Un pomeriggio chiedo al professore se in vita sua ha mai guarito una sola persona. Ci riflette seriamente e risponde: guarire è una parola grossa, poi scuote la testa e sorride incoraggiante. Passano minuti, giorni, settimane.
Ingmar Bergman, Lanterna magica, 1987
13:26:08. Mi sono messa a seguire blog di recensori di smartphone.
Ovviamente ho cominciato perché volevo sentire parlare bene del mio telefono nuovo (lo fanno tutti), poi ci ho preso gusto.
Ci sono alcune cose notevoli.
Questi super specialisti sono tutti privi di appeal maschile, nel senso che non ho visto nemmeno un bell’uomo.
Gli uomini, in teoria, sono tutti innamorabili, diciamo che possono funzionare sia per la parte fisica che per quella intellettuale (per le donne la situazione è diversa).
Però con loro non funziona niente.
E qui si conferma la mia vecchia teoria secondo la quale se passi sedici ore al giorno attaccato a un computer, perdi un po’ di tutto, non solo il tuo fascino.
L’altra cosa interessante è che dopo un po’ cominci a capire che cosa dicono. Certo, il merito non è loro, che sono tutti degli insegnanti pessimi, visto che danno tutto per scontato, laddove, se insegni, non dovresti dare per scontato niente. Diciamo che è una specie di acclimatazione, come succede alle piante. Dopo un po’ cominci a capire che cosa è un processore o un Amoled Awesome, che quello è un padellone e che il design di quell’angolo è proprio bello.
Però la cosa più interessante è che sono quasi tutti maschi. Ho assistito anche a un webinar del mio primo nerd, erano collegate persone che seguivano un corso per sviluppatori, lui ha parlato di sé, come era cominciata la sua vicenda e come lavorava, lì ho capito tutto, però fra i presenti collegati c’era una sola ragazza, che ho individuato a una seconda visione, alla prima non ero stata capace di distinguerla.
Non ho visto un solo commento femminile.
Ho trovato però un commento simpatico, se ci si mettono sono capaci di far ridere pure loro, ed era uno che in una sessione dedicata alle fotocamere di alcuni telefoni ha scritto «E adesso voglio vedere una macchina fotografica che sappia telefonare».
Quelli che rigirano le cose così abilmente li trovo irresistibili
16:24:06. Un luogo che invece è pieno di donne è la scrittura di Camillo Langone, del quale ho cominciato a parlarvi qui.
Lui da qualche parte si è presentato come un allievo di Arbasino.
Se l’è scelto buono, l’esempio.
Io lui l’ho sempre letto, non solo gli articoli ma anche qualcosa di altro, per esempio Fratelli d’Italia.
La caratteristica di Arbasino è che non capisci quasi niente di quello che scrive.
Invece Langone si capisce tutto.
Mi stavo interrogando sul perché. In entrambi i casi siamo davanti a scritture pirotecniche e a menti che vanno velocissime, abbracciando molti campi.
Solo, che farsi capire è un dono, vedi sopra i nerd, dunque a un certo punto ho dedotto che uno ce l’ha, l’altro, no.
Ma, stavamo dicendo, le donne. Che Arbasino non amava e quindi continuava a girare su se stesso.
Camillo Langone, invece, le ama e le frequenta e poi le racconta pure e quello che esce fuori è corrosivo come un acido, dunque, caustico, mordace, feroce.
Talvolta poetico.
«Tra i 29 Motivi per andare con le donne uno è senz’altro il lessico personale: Carla a Pisa dice “lapis”, Caterina a Bellosguardo dice “ciana”, Tiziana in Oltrarno dice “pissero”, perciò le amo più di me stesso che mediocremente dico matita, sguaiata, perfettino».
Gli uomini mentono tutti.
Non è che mentono quando dicono ti amo ci sposiamo il mese prossimo, lì uno (una) ci arriva, loro mentono quando si mostrano evoluti, quando fanno chiasso per una donna al Quirinale, quando dicono che ti stimano professionalmente (mentre si mangiano le mani dalla rabbia), gli uomini mentono quando discettano sulla sostanza delle relazioni, dove si dichiarano disponibili a, quando invece non lo sono per niente.
Sto parlando degli uomini italiani, gli stoccafissi del Nord Europa qui non c’entrano, e poi quelli sono semplificati, non è che puoi aspettarti sfumature e incursioni nell’ombra.
È anche probabile che loro, gli italiani, siano in buona fede, il risultato è sempre il medesimo: mentono.
Chiarisco che a me, in questa faccenda, interessa solo il mio parere personale, non mi interessano le chiacchiere e le esperienze altrui, sono le esperienze mie quelle che contano ai miei occhi e la mia esperienza mi dice che loro solo alla resa dei conti ammettono le menzogne.
Langone non mente.
«Ad accogliermi sono arrivate un paio di masciare (masciare d’amore), due maghe maghelle di quel mio gineceo indigeno di impiegate regionali e stagiste…”In più tutta una serie di delizie del palato cioccolatini cannoli di ricotta ciliegie sotto maraschino melagrane marsala fumo musica e tanto tanto amore gratis”».
A questo proposito chiarisco che la masciara è la fattucchiera lucana e che Langone è lucano pure lui, anche se dichiara di aver vissuto in una decina di città, tutte italiane, e di risiedere a Parma.
Ma dal Sud viene e io non ho mai incontrato in vita mia un italiano evoluto, tantomeno se veniva dal Sud.
Ma non me ne importa niente, ho impiegato anni a rendermene conto e non ho alcuna intenzione di abdicare a questa mia conquistata lucidità.
Anzi, dico sempre che se fossi nata maschio, avrei fatto di peggio, quindi posso solo sorridere di certi eccessi, soprattutto quando sono letterari.
Inoltre, lui è pungente a tutto campo:
«Giochi a golf?» «No, scopo ancora». Questo a proposito di un rampollo padovano di nobile famiglia, che possiede un campo da golf sui Colli Euganei, del quale si limita però a riscuotere l’affitto.
Su questa faccenda del golf ho riso praticamente una sera intera, mi ha ridestato tutti i brandelli di sensazioni che mi giravano per la testa da anni senza che io avessi il coraggio di metterli insieme.
Ho sempre pensato che il golf avesse in sé esattamente questo lato di astinenza e tutte le persone che ho conosciuto che ci giocavano avevano in loro qualcosa di trapassato, nemmeno troppo prossimo.
Se poi voi giocate a golf, sappiate che c’è sempre l’eccezione, in questo caso quella di James Bond in Goldfinger.
Ma non ditelo a Langone, ché forse non si ricordava di questa deroga così seducente, che mette insieme l’una attività e l’altra, senza bisogno di dover scegliere come fanno tutti.
(Prima o poi scriverò una noticina dal titolo Camillo e le donne).
17:03:24. Mio fratello piccolo, ora fratello più giovane, leggeva fumetti. Io leggevo fumetti. In comune avevamo poca roba, perché io sono una super esteta, quindi non pratico Pazienza o Zerocalcare. A proposito di quest’ultimo, ricordo che ha studiato au Lycée Chateaubriand de Rome. Basta sentirlo parlare due minuti per capire quanto sia inutile mandare i figli in una scuola che si dà delle arie.
Ma, stavamo dicendo: i fumetti.
Gli unici che sfilavo a mio fratello erano quelli di Cocco Bill di Jacovitti, che trovavo irresistibile.
Il cowboy ha un cavallo parlante, che si chiama Trottalemme e che quando incede ha delle scritte onomatopeiche a livello degli zoccoli. Esse recitano così: «chiticlip chiticlop».
Gli zoccoli di Trottalemme, quando è in cammino, sono circondati da nuvolette di polvere.
Cocco Bill non beve whisky, bensì camomilla.
E qui veniamo al post di oggi.
Io sono una che marcia a camomilla.
Non bevo caffè. Bevo una sola tazza di tè al giorno perché sono sempre survoltée e il tè preso dopo le quattordici non mi fa dormire la notte.
Da cui, la camomilla.
Che ovviamente è una faccenda privata, che mai bevo in pubblico perché è una delle bevande meno glam che ci siano sulla faccia della terra, come fai a sederti al bar e a chiedere una camomilla, io capisco al saloon, dove ci sono tutti maschi rudi, ma altrove, lo sconsiglio.
È nella logica del contrappasso che mi fossero prescritti i fumenti di camomilla, per la precisione quella romana, e ti pareva, ovvero con i fiori grossi.
Io, quelli nella busta che butto nell’acqua bollente, mai avrei pensato di usarli pure per farmi una bevanda.
Ma stamattina in erboristeria la titolare mi ha raccomandato entrambi gli usi, non so se le sono sembrata agitata, a me non sembrava di esserlo, però lo sguardo esterno di solito ci prende.
Ed eccomi qui che ho ritrovato l’eroe della mia prima giovinezza, con il progetto fra pochi minuti, pubblicato questo post, di passare alla sezione insopportabile del pomeriggio, i fumenti e gli esercizi.
La mia amica del cuore dall’università agli altri quindici anni successivi era una donna molto intelligente e di grande stile e lei una volta se la prese con un’attrice in uno sceneggiato, che interpretava la parte di una regina e la mia amica diceva ma come è possibile, una regina è sempre tale, pure in privato, guarda quella come sta seduta male, le ginocchia aperte e la schiena curva.
Valeria aveva ragione, del resto aveva ragione quasi sempre e non sto a dire quanto io senta ancora in certi momenti la sua mancanza.
Penso spesso a certe sue considerazioni.
Questa è universale.
Però ieri sono venuta meno a queste istruzioni per l’uso dello stile e ho fatto fare alla mia cartelletta lilla con la pecetta gialla con la scritta VOCE 2021 (devo aggiornarla) un volo che è durato dalla scrivania al corridoio, con tutti i fogli, i foglietti, le ricette che si sono sparpagliati a terra.
Il volo è stato accompagnato da tutte le imprecazioni che mi venivano in mente.
E mi sono ricordata della frase di Bergman che ho messo in apertura, nel senso che voglio chiedere alla logopedista se lei ha mai guarito qualcuno.
A giudicare da due altri pazienti che ho incrociato da lei un paio di giorni prima di Natale, una signora prima, e un ragazzo dopo di me, con entrambi i quali ho scambiato due chiacchiere, direi proprio di no.
Ma non voglio pensarci, anzi, adesso raccolgo tutti i fogli, li rimetto e ricomincio daccapo.
Sono calmissima.
Vedi che la camomilla funziona.
Se non sulle corde vocali, almeno sui nervi.
17:44:18. Una nota di chiusura. I paragrafi di questo post sono contrassegnati da un orario. Che è quello che è possibile inserire in automatico dal gestionale del mio blog.
Che cosa vogliono dire: niente. È che dopo aver scandagliato le potenzialità del mio nuovo smartphone mi è venuto in mente di ficcare il naso anche in quelle del computer, che, come è noto, è pieno di tasti, tendine, comandi, che casomai uno non usa mai.
Per ora nel gestionale ho trovato i semi delle carte da gioco e quest’altra funzione, che sarebbe utile per misurare la velocità di produzione.
Ma vi dico subito che qui non si può fare, perché ho cominciato e poi ho interrotto e ho fatto altro e ho ripreso.
Comunque, come mi pare di avervi già detto da qualche parte, io sono una che si siede e scrive, per queste cose che sono il mio divertissement funziona così, poi, se sono alle prese con una cosa più complessa, il ritmo cambia un po’, seppure non di molto.
Con buona pace di coloro che si siedono e darebbero la testa al muro pur di farsi venire un’idea.
Ma i differenti approcci non significano niente perché ciò che conta sono i risultati.
Un po’ come con i fumenti e gli esercizi, ma non fatemici pensare, perché se mi metto a pensare ai traguardi che ho raggiunto finora, inesistenti, mi passa la voglia di farli.
Gli uni e gli altri.