Ieri ho fatto una cosa super eccitante, super avventurosa, super fantastica.
Ieri sono andata a cena fuori.
Mi sono truccata, pettinata, vestita, profumata e sono andata a cena in un posto fra l’altro magnifico, che sembrava certamente Roma perché era la terrazza di un albergo boutique vicino al Campidoglio, ma che sembrava anche altrove perché a Roma non solo di solito mangi male, ma ci sono spesso pecche ed errori e magagne nelle portate e nel servizio.
Invece.
Maître elegante che sapeva il fatto suo; camerieri cortesi e con la divisa a posto.
Bevuto benissimo: Campari corretto al Grand Marnier e alla marmellata d’arancia amara; rosé Costa d’Amalfi; Muffato della Sala.
Mangiato delicato, a tratti geniale, chef campano, la cui anima si esprimeva nei pomodoretti di accompagno, tagliati piccoli piccoli, profumatissimi.
Ho fatto i complimenti; mi hanno detto che se li faceva arrivare da casa.
Quando si dice: i dettagli.
La mattina mi ero svegliata con un filo di voce. Che a pranzo ancora stava lì, io mi aspettavo che scomparisse, visto che l’avevo pure utilizzata.
E invece persisteva.
Dunque, ho retto un minimo di conversazione.
Certo, ero mille miglia lontana dalle mie prestazioni consuete, io sono una loquace, comunicativa, estroversa, che tende ad ammobiliare i discorsi. Mi trovavo a navigare in acque a me ignote, frequentate di solito dai laconici, da quelli una parola è poca, due sono troppe, musoni che fanno vita mondana a spese di quelli che li supportano.
Scoprivo la ritrosia, i silenzi, scoprivo il peso di ogni frase.
A metà serata ero sfinita.
Poi mi è venuta la tosse.
Poi ho cominciato ad agognare il silenzio protettivo della mia casa.
Però ormai avevo capito che lo stato d’animo giusto per stare al mondo è quello del convalescente, che non crede ai suoi occhi davanti a un bicchiere, che un mese prima avrebbe guardato con indifferenza, decorato con i lamponi e il ghiaccio; al nastro di macchine che correva sul Lungotevere nonostante il 14 agosto; alla piccola falce di luna crescente piantata in cielo che stava lì come una sentinella.
Lo stato del convalescente è quello che Baudelaire attribuisce a G. nel suo Il pittore della vita moderna (e G. sta per Constantin Guys), prendendolo in prestito da Edgar Allan Poe, che a sua volta, nel suo The Man of the Crowd, racconta di un uomo che è guarito dopo una lunga malattia e che sta seduto «at the large bow window» di un caffè di Londra.
L’uomo si trova «in one of those happy moods which are so precisely the converse of ennui».
Ecco lì, l’opposto dell’ennui.
Approfondire, assolutamente, l’argomento.
Se tu dai del rabbioso e dell’aggressivo a uno rabbioso e aggressivo, quello, giustamente, si arrabbia.
E cerca pure di morderti.
In caso di difficoltà, si può sempre fare ricorso a WikiHow.
Loro sanno.
Come fare a dimenticare un ragazzo cui non interessi.
Come perdere tre chili in cinque giorni.
Come superare un esame.
I suggerimenti, anzi, i consigli, non sono nemmeno del tutto scemi, forse sono vagamente scontati, però ti mettono pure le vignette, così, se proprio non ci arrivi, almeno guardi le figure.
Il protagonista di Her, che vive una storia singolare con un sistema operativo di nome Samantha, che ha la voce di Scarlett Johansson, di professione fa lo scrittore di lettere per conto terzi.
Anche questa è una soluzione.
Ci sono poi i siti che fanno tutto al posto tuo.
Voi digitate «che cosa dire a una persona in convalescenza» e, opplà, il gioco è fatto.
Trovate un’alternanza di citazioni eroiche e frasi semplici e cortesi, con una cinquantina di possibilità fra le quali scegliere.
Niente scuse.
Mentre conduco una vita quasi normale, però da quasi afona (o quasi muta, se preferite), ho modo di sperimentare continuamente le reazioni delle persone con cui entro in contatto.
I più caldi sono i più semplici, coloro che si esprimono in modo diretto, che non leggono libri, che non stanno troppo a pensare sulle cose. Ma che però, forse proprio per come sono fatti, hanno sentimenti spontanei e sinceri, che ti presentano a modo loro.
In questo senso, il mio garagista si è guadagnato la palma quando mi ha chiesto se avevo problemi a mangiare.
Gli ho fatto il gesto del così così.
E si vedeva che lui partecipava. Per esempio, si è messo a cercare con una qualche furia se c’erano pacchetti per me, guardando sopra e sotto il tavolo dove mettono gli acquisti che arrivano per i clienti.
Io i miei pacchetti li avevo già presi il giorno prima, però questa cosa mi ha toccata, perché si vedeva che lui voleva farmi piacere.
Il ragazzo del banco del pane al supermercato mi ha fatto il cuore con le mani.
Il mio giornalaio di via Veneto, al quale avevo chiesto la cortesia di mettermi da parte le mie riviste estere, mi ha mandato un’intera raccolta di Paperine, tutte con il fiocco rosa in testa.
Ora, che qualcuno possa assimilarmi a quell’anatra, è talmente esilarante che è esattamente ciò di cui ho bisogno in questo momento.
Bellissime e graditissime le mail augurali, tutte invariabilmente percorse da pudore e delicatezza, al punto che mi viene in mente che è proprio vero, che quel che semini, raccogli. Nel senso che si tratta di persone che mi seguono nel mio lavoro, alla delicatezza e al pudore del quale tengo molto.
Nel primo film parlato di Greta Garbo, Anna Christie, la sua prima battuta è: «Give me a whisky, ginger ale on the side, and don’t be stingy, baby».
Insomma, la Divina si presenta al mondo dotata di una voce, per la precisione scura e bassa, chiedendo un whisky, con l’analcolico da parte e la preghiera al cameriere di non essere tirchio.
Ci sono persone la cui scrittura è talmente farcita di errori di ortografia, che ti fanno pensare a Pirandello.
In questo senso: «Qualche foglia caduta dalle siepi ingombrava i vialetti. Qualche sterpo era cresciuto qua e là. E i passeri monellacci, ignorando che lo stil lapidario non vuole interpunzioni, avevano seminato con le loro cacatine tra le tante virtù di cui erano ricche le iscrizioni di quelle pietre tombali, troppe virgole forse e troppi punti ammirativi».
Il «pirandelliano quadretto cimiteriale» è citato da Bice Mortara Garavelli, professore di Grammatica italiana nell’Università di Torino e Accademica della Crusca, nel suo bellissimo Prontuario di punteggiatura, un prontuario, ovvero un libretto di forma concisa, che dissolve ogni dubbio.
Ammesso che i dubbi ci siano, che già sarebbe un buon segno.
Laddove il massacratore dell’ortografia il problema non se lo pone, sicuro com’è della sua scrittura e incapace di confrontarsi con il mondo. Perché gli capita di vedere scritto «va» correttamente, però lui insiste e si ostina e alla fine intigna pure e ci mette l’accento.
Senza nemmeno sapere che i monosillabi accentati sono talmente pochi che quasi quasi gli converrebbe rischiare in senso opposto e l’accento sul monosillabo non mettercelo mai.
Ovviamente, non ci penso per niente a dare dell’analfabeta all’analfabeta.
Perché poi quello, giustamente, si offende.