In carne, 1. Appena sono abbastanza in confidenza, domando a quelle donne che cambiano spesso colore di capelli loro come si sentono: brune o bionde.
Le rosse sono un altro discorso, le rosse sono sempre un caso a parte.
Alcune fanno finta di non capire, altre capiscono al volo.
Per esempio, io sono una mediterranea fino all’osso, mai in vita mia mi è passato per la testa di schiarirmi.
Tutto questo è sempre molto interessante, vedere come si vedono gli altri è come stare al cinema.
Io faccio m 1,68 di altezza per kg 58.
Nella mia testa, per esempio, io starei meglio con cinque chili di meno, ma sembra che io sia l’unica a pensarlo, appena perdo un po’ di peso, e per me è facile, sono una disappetente, tutti cominciano a compatirmi, a dirmi ma poverina, come sei sciupata.
Ora, è pure giusto che le donne debbano piacere soprattutto a se stesse.
Però, piacere agli altri, soprattutto a chi piace a te, mica guasta.
Devo ricordarmi di dirlo, alle donne.
In disincarne, 1. Per la prima volta in vita mia, sto facendo gli esami on line. Sono ritornata spesso sull’argomento, io distanziata sto benissimo, io sto seriamente pensando di non mettere mai più piede in un’aula.
Gli esami on line sono una cosa complicatissima dal punto di vista dei verbali: io decido il voto, lo dico allo studente; lui dichiara «Accetto», un po’ come Garibaldi disse «Obbedisco» (anche perché, se lo studente non accetta, io gli suggerisco di ripensarci e di andare a piedi al Divino Amore, che è un noto santuario romano, dove peraltro si andava in ginocchio, a rendere grazie alla Madonna. Ho deciso di essere di manica larga); io mando allo studente una mail con un modulo di accettazione che, con questa faccenda del copia e incolla, finora ho sbagliato un numero incalcolabile di volte; lo studente ci rifà e mi scrive «Accetto» (almeno Garibaldi non si è sciroppato la conferma, a lui, hanno creduto subito); io mando il verbale ancora non ho capito dove e come.
Ve l’ho detto, sto ancora facendo esami.
Se non mi avessero aiutato le fantastiche ragazze dell’Assistenza tecnica, Danila, Alessandra, Cristina, Elisabetta, io non avrei cavato un ragno dal buco.
Avevo anche pensato di non fare gli esami.
Loro mi hanno assistito fino in fondo, sopportando pure l’ennesimo copia e incolla sbagliato, in uno, invece della data dell’esame, 23 luglio, ho messo la mia data di nascita, 23 marzo, e ho pure detto alla studentessa è una forma di attenzione, dovresti essere contenta.
Comunque, a me gli studenti disincarnati stanno benissimo.
Di quelli che sto esaminando ne conosco solo un paio in presenza.
Gli altri sono entità astratte, spesso sexy e sorridenti se sono femmine, di solito un po’ mascherati da altro o con il viso nascosto se sono maschi.
Poi, però, come diceva quell’altro mio studente, bisogna vedere da vicino.
In carne, 2. Quattro giorni fa ho ricevuto via WhatsApp una foto pornografica.
Pornografica in che senso.
In quel senso.
Mi sono offesa, risentita, arrabbiata? Per niente.
Chi era il mittente.
Un ragazzo che ha lavorato per un po’ di tempo nel supermercato di cui sono cliente, che si è licenziato perché lì i turni erano pesanti e che è stato assunto all’Ipercarni.
Tutto un programma. Quando gli chiesi, per approfondire la mia ricerca, secondo lui, lui che cibo era, mi rispose senza nemmeno pensarci: «Una bella bistecca».
Com’è. Caruccetto. Bella macchina. Piano personale in villino regalato dai genitori, di cui so tutto, avendo seguito lo stato dei lavori. Estate con viaggio in Messico, quando si poteva. Tifoso della Magica. Pranzo la domenica, quando non era di turno al supermercato, Ostia, risotto ai frutti di mare.
Biondo di pelo, barba curatissima, di quelle passate col tosaerba e poi rifinita una volta a settimana da un professionista.
Nome. Quello di uno dei figli di Al Bano.
Lasciato il mio supermercato e ormai in contatto su Instagram, il tipetto ha cominciato a dirmi vengo a trovarti e beviamo qualcosa insieme, è il mio sogno da sempre, frequentare una donna più grande.
(Frequentare).
Bontà sua.
Tutto ciò prima del confinamento.
Finita l’emergenza, lui mi ha detto allora che facciamo.
Non ho niente in contrario, semplicemente gli ho sempre detto che avevo da fare, casomai domani.
E, l’altra sera, lui mi invia la foto suddetta.
Com’era.
Una foto di quelle scattate con il telefono, con in primo piano il bordo della maglia a righe e, soprattutto, la stanza inquadrata come sfondo.
Con sul termosifone un umidificatore a forma di vasetto.
Vasetto di fiori, quelli da balcone.
In terracotta.
Anche un accenno di pancia (non il vasetto, lui: ventotto anni).
Qual era la didascalia. «Un assaggio».
Quando si dice come far venire appetito a una donna.
Ma no, che non mi scandalizzo. E perché dovrei. Abbiamo davanti uno dei dispositivi più mirabili che ci siano al mondo, l’unico capace di sfidare la forza di gravità con i suoi mezzi di bordo.
Che ho fatto.
Niente.
Gli ho risposto solo: «Complimenti» e non ho nemmeno letto la raffica di messaggi che ne è seguita.
Avrei voluto aggiungere «forse, per essere davvero esteticamente pregevole, un po’ tozzo», ma certo un uomo non lo puoi mortificare in quello che ha di più caro: la carne.
In disincarne, 2. Due giorni fa ho ricevuto via mail una foto suggestiva. Ora, può pure darsi che io mi sbagli, però sono una professionista dell’immagine e quindi dovrei essere capace a riconoscere il senso di una foto.
(Almeno questo).
Che diceva la mail. La mail era un capolavoro di ellissi e di elusione.
Ma partiamo dalla foto. Che era bellissima, ce l’ho qui davanti, ma perché non la pubblichi, così capiamo, perché è solo mia, la foto, stavo dicendo, ritraeva un bicchiere di vino bianco bello pieno (riflessi oro), un bicchiere vero, sapete, quelli da osteria, mica uno di quei calici con lo stelo lungo più delle dita che lo sostengono, dove si degustano i vini.
Il bicchiere ricolmo di vino stava, sta, visto che me lo sono messo come immagine del blocco dello smartphone e che lo vedo continuamente, su una superficie blu, una superficie, si capisce benissimo, di un tavolo, sulla quale si riflette una ghirlanda di luci, che sta in alto.
Poi, intorno, un ambiente, non un luogo identificabile, anche se figuriamoci se io non mi sono messa a guardare ogni dettaglio.
Sì, ma che diceva la mail.
La mail riprendeva, direi citava, un brano di una mail mia.
Che avevo scritto e spedito sebbene il mio destinatario avesse detto chiaramente, e lo aveva detto via mail, con la mail mandata in automatico a tutti i suoi contatti: guardate che sto in vacanza e che leggerò le vostre mail molto saltuariamente.
(Le vostre mail. Tu mica starai dicendo: le mie).
Allora, mi sono detta io, io ci provo, io ti scrivo lo stesso, pure se tu stai fra tremila cose da fare e pure se tu stai in vacanza.
Intanto, io ti scrivo.
A me la scrittura esce fuori facilmente.
E poi, quello che ti scrivo, è comunque un messaggio in bottiglia.
E allora, io la interpreto così: il mio interlocutore, quello del bicchiere ricolmo e della ghirlanda di luci, con la sua foto nella sua mail voleva dirmi un sacco di cose.
Per esempio, che mi aveva letta.
E che la pensava, almeno in quel punto, tale e quale a me.
E che, proprio per questo, quel punto mi rimandava, ovvero mi metteva davanti a me stessa e ai miei sentimenti.
Che io conosco benissimo perché li indago e perché i sentimenti li pratico come altri praticano il tennis o la vela.
E io, che gli avevo detto?
Cose simpatiche, una storia di coincidenze di parcheggio al centro commerciale, con il nome della corsia che era identico a quello della città dove lui era andato a fare il turista, così dice lui, poi, però, qualche dettaglio, per esempio, un rapido passaggio su una ubriacatura.
E lui mi manda un bicchiere colmo di vino.
Pure con la ghirlanda di luci che si riflette sul tavolo.
E, oltre alla firma mia, perché lui ha proprio preso, copiato e incollato, un po’ come devo fare io con i miei studenti, qualcosa di quello che gli avevo scritto, anche la firma sua. Che era una di quelle cose moderne che mi piacciono così tanto quando le leggo in fondo a una mail: «Sent from».
E c’è lo smartphone.
Che ne sarà di noi?
E io che ne so.
Quello che mi lascia stupita e affascinata, è che Damien Hirst, artista che io amo molto e che amo da quando io e lui eravamo quasi ragazzi, abbia affermato con l’opera che vi mostro, pure con i dettagli, che un angelo è femmina.
Ha i seni, che fra l’altro sono bellissimi.
E tu pensa che io ero sicura che gli angeli fossero maschi.
E l’estate impazza.
E ogni tanto qualcuno manda delle foto.
Però, e questa è la mia domanda, ditemi voi se è più erotica la foto in carne o quell’altra.
Bravi.
Pure io la penso così.
Proprio come voi.