Mary Cassat, Ragazzina sulla poltrona blu, 1878

Biglietto n° 85: La ragazzina nella poltrona blu di Mary Cassat, 1878

I fischi dei muratori. Con le donne, come fai, fai male.
Le guardi e si lamentano.
Non le guardi e si lamentano.
«…un giorno era venuta al suo studio con un vestitino da ninfetta con la gonna a pallone cortissima e si era fatta su i capelli neri in una sola treccia compatta e col suo faccino impertinente da sminfera poteva dimostrare quindici sedici anni al massimo e loro due erano usciti e i garzoni muratori seduti per terra a mangiare dall’altra parte della strada mandavano lunghi sibili e lei ancheggiava in modo abbastanza indecente completamente divertita e a lui stesso la cosa aveva fatto piacere perdio…».
Questo è Dino Buzzati in Un amore, come si capisce dalla gonna a palloncino, nel 1963.


C’era poi un mio zio, chirurgo, un piemontese simpatico e generoso, che raccontava la storiella della signora che sospirando diceva: «I muratori non sono più quelli di un tempo, trent’anni fa mi fischiavano tutti dietro».
In Italia gli uomini guardano le donne.
Per essere più precisi, più vai al Sud, di più e più a lungo gli uomini guardano le donne.
Al Sud i muratori sembrano proprio quelli di una volta.
Anche un po’ più a Nord del Sud, però, gli uomini guardano le donne.

Ruth Orkin, American Girl in Italy. Florence, 1951

Una volta un’amica e collega mi raccontò che la figlia era tornata a casa turbata perché un pedofilo l’aveva importunata alla fermata dell’autobus.
Il dettaglio non di poco conto era che la ragazza, che aveva al tempo sedici anni, era grande e grossa, insomma era una ragazzona che non finiva più.
Chiesi all’amica e collega se per caso non avesse sbagliato qualcosa nell’educazione della creatura.
Da una parte leggo spesso qui e là i rimbrotti di giovani donne che si lamentano perché gli uomini le guardano.
Dall’altra sentivo qualche tempo fa alla radio le riflessioni di una ragazza italiana, se non ricordo male emiliana, che viveva a Berlino, che è una città moderna, dinamica, aggiornata, a proposito del fatto che i tedeschi 1. Non hanno il senso dell’umorismo, non capiscono né l’ironia, né i giochi di parole e prendono tutto alla lettera. 2. Non conoscono il flirt e il senso che esso ha nella vita quotidiana, che è quello di alleggerirla.
Il tono dell’intervistata era in bilico fra l’incredulo e il risentito, si capiva che le dispiaceva non poter mai fare una battuta perché poi si vedeva costretta a spiegarla e spiegare una battuta vuol dire rovinarla; le dispiaceva anche non ricevere mai un complimento.
Chiarisco che sto parlando di quelle cose urbane e galanti, che nulla hanno a che fare con la maleducazione o con il codice penale, quelle frasi brevi buttate lì che una donna italiana, se non è del tutto stordita, è in grado di prendere al volo o di neutralizzare.
A Copenaghen mi è capitato di vedere ragazze al sole a torso nudo ai giardinetti pubblici in pieno centro e nessuno le guardava.
E dire che i danesi sono carnali, mangiano e bevono con gusto e hanno dei bellissimi musei.
Nulla a che vedere, per esempio, con i norvegesi, che si capisce e si sa che hanno rapporti raggelati anche fra amici, fanno fatica a esprimersi e a salutarsi dandosi la mano.
Tanto meno a Oslo gli uomini guardano le donne.
Dunque, si tratta di abitudini antropologiche o convenzioni sociali, chiamatele come volete, che però danno a una donna delle nostre parti che si lamenta la possibilità di cercarsi un suo altrove.
Contenta lei.
Comunque a me l’argomento interessa poco o niente, diciamo che un po’ mi innervosisce per la frequenza con cui esce fuori e che mi sembra inutile e pretestuoso.
Se devo occuparmi di donne, mi interessa di più vedere come stanno (stiamo) messe a capacità creative, ovvero se negli ultimi tempi non ci siano per caso dei segnali che fanno sperare in qualcosa che sembri una fioritura.
Come ho già accennato da qualche parte, mi pare di poter dire che le donne eccellono e non hanno mortificazioni di confronto con gli uomini in quelle attività che costano poco o niente, per esempio la scrittura, che si fa pure con un pezzo di carta e un mozzicone di matita; oppure in attività che sono nuove, o relativamente tali, per cui i blocchi di partenza sono posizionati sulla medesima linea per tutti e sto parlando del cinema e della fotografia, che oggi, fra l’altro, si fanno pure con uno smartphone, dispositivo che disinnesca la bomba costi di produzione e che consente, così, di contenere le spese.
Il nodo rimane l’interrogativo che riguarda le altre arti, per esempio la pittura.
E qui le cose si stanno poco a poco facendo, come sempre si fanno le cose, poco a poco e da sole.
Continuamente mi capita di incontrare studi su artiste che storicamente sono state messe in ombra dai giganti loro contemporanei.
Al Centre Pompidou di Metz, per esempio, è in corso la mostra dedicata a Suzanne Valadon, pittrice, modella e madre di Utrillo.

Suzanne Valadon, La camera blu, 1923

E oggi in questo biglietto vi propongo un’opera di un’artista americana che è stata molto vicina alla cerchia degli Impressionisti, in particolare Edgar Degas, che impressionista non è ma che girava da quelle parti.

Mary Cassat

Mary Cassat, 1844-1926, che io immagino un po’ come una signora alla Henry James, proveniva da una ricca famiglia ed ebbe la possibilità di soggiornare a lungo a Parigi.
Dotatissima dal punto di vista tecnico, si dedicò anche all’incisione ed ebbe il coraggio di mantenere una sua individualità di stile e di soggetti nonostante i frequenti contatti con quegli artisti che avrebbero fatto, chi in un modo, chi nell’altro, l’arte moderna.
Per non dire del suo ruolo fondante nell’educazione del gusto dei suoi ricchi amici statunitensi, che guidò nell’acquisto di opere impressioniste, quelle che vediamo oggi nei loro bellissimi musei.
Ma prima finisco il Prologo.
Per chiudere con le donne. Loro sono delle eccellenti interpreti, come dimostra anche Fiorella Mannoia, che qui canta la canzone alla quale ho sfilato un verso per il titolo di questa Newsletter.
Canzone scritta però da due uomini, che evidentemente le donne le conoscono.
Non ho detto che le capiscono, perché gli uomini si lamentano (pure loro) di continuo perché le donne appaiono loro mutevoli, volatili e contraddittorie.
Sul «dolcemente complicate» avanzerei però dei dubbi, perché spesso certi comportamenti a me appaiono più vicini allo stato di una maionese slegata che non alla sfaccettatura di un carattere complesso.
Ma non è forse vero che amiamo le persone soprattutto per i loro difetti?
Non so se vi ho mai detto che a me piace dare consigli.
(Mi piace anche riceverne, ma devono venire dalla persona giusta).
E do consigli di tutti i generi, pure banali, scemi totali, «lasciala perdere», «esci con un’altra», pragmatici e di umore tranchant.
Bref.
Il consiglio che do più spesso è il medesimo per le donne e per il bastian contrario.
Quest’ultimo, ammettiamolo, è una delle persone più irritanti che si possano incontrare, lo fa apposta, a contraddirti di continuo, a ostentare indifferenza e a non darti mai soddisfazione, a dire che questo è bianco quando chiunque vede che è nero.
Con questa gente, donne e bastian contrari, bisogna adottare la tecnica del cambio di segno.
Al bastian contrario bisogna dire che in effetti oggi una laurea non ha più alcun senso, basta una licenza di scuola media superiore, meglio, elementare, perdi meno tempo sui libri e ne hai di più per andare alle terme.
Gli puoi dire pure che preferisci il toppino di merletto bianco, che ti dà più luce, laddove il nero ti sbatte.
A quel punto lui salta su e comincia a difendere la laurea, meglio se magistrale, e dice che a una donna il merletto nero sta benissimo, fa mistero e avventura.
E starebbe benissimo pure a te.
L’hai portato dalla tua parte nonostante il suo brutto vizio.
Con una donna, devi semplicemente ampliare il campo delle tue capacità semantiche.
Mi spiego. Se lei ti dice «non voglio più vederti», in realtà vuole intendere che la cerchi poco e che vorrebbe tanto vederti più spesso.
Pure tutti i giorni e per un tempo indeterminato.
Perché lei non vede l’ora di dirti ancora un altro sì e ti sta chiedendo di portarle rose nelle sere tempestose, ché tanto la trovi lì, a passare la notte in bianco, facendosi fare compagnia da certe lettere d’amore.
Ma soprattutto, lei ti sta dicendo che i complimenti che le arrivano dalle macchine dei playboy certo, che le fanno piacere.
E che forse è il caso che tu ti compri una macchina un po’ più sportiva.
E che, soprattutto, le fai più complimenti.
E che la guardi di più.

Ancora sul bastian contrario. Circa un mesetto fa mi era venuto in mente di dedicare la Newsletter a questo insigne esponente della vasta tipologia umana, il tutto dopo aver passato un po’ di tempo con uno così ed essere uscita sfinita dal confronto.
Mi sono interrogata sul mio stato di prostrazione e ho concluso che avevo cercato non so quanti argomenti neutri per evitare di contraddire il contraddittore per partito preso, senza riuscirci, perché, come è noto, per il bastian contrario tutto è pretesto per manifestare la sua opposizione polemica a tutto.
Riferisco comunque qui uno dei risultati delle mie ricerche.
Certo, l’espressione in oggetto viene da una persona che aveva questa inclinazione, il cui cognome dette origine al motto.
Per la precisione stiamo parlando di un tale «Bastiano Contrario, malfattore e morto impiccato».
Ben gli sta, così impara.
Questo tipo qui era piemontese.
Ma in Toscana, per la precisione nella zona di Siena, si chiama bastiano «l’asta che normalmente si oppone all’interno dei portoni».
Più stolido di così.
Ho trovato la metafora talmente deliziosa, che mi è passato lo sfinimento.

Biglietto n° 85: La Ragazzina sulla poltrona blu di Mary Cassat, 1878. Sono una pentita.
Mi sono pentita di certe durezze, che definisco qui, per capirci, giovanili.
Poi di certi pareri, meglio, giudizi espressi su alcuni artisti in sede professionale.
Sono in debito con Mary Cassat per aver pensato che i soggetti da lei scelti, bambini, membri della sua famiglia, i vicini di casa, fossero roba da donne.
E se siamo alle prese con roba da donne, siamo per definizione un gradino sotto i soggetti prediletti dagli uomini, anche da quelli che lei frequentava, in particolare Degas.
E che dipingeva Degas: teatri, danzatrici, corse di cavalli, scene metropolitane, il circo, la toletta.
Anche lui ritratti di gente a lui vicina.
Anche lui ritratti di ragazzini.

Edgar Degas, Hortense Valpinçon, 1883

La conclusione cui sono arrivata in età adulta è che le donne fanno le cose diversamente dagli uomini, ma non è detto che le facciano peggio.
Per esempio, la volta che a un semaforo rosso particolarmente lento mi sono messa a contare quanti insegnanti veramente bravi avevo avuto in vita mia, tutti, in tutti i campi di incontro con qualcuno che insegna, sono arrivata a un numero: 7 (sette).
Tre uomini e quattro donne.
Nessuno di loro insegnava come l’altro, ognuno seguiva il suo metodo e, se pure era vero che gli uomini sembravano delle spade sguainate, come Pasolini ebbe a dire di Roberto Longhi, il massimo storico dell’arte italiano di cui lo scrittore fu allievo a Bologna, le donne erano diverse, più sistematiche, meno snudate, ma non meno brillanti.
E sostengo pure continuamente e dappertutto che si deve parlare di ciò che si conosce.
E Mary Cassat conosceva i ragazzini.
Per esempio quella del biglietto di oggi.
Questa Little Girl in a Blue Armchair sta bella comoda in poltrona, in una posa un po’ scomposta come spesso accade ai bambini e ci fa capire chiaramente come si sente: un po’ annoiata e un po’ inquieta, come in disparte in una stanza non del tutto ordinata.
E lei è, letteralmente, messa da parte.
Nel senso che pur essendo la protagonista del dipinto, lei non è in posizione centrale, perché nel centro del dipinto c’è inaspettatamente il vuoto e il pavimento sale verso l’alto, fino a includere altre due poltrone identiche a quella dove sta la ragazzina.
Stavolta, vuote.
Laddove una quarta poltrona è occupata dal cagnetto, che, invece, sonnecchia, incurante della noia della padroncina.
L’impaginazione del dipinto, con il pavimento inclinato e alcuni degli oggetti tagliati (in inglese il termine è cropped, parola che indica anche, per esempio, i blue-jeans corti alla caviglia o una maglia che copre a malapena la pancia) è un omaggio alle stampe giapponesi, molto apprezzate da Degas e da lui presentate all’amica pittrice.

Suzuki Harunobu, Un uomo e una donna che giocano a shōgi, 1769

Mary Cassat dipinge potentemente.
Senza peraltro venire meno al gusto descrittivo che fa emergere ogni dettaglio.
Le scarpette della ragazzina.
La faccetta, accuratamente ritratta.
Il disegno delle poltrone.

Lei scrive in una lettera che Degas le ha dato dei consigli per lo sfondo e che ci ha lavorato lui stesso.
La pittura è come strofinata ed è probabile che il tocco del maestro sia nella luce che penetra dalle tende delle finestre e che dà vita alla stanza silenziosa, come sospesa, dove solo la nostra presenza, che è ravvicinata così come è ravvicinata la posizione dell’artista che dipinge, può andare in soccorso del momento sfaccendato della ragazzina, tirandola via dalla sua peraltro deliziosa inerzia.
Degas fu molto colpito dalla produzione di Mary Cassat e la invitò a esporre con la Société des artistes indépendants, un gruppo che annoverava gente come Bazille, Monet, Pissarro, Renoir, Sisley e Berthe Morisot.

Edgar Degas, Mary Cassat al Louvre, 1880

Se poi volete sapere che relazione hanno avuto Edgar Degas, che non si è mai sposato, e Mary Cassat, vi dico che non lo so.
Ci giro intorno da anni e non trovo una risposta.
Certo è che l’incisione di lui della svelta silhouette di lei in visita al Louvre la dice lunga.
Sulla relazione, sull’ammirazione.
Su come lui la guardava.

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