Albrecht Dürer, Autoritratto in pelliccia, 1500

Biglietto n° 107: L’Autoritratto in pelliccia di Albrecht Dürer, 1500

È l’autoritratto più bello di ogni tempo.
Ciò per la peculiarità dell’impostazione, per la perizia dell’esecuzione e per lo splendore fisico del soggetto.
«Albrecht Dürer di Norimberga dipinge se stesso con colori appropriati nel suo ventottesimo anno di età».
Le parole dell’iscrizione che compare in alto a destra sono accuratamente scelte.
La lingua utilizzata è un antico dei libri umanistici.

Albrecht Dürer, Autoritratto in pelliccia, 1500, part.

È, questa, una novità, visto che nei due precedenti autoritratti Dürer aveva usato il tedesco con caratteri gotici.
Il dipinto è un olio su tavola e il suo formato è un life size, ovvero una grandezza naturale.
Ciò aumenta l’effetto che fa su di noi, come pure l’inevitabile impressione del parallelo Dürer come Cristo.
La rigorosa frontalità da icona bizantina, la simmetria, la postura statica e l’atteggiamento della mano, che forse tiene chiusa la pelliccia, ma che può anche essere benedicente oppure essere stata fermata al secondo stadio del segno della croce («et filii») confermano la prima sensazione.
L’artista ha lunghi capelli biondi inanellati che scendono ai lati del viso e sulle spalle, la barba e i baffi sono molto curati.
Indossa un soprabito bordato di pelliccia, chiamato Schaube, con spacchi alla moda sulle spalle.
Dagli spacchi e dal piccolo triangolo bianco del collo vediamo la sua camicia.
Il dipinto è una sinfonia di toni marroni, che si scaldano per l’accostamento uno all’altro, diventano dorati nei capelli e nella pelliccia e si sfumano di rosa nell’incarnato.

 

Albrecht Dürer, Autoritratto in pelliccia, 1500, part.

Gli occhi sono stati ingranditi e approfonditi, l’artista era di origine mongola e ha corretto la mandorla nativa.
In essi si riflette l’atelier, vediamo infatti una finestra, e si riflette anche il cosmo, come se lui lo avesse creato con il suo genio.
Il fotografo che mi ha fatto per anni le diapositive era un sindonologo, cioè un esperto della Sindone e una volta mi trascinò a Manoppello, in Abruzzo, al Santuario del Volto Santo, perché voleva il mio parere su una reliquia.
Che era chiusa in un reliquiario che a sua volta stava dentro uno sportello protetto dell’altare e che quindi era nei fatti invisibile.
Il religioso che ci accolse, che lui conosceva, era beato davanti a quella curiosità e ovviamente non fece nulla per soddisfarla.
L’unico scatto che il fotografo riuscì a fare quel giorno riprendeva me con un’espressione che definire perplessa è dire poco.
Ebbene, il sindonologo era un appassionato di Dürer e sosteneva che nell’Autoritratto in pelliccia l’artista si era raffigurato con la pagliuzza evangelica, Matteo, 7, vv. 1-5, nell’occhio.
Come niente aveva ragione, almeno su questo.
Dal dipinto emana un’aria di pensosa trascendenza, la cui qualità è rafforzata dalla struttura geometrica sottesa alla composizione.
Non uso mai questi grafici perché li trovo rigidi e mi sembra che cerchino di ingabbiare l’opera, ma stavolta ci vuole.
Se sentite odore di ordine e di rigore di casa, sentite giusto, essendo Albrecht Dürer la massima espressione del nostro Rinascimento nel Nord Europa.
Ho parlato di trascendenza e intendo così indicare la volontà dell’artista, che pure è stato appassionatamente un uomo del suo tempo, di collocarsi al di sopra della storia e delle sue contingenze.
Studioso di teoretica, umanista che aveva frequentato la scuola latina, intellettuale colto animato da una fede percorsa da toni di umiltà, qui Dürer si ritrae in una Imitatio Christi diffusa dalla dottrina e dallo spirito del periodo.
In questo modo saremmo invitati a interpretare diversamente l’arroganza che vediamo, leggendola come testimonianza del suo sentirsi vicino a Dio per diventare come lui.
L’una cosa non esclude l’altra.
Noi siamo moderni, e facciamo fatica a metterci nei panni di un credente di qualche secolo fa, però tutto torna al suo posto se pensiamo alla formulazione della dottrina contemporanea per la quale il potere creativo di un artista deriva dal potere creativo di Dio, che glielo instilla.
L’uomo che ha ricevuto questo dono ha il dovere di realizzare attraverso il suo talento quello che Dio gli richiede, e ciò è insieme trionfo e tragedia, praticamente la formula dell’essere artista.
In quest’ottica quella mano in primo piano è lo strumento per portare a compimento l’impresa.
 In alto a sinistra c’è il monogramma di Dürer, il più bello della storia dell’arte, segno impareggiabile, firma inimitabile che anticipa, sigla e realizza il capolavoro.

Francobollo commemorativo con Monogramma di Dürer, 1971

*

Ho fatto un Erasmus a Monaco di Baviera presso la loro Akademie der Bildenden Künste.
In città, nella Alte Pinakothek, è conservato l’Autoritratto in pelliccia di Albrecht Dürer.
Lì tutti andavano in bicicletta e dunque ne avevo affittata una anch’io, la più normale che avevo trovato: era bianca, e già la cosa mi infastidiva, perché se la mia bicicletta di Roma è nera, evidentemente c’è un motivo; inoltre, peggio, aveva il campanello con uno dei Teletubbies sopra.
Non ho mai detestato tanto un campanello.
Comunque, usavo la bicicletta tutto il giorno.
E il pomeriggio tardi, diciamo un’ora prima che la pinacoteca chiudesse, la legavo al palo davanti alla scalinata di accesso.
Avevo il tesserino da docente di Storia dell’arte che mi garantiva l’accesso alle collezioni senza dover passare per la biglietteria.
Tutti, dico tutti i giorni del mio soggiorno di studio monacense, io sono andata da Dürer e mi sono seduta sulla panchetta davanti al suo Autoritratto in pelliccia.
Le cose che ci siamo detti attengono al registro del privato, dunque sono cose segrete e nostre.
Quello che però posso dirvi è che mi sono guardata il dipinto con tutta l’attenzione possibile, che ho preso appunti, che certe volte mi sono concentrata solo sui peli della pelliccia e sui capelli, resi con pennellate sottili e vibranti, che altre ho guardato i dipinti vicini e ho pensato ai fatti miei.
Ma in tutto questo, quel rituale della bicicletta bianca legata al palo e della salita emozionata da Dürer resta ciò che ricordo con più piacere di tutta quella pur interessante esperienza.

*

E questa che è.
Come, che è.
È una bottiglia di vino con la sua etichetta.
Per la precisione è il Codice 34 di Pojer e Sandri.

Pojer e Sandri, Codice 34

Se avete l’impressione di qualcosa di déjà vu, vi indirizzo io.

Questa è la Melencolia I, 1514, di Albrecht Dürer e in essa compare il quadrato magico dell’etichetta, nella quale sono evidenziate le cifre 3 e 4 e 34 è il numero del serbatoio dell’assemblaggio delle basi di questo spumante di prestigio.

Albrecht Dürer, Melencolia I, 1514.
Da sempre arte e vino fanno bon ménage e stavolta un’eccellenza trentina lo dimostra appieno.
I due soci Mario Pojer e Fiorentino Sandri, la cui cantina nasce nel 1975, uniscono la loro storia all’artista, che dalle parti di Faedo, dove loro stanno, è passato nel corso del suo viaggio verso Venezia.
Segue una filza di omaggi, con le incisioni, gli acquerelli e i bellissimi caratteri grafici.
Come nostra abitudine, a ogni Sorbetto sarà legato un piccolo discorso su un vino che si intona al suo sapore.
E viceversa.
Giovedì 2 novembre 2023 con l’op. 154 attacchiamo le degustazioni del MaxiSorbetto dell’autunno 2023, L’Apelle delle linee nere: Albrecht Dürer 1471-1528.
È stato Erasmo da Rotterdam, amico dell’artista, a definirlo così, facendo riferimento ad Apelle, pittore greco antico che conosciamo solo attraverso la narrazione di Plinio il Vecchio, visto che nessuna delle sue opere è arrivata a noi e alla maestria di Dürer nell’incisione.
Diciamola meglio: Albrecht Dürer è stato il più grande incisore di tutti i tempi.
E la definizione dell’amico, un cultore dell’Antico, è la massima lode che uno come lui potesse fare a un artista.
Questo andremo a imparare, in un mese in cui prometto emozioni estetiche altissime, mai scontate, sempre singolari, proprio come è nello spirito dei Sorbetti.

Ho preso in prestito il titolo di questa Newsletter dal Mestiere di vivere di Cesare Pavese, nota del 6 novembre 1938.
Un autoritratto si realizza guardandosi allo specchio e, se pure dubito che Albrecht Dürer dipingesse la sera per via di questioni di luce, e che lo facesse da seduto, visto che si dipinge in piedi, mi accarezza l’idea che facesse da solo compagnia a se stesso.

State bene e fate cose belle.
E ogni volta che vi guardate allo specchio, pensate all’altezza di quest’atto apparentemente anodino e oggi abusato.
Da esso nascono cose importanti: la riflessione su di sé; il più intimo dei colloqui; la compiacenza e l’insofferenza, che sono poi le due facce della medesima medaglia.
E certe volte, magiche e benedette, nasce pure un autoritratto.

 

Le notizie e i titoli di coda. Questa Newsletter è stata inviata agli abbonati mercoledì 1° novembre 2023
** Tutte le Newsletter del novembre 2023 contengono biglietti dedicati a Albrecht Dürer e ciò in omaggio e integrazione al e del MaxiSorbetto del mese al sapore dell’artista tedesco
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***** L’elenco dei gusti dei Sorbetti, pronti fino all’op. 179 del 25 aprile 2024, con una puntata all’op. 210 del 28 novembre 2024 dedicato a Giacomo Puccini nel centenario della morte, qui
****** L’illustrazione di apertura, le Pupazzine e i Sorbetti sono di Lorenzo Rocco
***** L’assistenza tecnica è di Virgilio Piccardi