tempo, sentiamo «un nuovo senso vivo della carne» e vediamo che «il panneggio si anima di nuova vita».
Ed ecco le stoffe bagnate del frontone est, che vi mostro, che esaltano per questa loro specifica e lirica caratteristica il corpo femminile, con tutte le sue cavità e, soprattutto, convessità.

Fidia, Hestia, Dione e Afrodite, ala destra frontone est Partenone, sec. V a. C.

Afrodite di Milo, sec. II a. C.

Anche l’Afrodite (o Venere) di Milo  deve parecchia della sua leggendaria fama alla bellezza marmorea dei suoi seni.
Ma in lei gioca pure il fascino del frammento, mancando la statua di alcune parti del corpo, per esempio delle braccia, senza le quali il torso nudo è come sublimato.
(L’erotizzazione di quest’arte è consentita. Anzi, se non ci fosse l’apporto costante di Eros, è probabile che sarebbe meno inseguita da tutti coloro che vanno cercando motivi sui quali posare il loro sguardo).

Johan Niclas Byström, Giunone allatta Ercole

Sempre in fatto di seni ma con un riferimento alla nascita della Via Lattea, vi racconto un’altra piccola storia relativa a Giunone, nuovamente alle prese con il marito, re degli dei, quindi, probabilmente, ancora più difficile da trattare di un marito normale.
Quella volta Giove aveva ingravidato Alcmena, una mortale, e dall’unione era nato Ercole, che, lo capiamo molto bene noi che siamo arrivati dopo e sappiamo come va a finire, deve essere allevato come un eroe. Dunque, Giunone dovrà allattarlo, rendendolo, così, immortale.
Il gruppo scultoreo ottocentesco che vi mostro è svedese, quindi è probabile che sia poco intriso di cultura classica, però la buona volontà è tanta, basta guardare la capigliatura tutta riccetti del forzutissimo bambino e la bellezza di lei, un po’ accademica, ma che vogliamo dalla Svezia.
Il poppante esagera, le fa male, Giunone si sveglia dal suo sonno e alcune gocce fuoriuscite generano la Via Lattea, ovvero la nostra galassia, che è la galassia per antonomasia, essendo tutta, di nome e di fatto (γάλα –ακτος «latte»), fatta di latte.

La vita comincia con i seni e la Vergine Maria che allatta Gesù costituisce nel Medioevo un riferimento alla realtà ma allude anche a un nutrimento morale e spirituale.
Le declinazioni del tema sono numerose e i risultati stanno nella carriera di ciascun artista come capisaldi che ci dicono la capacità di calarsi nella relazione madre/figlio e di raccontarla.
Questo anche da parte di uomini.
Prendo a esempio Ambrogio Lorenzetti, uno dei pittori più simpatici della storia dell’arte, e anche dei più complessi, insieme con il fratello Pietro canto del cigno di Siena prima che fosse spazzata via dalla peste boccacciana del 1348.

Ambrogio, Madonna del Latte, 1340, part.

Ambrogio, Madonna del Latte, 1340

Nella sua Madonna del latte fa ondeggiare la figura del Bambino, che è grande, sostenuto dalle mani della madre e più che altro avvolto, oltre che nel suo abbraccio, anche nel magnifico drappo rosa.
(Il colore senese è un dato di fatto).
Una scena che riprende il motivo del colloquio, lo trasfigura in un momento di nutrizione e ondeggia, come sempre fa l’artista, che mi piace molto anche e soprattutto per questo, fra una certa astrazione e notazioni, invece, concrete, argute, che sconfinano spesso nell’aneddoto e nella favola.

Jean Fouquet, Madonna con Bambino, 1450

La musica cambia e il tono diventa apertamente erotico, o torna a essere tale, nel Rinascimento e poco importa che si tratti di madonne.
Ne è esempio brillante Jean Fouquet, il più importante artista francese del secolo XV. Il pannello destro, quello che qui ci interessa, del suo Dittico di Melun sta ad Anversa ed è uno dei momenti più ipnotici e magnetici della nostra sosta in città.
Esso rappresenta una Madonna con Bambino  ed è realizzato a tempera in un periodo in cui si diffondeva la tecnica dell’olio. Interessante scelta, che sembra essere stata fatta dall’artista per farci vedere il suo virtuosismo nell’uso del colore: le carni sono eburnee, i cherubini rossi come mai erano apparsi prima, i serafini di un blu intenso (l’incastro fra gli uni e gli altri fa un po’ carta da parati e un po’ Escher con diversi secoli di anticipo).
Glaciale, geometrico, come uscito da un pensiero notturno di un orafo, il dipinto rappresenta Agnès Sorel, l’amante di re Carlo VII e ci mostra un seno che è erotico nonostante l’astrazione e nonostante la sacralità del soggetto. Poi chissà com’è l’erotismo in questo universo così teorico e mentale, in cui la pelle è diafana, madre e figlio non si guardano, il mantello di ermellino diventa un panno di appoggio per il divino Bambino, perle enormi trapuntano la pesante corona di lei e il trono ha inserti di marmo e rigidi pennacchi.
E l’eleganza di lei è talmente assoluta e totale da rendere inservibile qualunque altro concetto di eleganza.
Forse l’erotismo gelido e astratto è attraente tanto quanto quello caldo e concreto.
Forse bisogna sperimentare tutti i tipi di erotismo.
E tutti i tipi di seni: da quelli rigorosi alla Jean Fouquet, a quelli imprecisi e approssimativi del quotidiano.
Meraviglia delle infinite possibilità esistenziali. Molto meno infinite per una donna, che, per quanto possa modificare i propri seni, non avrà mai tutto il repertorio delle forme e delle dimensioni a sua disposizione.
C’è però l’arte, a consolarci e colmarci di tutto.

Personalmente trovo molto belli i seni di queste altre due enigmatiche creature.
A destra è raffigurata Gabrielle d’Estrées, che tiene con la punta delle dita un anello. La sorella, con il medesimo gesto, le stringe un capezzolo.
Le due donne, vestite solo di orecchini che denotano il loro rango, sono immerse in una vasca da bagno coperta da un drappo bianco. La vasca potrebbe essere piena di latte o di vino, alimenti che venivano tenuti in grande considerazione anche per le loro proprietà benefiche sulla pelle.
La scena è introdotta da una magnifica tenda rossa.
Dietro di loro, davanti al camino acceso, una fantesca sta cucendo, forse un corredo per il figlio di Gabrielle.
Lei, amante di re Enrico IV, potrebbe essere ricordata qui proprio per questa sua gravidanza. Ma noi siamo colpiti dalla carica erotica del dipinto e, ancora una volta, i seni femminili assumono significati diversi.
Parlavo della bellezza di questi: alti, appena accennati, sono perfetti per i corpi ai quali appartengono. Voglio dire che non sempre in natura questo accade, ci sono donne esili con seni grandi e ci sono donne alte e grosse con seni piccoli. Qui tutto è armonioso, guardate anche la pienezza delle spalle e quanto sono fini i lineamenti. Questo ignoto pittore, forse della Scuola di Fontainebleau, luogo del Manierismo di Francia, sapeva come raccontare lo splendore delle donne di corte.
Inoltre, se è vero che il seno perfetto è contenuto in una coppa di champagne, qui, decisamente, ci siamo.

Scuola di Fontainebleau, Ritratto di Gabriella d’Estrées e della sorella, 1594

Pesano, i seni?
Dipende. Dai giorni, come detto: essi si gonfiano e si sgonfiano continuamente.
E dalle dimensioni.
A proposito di queste ultime. Ognuno ha i suoi gusti ed esse, le dimensioni, spesso sono ereditarie. Può essere una esperienza edificante domandare a una donna con i seni grossi se gli uomini la guardano mai negli occhi.
Così, per sapere.

Detto questo e in questo insieme di accenni, e di motivi, e di inizi, e di cose che nascono una dall’altra, vi invito, dopo aver letto questo primo articolo dedicato ai seni, a dare un’occhiata anche al successivo.
Intendo, infatti, andare avanti con le mie considerazioni su una proprietà femminile che mi appartiene di diritto (io ho dei seni) e che molto mi piace che anche per gli uomini sia importante.

E poi i seni sono due.
Quindi, ancora una volta, il senso si trova da solo, esce fuori, fiorisce, emerge, sboccia davanti ai nostri occhi.
Proprio come, davanti ai nostri occhi, escono fuori, fioriscono, emergono e sbocciano, quotidianamente e appena guardiamo una donna, i seni.

Bello, no?